Le condizioni di Joe Biden sono state tenute nascoste?
Dopo il disastroso dibattito contro Trump sono usciti resoconti secondo cui il degradamento della salute di Biden era noto da mesi, ma quasi nessuno ne voleva parlare
Uno degli effetti notevoli del disastroso dibattito elettorale di fine giugno, in cui il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si è dimostrato fragile, confuso e secondo molti troppo anziano per portare avanti la campagna elettorale, è stato il modo di fatto improvviso in cui i media e l’elettorato statunitensi hanno preso coscienza del deciso deterioramento delle condizioni di salute e dello stato di forma di Biden.
Un buon esempio riguarda il New York Times, che circa una settimana prima del dibattito, il 21 giugno, aveva pubblicato un articolo in cui sosteneva che molti dei video che mostravano Biden fragile e confuso erano tagliati o montati ad arte per ingannare gli elettori (l’argomento era stato ripreso anche dal Post) e convincerli che Biden fosse troppo anziano per governare. Una settimana dopo, a seguito del dibattito, il New York Times aveva pubblicato un editoriale in cui aveva di fatto sostenuto che Biden fosse troppo anziano per proseguire nella campagna elettorale. Questo cambiamento di prospettiva improvviso ha portato molti a chiedersi se il deterioramento delle condizioni di Biden sia stato in qualche modo sottovalutato dai media, soprattutto quelli più progressisti, e tenuto nascosto dallo staff del presidente.
Per certi versi sono vere entrambe le cose, anche se non si può certamente parlare di complotti e cospirazioni, come hanno fatto alcuni analisti di destra.
È vero che molti media hanno avuto la tendenza negli ultimi anni a sottovalutare lo stato di forma sempre più fragile di Biden, a considerare i suoi numerosi momenti di confusione come eccezioni e a esaltare i racconti di collaboratori e alleati (ma anche numerosi avversari politici) che lo definivano perfettamente lucido e presente negli incontri privati, in contrasto con un’immagine pubblica sempre più traballante. Quando, a febbraio di quest’anno, il procuratore speciale Repubblicano Robert Hur dopo un interrogatorio definì Biden «un uomo anziano simpatico, benintenzionato e con una scarsa memoria», il Washington Post pubblicò un editoriale molto protettivo nei confronti di Biden intitolato: «Il procuratore speciale dice che Biden è anziano. Cosa c’è di nuovo?».
Dopo il dibattito, questo atteggiamento difensivo dei media è cambiato in modo quasi eccessivo: il New York Times, per esempio, nelle ultime due settimane ha fatto una copertura eccezionalmente minuziosa della crisi della campagna elettorale del presidente.
La possibilità che lo staff di Biden abbia nascosto o in qualche modo omesso le condizioni di salute e la cattiva forma del presidente ha però implicazioni più profonde.
Come hanno raccontato vari giornalisti in queste ultime settimane, lo staff di Biden ormai da anni ha tra le sue priorità fare di tutto per cercare di minimizzare l’impressione della fragilità e dell’anzianità del presidente. Questi tentativi riguardano anzitutto la comunicazione. Biden è il presidente americano con meno esposizione mediatica da decenni a questa parte, ed è quello che ha fatto meno interviste e meno conferenze stampa dai tempi di Ronald Reagan.
Da tempo, inoltre, lo staff di Biden cerca di tenere sotto controllo tutta la narrativa attorno all’età del presidente, cercando di limitare l’uscita di notizie e resoconti negativi. A inizio giugno, per esempio, il Wall Street Journal aveva pubblicato un articolo in cui parlava del deterioramento dello stato di salute del presidente: tra le altre cose, quell’articolo era stato il primo a parlare così esplicitamente della questione, quasi un mese prima del dibattito. Faceva affidamento su decine di fonti, soprattutto anonime, che avevano descritto le loro interazioni con un presidente non sempre lucido.
I giornalisti del Wall Street Journal hanno raccontato che non appena la Casa Bianca aveva saputo che il giornale stava facendo interviste legate alla salute di Biden aveva convinto alcuni degli intervistati Democratici a richiamare i giornalisti per fare dichiarazioni a sostegno del presidente.
