• Domenica 14 luglio 2024

Potrebbero esserci presto più detenute madri in carcere

Le donne con figli in carcere non sono molte, ma il dibattito sulla loro condizione è molto delicato. Ora un disegno di legge potrebbe cambiare le cose in peggio

di Beatrice Offidani

Una mamma detenuta tiene in braccio suo figlio mentre cammina in un corridoio nella Casa circondariale - Istituto a Custodia Attenuata per Madri (ICAM) di Lauro, Avellino, 7 aprile 2022.
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Una mamma detenuta tiene in braccio suo figlio mentre cammina in un corridoio nella Casa circondariale - Istituto a Custodia Attenuata per Madri (ICAM) di Lauro, Avellino, 7 aprile 2022. ANSA/ALESSANDRO DI MEO
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All’inizio di gennaio è stato presentato alla Camera dei deputati un disegno di legge che contiene nuove norme che regolano la condizione delle donne detenute con figli a carico. Oggi per le donne incinte e per quelle con figli fino a un anno in caso di condanna è previsto il rinvio obbligatorio della pena, cioè non devono stare in carcere. Il cosiddetto “ddl sicurezza”, se venisse approvato, renderebbe facoltativo il rinvio della pena, producendo un aumento delle detenute che potrebbero portare i figli in carcere e consentendo per la prima volta l’ingresso nei penitenziari delle donne incinte. Sarebbe una novità molto rilevante che riguarda una questione delicata: da molto tempo infatti si discute su quale sia il luogo più adatto in cui le detenute madri possano scontare la pena.

Le donne detenute in carcere con i loro figli non sono moltissime e, dalla pandemia in poi, a causa del rischio di contagio e per alcuni gravi fatti di cronaca avvenuti in carcere, i numeri sono diminuiti in modo significativo. I dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 30 giugno 2024, dicono che le detenute madri con figli al seguito sono 23, i bambini sono 26. Questi numeri riguardano sia detenute madri che stanno scontando una condanna definitiva, sia quelle che sono sottoposte a misure cautelari (e che quindi non sono ancora state condannate).

Le leggi in vigore al momento prevedono il rinvio obbligatorio della pena per le donne incinte e con figli fino a un anno. Al compimento del primo anno di età, e fino ai tre anni del bambino, le donne che lo desiderano possono portare con sé i propri figli nei penitenziari. In questo caso madri e figli vivono all’interno di sezioni apposite all’interno di istituti penitenziari ordinari, le sezioni nido. Queste sono separate dal resto della sezione, dotate di stanze più ampie e attrezzatura per la cura dei bambini, come fasciatoi e culle.

Oltre alle sezioni nido delle carceri normali, la legge italiana prevede altri due tipi di strutture per gestire casi di detenute madri con figli: gli ICAM e le “case famiglia protette”. Anche qui possono trovarsi sia donne che stanno scontando una condanna definitiva sia coloro che sono sottoposte a misure cautelari.

Gli ICAM, “Istituti a custodia attenuata per le detenute madri”, sono delle strutture detentive, al pari del carcere. Non ci sono dati precisi su quanti bambini vivano esattamente all’interno degli ICAM, perché i dati del ministero non fanno distinzione tra strutture detentive. Negli ICAM gli agenti di polizia non indossano le divise, le pareti dei corridoi e delle stanze da gioco sono colorate e i controlli di sicurezza sono pensati per non essere riconoscibili dai bambini. All’interno dell’ICAM vivono educatori che si occupano di accompagnare i figli delle detenute alle attività che svolgono all’esterno del carcere, come la scuola o lo sport. La legge non dà indicazioni precise sull’età fino alla quale i minori possono vivere all’interno dell’ICAM e non dice espressamente che si possono superare i tre anni, ma nel tempo diversi magistrati hanno emesso sentenze secondo una linea interpretativa che prevede la presenza dei figli fino a sei anni di età. Al compimento dei sei anni la questione torna al giudice, e la valutazione spetta al magistrato di sorveglianza e al Tribunale dei minori, che decidono di caso in caso.

