Le ex carceri costruite sulle isole italiane che sono diventate qualcos’altro
Restaurate o trasformate completamente, molte sono ora strutture turistiche e attività slegate dal sistema penitenziario
di Filippo Di Biasi
Alcune carceri costruite su piccole isole italiane e rimaste in funzione fino alla fine del Novecento ora sono diventate qualcosa di completamente diverso da quello che erano un tempo. L’unica isola che ospita un carcere ancora attivo è Gorgona, nell’arcipelago toscano, dove sono detenute circa ottanta persone. Le altre carceri, chiuse definitivamente tra il 1962 e il 1998, sono invece state trasformate in strutture con funzioni diverse: alcune sono diventate alberghi, come nel caso di parti del vecchio carcere di Pianosa, isola toscana, o all’Asinara, nel nord ovest della Sardegna; altre sono diventate attività produttive, come le aziende agricole avviate nell’isola livornese di Capraia in casolari e terreni parte del penitenziario chiuso nel 1986; altre ancora stanno venendo ristrutturate per nuovi utilizzi, come l’ex carcere sull’isola di Santo Stefano vicino Ventotene, al largo della costa tra Lazio e Campania.
Ad oggi l’unica struttura riconvertita che mantiene però ancora rapporti con un’amministrazione penitenziaria è quella di Pianosa: l’albergo Milena, l’unico dell’isola, e il ristorante che si trova al suo interno. Entrambi sono infatti gestiti da alcune cooperative sociali di detenuti ospitati in una sezione distaccata della casa circondariale di Porto Azzurro all’Isola d’Elba, in un’ottica di formazione professionale volta al reinserimento nel mondo del lavoro una volta scontata la pena. L’associazione Antigone, che si occupa della tutela dei diritti delle persone che si trovano in carcere, ha visitato l’isola nel 2021: nel resoconto si legge che le stanze e i locali di servizio per i detenuti sono in ottime condizioni e c’è un buon coordinamento tra le istituzioni e gli enti responsabili dei luoghi di lavoro.
L’albergo, che si trova poco lontano dal porto nella parte orientale dell’isola, è stato costruito a partire dalla residenza del direttore del penitenziario chiuso nel 1998 e ha 11 camere, un ristorante, un bar e un piccolo negozio dove vengono venduti articoli artigianali prodotti nei laboratori del carcere di Porto Azzurro. L’isola è piccola, con 10 chilometri quadrati di superficie, e l’attività lavorativa si concentra soprattutto nei mesi estivi. Nei periodi dell’anno con una presenza scarsa di turisti la maggior parte delle persone detenute torna al carcere di Porto Azzurro, a bordo della motovedetta della Polizia Penitenziaria che solitamente è ormeggiata nel porto di Marina di Campo, frazione del comune di Campo nell’Elba di cui anche Pianosa fa parte.
Altre parti del carcere, come la struttura di massima sicurezza “Agrippa” usata nel corso del Novecento per la detenzione di terroristi e mafiosi, o il lungo muro in cemento armato fatto costruire dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa per separare il carcere dal resto dell’isola, non sono state ristrutturate e rimangono visitabili così come sono state abbandonate anni fa.
Trasformare in alberghi gli edifici carcerari in disuso è una pratica conveniente, che permette lo sviluppo del turismo sull’isola che le ospita e riqualifica strutture che sono, per loro natura, molto impattanti sul suolo e nel paesaggio. È il caso anche dell’Asinara, in Sardegna, dove è in corso un progetto per far diventare alberghi alcune costruzioni. L’Asinara è conosciuta per aver ospitato nelle sue varie carceri detenuti come il boss mafioso Totò Riina o il terrorista Valerio Fioravanti, detto Giusva, condannato per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto del 1980. L’intenzione è quella di realizzare un albergo diffuso fatto da piccoli alloggi sparsi in tutta l’isola, sfruttando le strutture già esistenti dei vecchi distaccamenti carcerari.
Il progetto, portato avanti dall’Agenzia Regionale per la Conservazione delle Coste della Sardegna, non prevede alcuna collaborazione con il ministero della Giustizia, quindi non darà lavoro ai detenuti come accade invece a Pianosa.
Una struttura ricettiva fatta negli spazi del carcere in realtà esiste già ed è un ostello a Cala d’Oliva, nella parte est dell’isola, realizzato in quelli che erano i dormitori degli agenti di custodia. Può ospitare fino a 70 persone in camere con più letti. Gli ambienti, anche se rinnovati, mantengono l’aspetto originario restituendo un’esperienza spartana ma suggestiva: architettura da caserma, facciata spoglia e interni essenziali sono caratteristiche che rispettano la forma originale dell’edificio.
Quella delle isole-carceri è stata una soluzione molto utilizzata in Italia nei secoli scorsi, e l’arcipelago toscano ne è un esempio evidente. Oltre a Gorgona e Pianosa esisteva una colonia penale anche a Capraia, un comune-isola più vicino alla Corsica che alla costa livornese. Chiusa nel 1986, occupava gran parte dell’isola e aveva anche un caseificio, delle cantine e diversi ettari di coltivazioni. Questi spazi furono acquisiti dall’amministrazione comunale dopo la chiusura del carcere, ma questo non ne ha impedito un progressivo abbandono. Sono stati gli abitanti del luogo, insieme ad altre persone arrivate sull’isola in cerca di nuove prospettive, che a partire dalla fine degli anni Novanta li hanno ristrutturati creando al loro interno soprattutto aziende agricole.
L’esempio più recente riguarda l’ex caseificio: una piccola capanna in muratura sul fianco di una collina, con la caratteristica unica di avere al suo interno una sorgente d’acqua. Nel 2020 la capanna è stata praticamente ricostruita a partire dalle poche mura rimaste. L’azienda agricola a conduzione familiare che ha sistemato la struttura e iniziato a coltivare i terreni circostanti fa ora parte delle numerose realtà nate a Capraia da ciò che era rimasto del carcere, contribuendo alla piccola economia dell’isola.
È invece ancora in corso il processo di restauro del carcere abbandonato sull’isola di Santo Stefano. Accanto a Ventotene, con un diametro inferiore a 500 metri, l’isola ospitava da fine Settecento un penitenziario di tipo “panopticon”: carcere ideale canonizzato dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham che prevede una struttura semicircolare sorvegliabile da un’unica guardia. La sua attività cessò nel 1962 e fino a qualche anno fa si trovava in pessime condizioni.
Dal 2016 il carcere è interessato da un «progetto di restauro e riuso» per il quale il governo ha nominato nel 2020 un Commissario Straordinario. Il piano prevede di consolidare la struttura e renderla visitabile, oltre alla realizzazione al suo interno di alcuni spazi espositivi. L'obiettivo è quello di valorizzare la storia del carcere e creare un polo di interesse culturale oltre che turistico.
Questo e gli altri articoli della sezione Dentro e intorno al carcere sono un progetto del workshop di giornalismo 2024 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.