Il New York Times ha inoltre notato che, soprattutto negli ultimi mesi, lo staff di Biden aveva organizzato per il presidente esclusivamente interviste con giornalisti o presentatori amici, e che in alcuni casi aveva concordato in precedenza le domande, in modo che Biden potesse arrivare preparato: le domande si ripetevano di intervista in intervista, ed erano tutte molto facili e prive di controversie.
Queste tattiche di controllo della comunicazione non sono niente di strano: tutti i candidati per importanti cariche politiche le adottano. Ma viste alla luce del dibattito contro Trump, molti hanno iniziato a vedere i tentativi dello staff di tenere sotto controllo tutta la comunicazione attorno a Biden non soltanto come un modo per mettere nella miglior luce possibile il presidente, ma anche per nascondere il suo stato di forma sempre peggiore.
Questi tentativi sono diventati via via più complicati ed erratici. Proprio nella notte del dibattito, mentre Biden parlava con voce debole e roca, e in maniera decisamente confusa, lo staff del presidente ha diffuso tra i giornalisti l’informazione che la sua cattiva performance era dovuta a un brutto raffreddore. Il giorno dopo, tuttavia, la giustificazione del terribile dibattito è cambiata, e tanto Biden quanto il suo staff hanno cominciato a dire che il problema era stata la stanchezza, dimenticando completamente il raffreddore.
In queste due settimane dopo il dibattito, inoltre, sono stati pubblicati vari articoli che raccontano come fossero molte le persone che negli ultimi mesi avevano notato un deterioramento visibile delle condizioni di Biden, e come tuttavia nessuno avesse voluto parlarne in pubblico fino a che, con il dibattito, i problemi non erano diventati evidenti a tutti.
In un articolo molto commentato sul New York Magazine, la giornalista Olivia Nuzzi ha raccontato che più o meno da gennaio negli ambienti politici americani erano cominciate a circolare voci sul fatto che la salute di Biden fosse notevolmente peggiorata. Circolavano aneddoti sul fatto che in alcuni giorni il presidente non fosse in grado di rimanere lucido, non sapesse dare risposte coerenti e perfino sul fatto che, nei momenti peggiori, non fosse in grado di riconoscere le persone. La stessa Nuzzi, che è una giornalista piuttosto nota negli Stati Uniti e che conosce da tempo Joe Biden, ha scritto che a un evento ad aprile Biden le aveva chiesto come si chiamasse.
Tutte queste osservazioni, tutti questi aneddoti, hanno cominciato a circolare pubblicamente – in forma più o meno anonima – soltanto dopo il dibattito contro Donald Trump. Prima del dibattito le persone che in questi mesi avevano avuto incontri preoccupanti con Biden – quasi tutti suoi sostenitori, alleati e finanziatori – «non volevano farsi avanti con le loro storie, non volevano rivelare il problema. Volevano sfrecciare dritte oltre a quello che sapevano e riemergere a novembre dopo la vittoria elettorale», ha scritto Nuzzi.
La possibilità che il deterioramento della salute di Biden fosse un fatto noto tra i suoi collaboratori e alleati più stretti e che sia stato in un qualche modo tenuto nascosto fino a che non è stato impossibile farlo potrebbe avere delle implicazioni politiche. Una parte dell’elettorato, anche Democratico, potrebbe ritenere che Biden e il suo staff abbiano tenuto nascoste al pubblico informazioni rilevanti, e che quando dicevano che il presidente era perfettamente lucido e in piena salute in realtà stessero mentendo.
Questo potrebbe compromettere anche parte del messaggio politico di Biden, che è basato sulla sua onestà e rettitudine personale, in contrasto con le menzogne e la disonestà di Donald Trump. Sul fatto che la credibilità di Biden sia stata intaccata, tuttavia, al momento non ci sono dati precisi. Secondo un sondaggio realizzato da Ipsos, circa metà degli statunitensi ha detto che la sua opinione nei confronti di Biden è peggiorata dopo il dibattito. Quando però è stato chiesto loro se Biden sia meritevole o meno della fiducia dell’elettorato (“trustworthy”), il dato è rimasto simile alla rilevazione precedente di aprile, poco sopra al 40 per cento.