I quadri di Picasso della discussa mostra australiana per sole donne in realtà non erano di Picasso

La curatrice li aveva messi nei bagni delle donne per aggirare una sentenza che definiva la mostra discriminatoria per gli uomini: ora ha ammesso che li aveva dipinti lei

L'artista e curatrice Kirsha Kaechele posa davanti alla copia del quadro di Picasso da lei dipinto per il Museum of Old and New Art (@kirshakaechele/Instagram)
L'artista e curatrice Kirsha Kaechele posa davanti alla copia del quadro di Picasso da lei dipinto per il Museum of Old and New Art (@kirshakaechele/Instagram)
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Mercoledì l’artista e curatrice Kirsha Kaechele ha pubblicato sul sito del Museum of Old and New Art (MONA) una lettera in cui spiegava che i quadri attribuiti al celebre pittore spagnolo Pablo Picasso inclusi nella sua controversa mostra “Ladies Lounge” erano in realtà dei falsi che lei stessa aveva dipinto anni prima. La mostra fu aperta nel 2020 come un luogo limitato a chiunque si identificava come donna e da cui gli uomini erano esclusi, ma è diventata molto conosciuta a livello internazionale quest’anno, quando un tribunale ha sostenuto che fosse discriminatoria nei confronti degli uomini e ha chiesto al museo di permettere loro l’ingresso.

La copertura giornalistica del caso a livello internazionale ha però portato alcuni a chiedersi da dove venissero i quadri di Picasso esposti nella mostra, che Kaechele sosteneva di aver ereditato da sua nonna. Quest’ultima, diceva lei, aveva avuto una relazione con il pittore molti anni prima. Quando a porre queste domande è stata anche la Picasso Administration, l’organizzazione che gestisce il patrimonio di Picasso, Kaechele ha infine deciso di rivelare che era stata lei a dipingere le opere.

Il MONA è stato fondato dal miliardario e collezionista David Walsh a Hobart, nell’isola australiana della Tasmania, per esporre la sua vasta collezione di opere d’arte antica e contemporanea. Il museo è conosciuto a livello internazionale soprattutto per le sue mostre molto particolari e spesso volutamente provocatorie, come quella al centro di questa storia.

Nel 2020 Kaechele, che è sposata con Walsh e gestisce il museo, aveva inaugurato “Ladies Lounge”, in cui le visitatrici potevano ammirare le opere esposte mentre dei maggiordomi uomini servivano loro champagne e in cui potevano «godere della pura compagnia delle donne». Come ha spiegato Kaechele nella sua lettera, la mostra era stata presentata come uno spazio in cui erano esposte alcune delle «opere d’arte più importanti al mondo», fra cui alcuni dipinti di Picasso, affinché «gli uomini si sentissero il più possibile esclusi», come nel corso della storia le donne sono state (e in alcuni casi sono ancora) escluse da spazi tradizionalmente dominati dagli uomini.

L’intento provocatorio di Kaechele di far sentire esclusi gli uomini aveva prodotto gli effetti desiderati: Jason Lau, un uomo australiano che aveva visitato il MONA nel 2023, aveva fatto causa al museo per avergli impedito di accedere alla mostra. A marzo del 2024 il Tribunale civile e amministrativo della Tasmania aveva dato ragione a Lau, sostenendo che il museo stesse effettivamente discriminando i suoi visitatori sulla base del genere e fosse in violazione dell’Anti-Discrimination Act del 1998. La sentenza chiedeva quindi al MONA di aprire la mostra a tutti, facendo anche riferimento alle importanti opere contenute nella Ladies Lounge, che secondo il giudice il pubblico maschile aveva il diritto di vedere.

Pur di impedire agli uomini di vedere le opere più importanti della mostra Kaechele aveva costruito all’interno della Ladies Lounge dei bagni per sole donne e ci aveva appeso dentro alcune delle opere, fra cui quelle attribuite a Picasso. Il fatto che un’opera prestigiosa come un quadro di Picasso fosse appesa sopra un lavandino e accanto a un water funzionante era stato ripreso da moltissimi giornali di tutto il mondo. Questo aveva portato non solo alcuni giornalisti del britannico Guardian, ma anche la Picasso Administration, a contattare Kaechele per chiederle spiegazioni aggiuntive sul quadro.

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Mercoledì Kaechele ha rivelato che i quadri di Picasso erano in realtà dei falsi da lei dipinti e che anche tutte le altre opere contenute nella mostra lo erano (a differenza di quelle esposte nel resto del museo, che invece sono vere). Nella lettera Kaechele ha scritto: «Ho riempito la lounge di oggetti “inestimabili” […], lance della Nuova Guinea (nuove di zecca, ma presentate come pezzi d’antiquariato raccolti da mio nonno durante le spedizioni nel Pacifico con Michael Rockefeller, quando fu “mangiato dai cannibali”), gioielli “preziosi” (ovviamente nuovi e in alcuni casi di plastica, presumibilmente appartenenti alla mia bisnonna) e un “tappeto di visone” realizzato dal pellicciaio reale della Principessa Mary (in realtà un poliestere di bassa qualità)».

Kaechele ha detto che non si aspettava che l’inganno sarebbe durato così a lungo anche perché uno dei quadri attribuiti a Picasso esposti nella mostra e che era stato il più fotografato dai giornali, una rivisitazione del celebre dipinto Le Déjeuner sur l’herbe di Edouard Manet, era appeso al contrario, e la sua versione originale era esposta al Museo di Picasso a Parigi.