• Domenica 14 luglio 2024

Armi, telefoni e droga arrivano in carcere anche con i droni

Negli ultimi anni sono diventati il metodo più usato per introdurre in carcere oggetti vietati e la polizia penitenziaria fa ancora molta fatica a intercettarli.

di Eleonora Rossi

(Drew Angerer/Getty Images)
(Drew Angerer/Getty Images)
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Lo scorso marzo 31 persone sono state arrestate a Napoli con l’accusa di organizzare e gestire le consegne di cellulari, sostanze stupefacenti e armi in diciannove carceri italiane usando i droni. Le indagini erano partite dopo che nel 2021 un detenuto del carcere di Frosinone aveva sparato a tre persone con una pistola che secondo il provveditore delle carceri del Lazio gli era stata consegnata con un drone. Gli arresti di Napoli non sono stati un caso isolato: l’uso dei droni per consegnare droga e oggetti proibiti negli istituti penitenziari è un fenomeno in aumento in tutto il mondo: in Italia, secondo il sindacato di polizia penitenziaria (SAPPE), i droni sono ormai il metodo più usato per introdurre oggetti in carcere.

I droni sono piccoli velivoli comandati a distanza, inizialmente sviluppati per l’uso militare ma che da alcuni anni sono sempre più diffusi anche in ambito civile per fare riprese video: un drone commerciale costa poche centinaia di euro e i modelli più avanzati possono allontanarsi fino a 10 chilometri da chi li pilota e trasportare un peso di qualche centinaio di grammi.

Le consegne in carcere solitamente avvengono in due modi: in alcuni casi il carico viene agganciato al drone e il detenuto lo recupera sporgendo le braccia fuori dalla sua finestra, in altri casi viene fatto cadere in un punto dell’istituto facilmente raggiungibile dove viene poi recuperato. Spesso le consegne con i droni avvengono di notte, quando la visibilità è ridotta ed è più facile eludere i controlli. Siccome alcuni droni possono essere rumorosi, sono stati documentati casi in cui sono stati lanciati fuochi d’artificio vicino al carcere per coprire il rumore.

Gli oggetti consegnati con i droni vengono poi rivenduti a prezzi molto elevati dalle organizzazioni che gestiscono il contrabbando interno al carcere. Secondo la polizia penitenziaria, in carcere un cellulare può servire a commettere crimini anche dopo l’arresto e può costare fino a mille euro, mentre le sostanze illegali vengono vendute a prezzi decuplicati rispetto al mercato (in carcere il consumo di droghe è molto diffuso e si stima che il 38,1% dei detenuti abbia un problema di tossicodipendenza).

È abbastanza difficile capire quanto sia esteso il fenomeno delle consegne con i droni perché quando vengono ritrovati oggetti proibiti in carcere è difficile ricostruirne l’origine. Le prime denunce da parte della polizia penitenziaria risalgono al 2015, con l’avvistamento di un drone fuori dal carcere di Sciacca, in Sicilia. Negli ultimi anni le segnalazioni sono aumentate. Il 17 maggio 2024, un agente di polizia del carcere di Asti ha bloccato un drone che portava 5 telefoni e le tre persone che lo pilotavano sono state fermate. Ad aprile altre tre persone sono state fermate vicino al carcere di Bergamo mentre provavano a consegnare con un drone quattro cellulari e poco meno di cento grammi di hashish e cocaina, a gennaio era stato intercettato un drone al carcere di Benevento che portava hashish, cocaina e amfetamine. Nel febbraio del 2022 gli agenti del carcere di Rebibbia, a Roma, avevano bloccato un drone con dieci telefonini, hashish e diverse sim.

Secondo il Nucleo Investigativo Centrale della polizia penitenziaria, l’uso dei droni è aumentato durante e dopo la pandemia da Covid-19, quando per ragioni sanitarie erano state sospese le visite e quindi si era ridotto il numero di visitatori, che di solito portavano gli oggetti proibiti in carcere.

L’uso dei droni non è un problema solo in Italia: già nel 2019 l’Interpol, l’Organizzazione Internazionale della Polizia Criminale, che si occupa di cooperazione tra le forze di polizia dei diversi paesi, aveva avvisato le forze di polizia dell’uso crescente di droni. Nel Regno Unito tra il 2019 e il 2021 sono stati avvistati più di 500 droni intorno alle strutture detentive e a gennaio 2024 è stato approvato un disegno di legge per introdurre delle no fly zone per i droni, con il divieto di volo entro 400 metri dalle carceri. In Francia, dove nel 2023 ci sono stati più di 600 tentativi documentati di consegne con i droni, ci sono 22 carceri con sistemi anti-drone attivi e l’obiettivo è arrivare a 45 entro la fine dell’anno. Negli Stati Uniti, dove da anni si discute di implementare sistemi anti-drone, a marzo sono state arrestate 150 persone che avevano organizzato in Georgia un sistema di consegne di cellulari e droga usando droni in diversi istituti.

In Italia è vietato sorvolare con i droni luoghi sensibili come le carceri, ma questa misura non basta a fermare le consegne. Solo nel carcere di Rovigo, in Veneto, è stata fatta una sperimentazione di sistemi per il “rilevamento e l’inibizione di aeromobili a pilotaggio remoto”. I problemi negli istituti penitenziari non sono legati soltanto all’assenza di sistemi anti-drone, ma anche alla mancanza del personale che sarebbe necessario per occuparsi delle normali operazioni di sorveglianza: molto spesso i droni non solo non vengono intercettati e bloccati, ma non vengono neanche visti per la mancanza di agenti.

Dopo i 31 arresti di marzo a Napoli, il procuratore generale Nicola Gratteri ha sottolineato la necessità di prendere provvedimenti, proponendo l’acquisto per le carceri più grandi di jammer, dispositivi che fanno perdere il contatto del drone con chi lo guida emettendo onde radio, «per contrastare il fenomeno in maniera radicale». Non è detto che queste tecnologie fermeranno le consegne e i tempi solitamente molto lenti degli appalti rischiano di essere un ulteriore problema: il segretario del sindacato UILPA PP sottolinea infatti che troppo spesso quando «finisce la sperimentazione [di un sistema] cambiano già le tecnologie in circolazione».

Questo e gli altri articoli della sezione Dentro e intorno al carcere sono un progetto del workshop di giornalismo 2024 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.