Come sono cambiati i colloqui in carcere
Da dopo la pandemia le modalità di comunicazione sono di più, e ora il cosiddetto decreto Carceri prevede un aumento del numero di chiamate ai familiari, ma secondo alcuni non è abbastanza
di Alessandro Dowlatshahi
Il 9 luglio in Senato si è cominciato a discutere un disegno di legge chiamato “decreto Carceri”: una delle novità più importanti che contiene riguarda l’aumento dei colloqui telefonici tra i detenuti e i loro familiari, che se dovesse essere approvato passerebbero da 4 a 6 al mese, con un’ulteriore possibilità di incremento a discrezione del direttore del carcere. Da questo intervento sono esclusi i detenuti in regimi detentivi speciali, per i quali il numero delle chiamate nell’arco di un mese continuerebbe a non essere superiore a 2.
Il “decreto Carceri”, già approvato dal Consiglio dei ministri, tenta di far fronte al problema delle pessime condizioni delle persone detenute nelle carceri italiane. Il numero dei suicidi è uno dei segnali più evidenti di questo problema: dall’inizio del 2024 a oggi sono stati 54, un numero molto alto considerando in tutto il 2023 erano stati 71 e 84 nel 2022. Come dichiarato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, promotore del decreto, comunicare più facilmente con le famiglie contribuirebbe a «rendere psicologicamente più agevole una situazione che, essendo punitiva, incide sull’umore e sulla depressione del detenuto».
Sull’efficacia della misura contenuta nel decreto Carceri, Antonia Sorge, psicologa e ricercatrice esperta di salute mentale dei detenuti dell’università Cattolica di Milano, dice che «l’aumento del numero dei colloqui è una misura necessaria ma non sufficiente a impattare sulla salute delle persone recluse».
Dello stesso avviso è Alessio Scandurra, coordinatore nazionale dell’Osservatorio Antigone, associazione che si occupa di detenzione nelle carceri italiane. Scandurra pensa che la misura introdotta dal governo, oltre che ad avere un impatto limitato sui detenuti, non introduca realmente novità, ma renda di fatto ufficiale una possibilità già presente da qualche anno. A partire dalla pandemia, infatti, in alcuni casi ai detenuti era già consentito fare più di 4 chiamate al mese, previa autorizzazione dell’istituto. Secondo un’indagine di Antigone condotta sul 36 per cento delle carceri italiane, nel 2022 oltre tre quarti dei detenuti faceva telefonate straordinarie.
I detenuti possono ricevere telefonate dai familiari, e in casi particolari anche da persone diverse da congiunti e conviventi, rispondendo da telefoni messi a disposizione dal carcere, per una durata massima di 10 minuti. «È un tempo inadeguato, considerando i minuti che si perdono nel passaggio tra la cella e i telefoni», dice Scandurra. «Tanto vale lasciarli chiamare per un tempo più lungo». Secondo Scandurra sarebbe stato meglio dare più tempo ai detenuti e un numero maggiore di chiamate o addirittura togliere il limite dei 10 minuti, almeno per i detenuti in media sicurezza.
Se sarà approvato il decreto interverrà sul numero di telefonate, mentre non prenderà in considerazione le altre tre modalità con cui i detenuti possono comunicare con persone all’esterno, e cioè i colloqui in presenza, le videochiamate e la corrispondenza epistolare, che sia per mezzo di oggetti di cancelleria del carcere, o via mail, con dispositivi forniti da cooperative ed enti di patronato.
Per quanto riguarda le visite, in particolare, il numero consentito continuerà a essere di 6 al mese per i detenuti con pene sotto una certa soglia, di 4 per quelli che hanno compiuto reati gravi e di 1 per chi è detenuto in regime di carcere duro, il cosiddetto 41 bis. Ai colloqui dal vivo, della durata massima di un’ora ciascuno, possono partecipare non più di tre persone per volta, sotto la sorveglianza visiva e non uditiva degli agenti di custodia.
Da qualche anno, come conseguenza della diffusione di strumenti tecnologici e della pandemia, ai familiari e ai conoscenti dei detenuti di “media sicurezza”, cioè quelli che non hanno commesso reati gravi, è consentito sostituire il colloquio in presenza con una videochiamata. A parità di regolamento con le visite dal vivo, la videochiamata ha agevolato il mantenimento delle relazioni familiari, evitando trasferte costose per chi vive lontano dal carcere. Come spiega Scandurra, «per molte famiglie il viaggio per andare al colloquio in presenza è lungo e oneroso. Per i figli minori significa talvolta dover rinunciare a un giorno di scuola, mentre per genitori anziani magari non è proprio possibile».
Questa novità è iniziata in forma sperimentale nel gennaio del 2019, quando in alcune carceri è stato permesso di fare videochiamate con familiari e amici esterni al carcere mediante l’applicazione Skype for business, installata sui dispositivi forniti dagli istituti. Durante la pandemia l’impossibilità di avere contatti dal vivo con l’esterno per motivi di sicurezza sanitaria ha esteso l’accesso alle videochiamate a tutte le persone recluse. In numerose carceri, inoltre, è stata introdotta la possibilità di fare videochiamate con WhatsApp, in alternativa a Skype for business. L’introduzione delle videochiamate è stata poi resa ufficiale con una circolare del settembre 2022.
«La videochiamata rappresenta un’alternativa che si è dimostrata apprezzata da parecchie persone che in questo modo hanno aumentato molto le possibilità di comunicazione», dice Scandurra. Ciò è dimostrato dai dati raccolti da Antigone nelle 78 visite fatte negli ultimi dodici mesi nelle carceri italiane. In due terzi degli istituti presi in considerazione, almeno la metà dei detenuti contatta i familiari in videochiamata. Inoltre, in più del 30 per cento delle carceri almeno tre quarti dei detenuti fa videochiamate. Secondo Scandurra, «nel 2018, prima dell’introduzione delle videochiamate, la percentuale di quanti facevano regolarmente i colloqui in presenza non era più bassa di oggi. È dunque chiaro che le videochiamate non hanno sostituito ma hanno allargato le occasioni di dialogo tra detenuti e familiari».
Questo e gli altri articoli della sezione Dentro e intorno al carcere sono un progetto del workshop di giornalismo 2024 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.