Le case famiglia protette, istituite con la legge 62 del 2011, sono invece strutture non penitenziarie e di tipo comunitario, in cui la donna è comunque sottoposta a sorveglianza e dove si trovano bambini fino a 10 anni di età. In questi luoghi, dove non sono presenti agenti di polizia, le detenute e i propri figli hanno a disposizione una stanza tutta per loro e ricevono assistenza sanitaria e psicologica costante. È una situazione più familiare in cui volontari ed educatori seguono i bambini in attività ludiche e ricreative.

Le case famiglia protette sono da molti considerate le strutture migliori per la corretta socializzazione dei minori, che hanno diritto a vivere in un luogo adatto alla loro crescita e, preferibilmente, in strutture esterne al circuito penitenziario. «Le case famiglia andrebbero privilegiate rispetto alle altre soluzioni» spiega Emilia Rossi, avvocata e già componente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. «L’approccio più ragionevole alla risoluzione della questione è infatti quello che ricerca una soluzione diversa dal carcere».

Al momento le case famiglia protette sono però soltanto due: una si trova a Roma (dove al momento sono ospitate 5 madri e 7 bambini) e una a Milano (dove al momento vivono 3 madri con altrettanti bambini). Sono gestite da associazioni che si finanziano con donazioni e raccolte fondi, perché la legge del 2011, quella che ha istituito le case famiglia, escludeva oneri a carico della finanza pubblica per la loro realizzazione.

Nel 2022 il deputato PD Paolo Siani aveva elaborato una proposta di legge per privilegiare la detenzione delle madri che volessero portare con sé i loro figli nelle case famiglia e introdurre il finanziamento pubblico per queste strutture. La proposta di legge aveva lo scopo di aumentare i fondi alle regioni e avviare un piano strutturale per la nascita di nuove case famiglia protette in tutta Italia. Con la caduta del governo di Mario Draghi, nel luglio del 2022, l’iter della legge si è tuttavia interrotto. Con l’inizio dell’attuale legislatura la deputata del PD Debora Serracchiani ripresentò la stessa proposta, ma fu costretta a ritirarla a causa di alcuni emendamenti della maggioranza di destra che, a suo parere, ne snaturavano i principi.

Il “ddl sicurezza” attualmente in discussione è stato presentato dai ministri della Giustizia Carlo Nordio, dell’Interno Matteo Piantedosi e della Difesa Guido Crosetto, e si trova al momento all’esame della commissione Giustizia, in attesa del via libera definitivo per andare il voto del Parlamento. All’inizio di luglio le commissioni congiunte Affari Costituzionali e Giustizia della Camera hanno bocciato tutti gli emendamenti presentati dalle opposizioni che volevano modificare la proposta. Il disegno di legge andrà quindi al voto nella sua formulazione attuale.

Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e segretario della Lega, Matteo Salvini, ha subito espresso la propria soddisfazione con un messaggio pubblicato su X in cui rivendica l’impegno della Lega nel voler rendere più repressive le norme sulle detenute madri.

Michela di Biase, capogruppo del PD in commissione Infanzia, dice che «ad oggi il governo sembra essere impegnato in una direzione opposta rispetto a quella verso cui andavano le nostre proposte, come abbiamo visto con il ddl che al momento è in discussione in Commissione».

Sul testo del disegno di legge si è espresso negativamente, con un proprio parere, anche il Garante nazionale dei detenuti, ricordando che il problema della presenza di bambini negli istituti penitenziari contrasta con i principi nazionali e internazionali sanciti in materia di protezione dei minori, come la Convenzione ONU sui diritti dei minori di New York del 1989.

Il ddl, oltre ad eliminare il rinvio obbligatorio della pena per le donne incinte o con figli che hanno meno di un anno, non menziona le case protette, che invece le proposte presentate in passato volevano potenziare. «Al governo non interessano e non ha alcuna strategia su questo», spiega Debora Serracchiani. «Queste donne, secondo loro, stanno bene in carcere. Così come i loro bambini».

Questo e gli altri articoli della sezione Dentro e intorno al carcere sono un progetto del workshop di giornalismo 2024 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.