Persone trans, e detenute
L’attenzione sui loro diritti è aumentata, ma i problemi che affrontano in carcere – dalla collocazione, al diritto alla terapia ormonale – mostrano che la parità è ancora lontana.
di Giorgia Pelagatti
Nelle carceri italiane sono detenute almeno 72 persone transgender, cioè persone la cui identità di genere non corrisponde al sesso biologico. Nonostante l’Ordinamento Penitenziario italiano riconosca la loro presenza e il loro diritto a una permanenza in carcere sicura e dignitosa, il sistema penitenziario non è sempre preparato ad accoglierle in modo adeguato. Secondo il Diciannovesimo rapporto sulle condizioni di detenzione stilato da Antigone, associazione che si occupa della tutela dei diritti delle persone che si trovano in carcere, le persone trans detenute subiscono alcune discriminazioni specifiche, e sono ancora considerate un’«eccezione» del sistema.
Quando si parla di persone transgender in carcere, in Italia e non, emergono solitamente due grandi temi. Il primo è la collocazione: nelle carceri le persone detenute sono divise tra la sezione maschile e la sezione femminile, e l’assegnazione avviene sulla base del loro genere anagrafico, che nel caso delle persone trans non corrisponde sempre a quello in cui si identificano. Il secondo tema sono le terapie ormonali, cioè i farmaci che molte di loro prendono per assumere le caratteristiche sessuali secondarie corrispondenti alla loro identità di genere.
Gli ultimi dati riguardanti le persone trans nelle carceri italiane risalgono al report del 2023 di Antigone, che sottolinea però quanto sia difficile essere precisi. Infatti, alcune persone hanno già iniziato la transizione nel momento in cui entrano in carcere e altre no; e tra le prime solo alcune potrebbero aver già rettificato i documenti. Alcune potrebbero non aver neanche fatto coming out, e altre ancora potrebbero decidere di farlo durante il periodo di detenzione. Inoltre, nel rapporto precedente, quello del 2022, Antigone aveva sottolineato che gli uomini trans detenuti (sia quelli che hanno fatto la transizione che quelli che non l’hanno ancora iniziata) sono spesso difficili da individuare nel sistema penale italiano. Gli uomini trans in carcere, infatti, «non esistono» nei dati numerici perché non sono quasi mai vittime di violenze (come invece capita spesso alle donne trans nei reparti maschili), e altrettanto raramente le commettono.
Delle 72 persone trans citate da Antigone, 69 sono donne recluse nelle sezioni protette, e 3 sono persone trans detenute altrove: 2 in una sezione cosiddetta “promiscua”, e una in isolamento.
In Italia, il concetto di identità di genere è stato inserito per la prima volta nel codice penale nel 2018 con la riforma Orlando. È stato riscritto l’articolo 14, che affronta il tema della collocazione, istituendo sezioni protette separate dedicate alle persone detenute per le quali «si possano temere aggressioni o sopraffazioni da parte della restante popolazione detenuta, in ragione solo dell’identità di genere o dell’orientamento sessuale». Le violenze a cui ci si riferisce colpiscono soprattutto le donne trans senza documenti rettificati, e quindi recluse in sezioni maschili. È proprio per evitare le violenze che le 69 persone transgender detenute che cita Antigone si trovano nelle sei sezioni protette all’interno di carceri maschili.
Prima della riforma del 2018, il sistema penitenziario proteggeva le persone trans mettendole in isolamento o in sezioni protette promiscue, cioè quelle dove vengono messe le persone che si teme possano essere prese di mira dalle violenze degli altri detenuti: oltre alle persone trans, ci sono per esempio gli autori di reati sessuali. La riforma Orlando ha quindi parzialmente migliorato la situazione delle persone trans detenute. Ma rimangono comunque diversi problemi.
In un approfondimento del rapporto di Antigone del 2024 si legge che «le donne trans detenute (ci si riferisce sempre a quelle che non hanno rettificato i documenti, ndr) paiono trovarsi nelle condizioni più sfavorevoli in assoluto». Questo perché le sezioni protette per donne transgender sono sì più sicure, ma si trovano sempre all’interno di carceri maschili. Le detenute non possono quindi partecipare alle iniziative culturali, scolastiche o ricreative che si tengono insieme al resto della popolazione detenuta.
Inoltre basare la collocazione in carcere sul genere anagrafico contraddice le linee guida indicate dal Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), un organo del Consiglio d’Europa. Nel rapporto annuale del 2024, il CPT sostiene infatti che «in linea di principio, le persone transgender dovrebbero essere collocate nella sezione del carcere corrispondente al sesso a cui si identificano», e quindi a prescindere da quello che c’è scritto sui loro documenti.
L’altra grande questione riguardante le persone trans in carcere è il diritto al trattamento ormonale, tutelato dall’articolo 11 dell’Ordinamento Penitenziario aggiornato sempre nel 2018. Il comma 10 si riferisce proprio alle persone trans, e garantisce la prosecuzione delle terapie per il cambiamento di sesso, purché queste siano già in corso al momento dell’ingresso in carcere. Un altro passo avanti è stato fatto alla fine del 2020, quando l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha stabilito che i farmaci per la femminilizzazione e la virilizzazione debbano essere erogati gratuitamente alle persone con una diagnosi di disforia di genere, ovvero il disagio provato dalle persone che percepiscono un’incongruenza tra l’identità di genere che sentono propria e quella con cui vengono percepite. Pur non essendo più considerato un disturbo mentale, la disforia di genere viene diagnosticata per permettere alle persone trans di iniziare la transizione ormonale e, a chi lo desidera, chirurgica.
Nonostante gli evidenti progressi degli ultimi anni, risulta ancora difficile garantire il diritto alla terapia ormonale alle persone trans che non avevano ottenuto la diagnosi di disforia di genere prima di entrare in carcere. Inoltre, il già citato rapporto del CPT menziona anche gli interventi chirurgici di riassegnazione del sesso. Al momento, infatti, nessun paese appartenente al Consiglio d’Europa permette alle persone trans detenute di essere sottoposte a un’operazione durante la loro permanenza il carcere. Ma il CPT sostiene che, idealmente, i sistemi penitenziari nazionali dovrebbero fornire questa possibilità alle persone trans che la desiderano.
In Italia, e non solo, l’interesse pubblico e normativo intorno ai diritti delle persone trans, detenute e no, è cresciuto solo recentemente. Il dibattito è ancora in corso e l’obiettivo del sistema penitenziario italiano dovrà essere, come scrive Antigone, colmare definitivamente il «divario tra l’uguaglianza e la parità di accesso ai diritti in carcere e le concrete condizioni di detenzione sperimentate dalle persone detenute trans».
Questo e gli altri articoli della sezione Dentro e intorno al carcere sono un progetto del workshop di giornalismo 2024 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.