Ursula von der Leyen sta cercando voti un po’ dappertutto
La settimana prossima il Parlamento Europeo dovrà votare la sua nomina a presidente della Commissione: per garantirsi la rielezione sta negoziando con molti partiti, ma non sa cosa fare con l'estrema destra
In questi giorni la campagna della presidente uscente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, per cercare di ottenere sostegno a favore della sua riconferma si è intensificata. Il 18 luglio il Parlamento Europeo si riunirà per approvare la sua nomina per un secondo mandato, e von der Leyen vuole essere certa di ottenere almeno i 361 voti necessari (che corrispondono alla maggioranza assoluta dei 720 membri dell’assemblea), e per questo von der Leyen sta lavorando per ingraziarsi e garantirsi il sostegno dei gruppi parlamentari.
Von der Leyen fa parte del Partito Popolare Europeo, di centrodestra, il gruppo più grande del Parlamento Europeo con 188 deputati. Si era candidata a un secondo mandato già lo scorso febbraio, e anche durante la campagna elettorale per le elezioni europee del 9 giugno si era impegnata con costanza per promuovere i risultati raggiunti durante i suoi cinque anni di mandato e rassicurare soprattutto le forze più progressiste riguardo alle sue intenzioni future. La sua nomina è stata confermata a fine giugno dal Consiglio Europeo, che riunisce i capi di stato e di governo dei 27 paesi membri, e dovrà ora essere approvata dal Parlamento.
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Per ottenere i voti necessari von der Leyen sta puntando soprattutto sui partiti che l’hanno già sostenuta nella scorsa legislatura, e che per questo sono diventati noti come quelli della “maggioranza Ursula”: il PPE, i Socialisti (S&D, di centrosinistra) e i liberali di Renew.
Il Parlamento che la settimana prossima dovrà votare però non è più quello del 2019: i risultati delle elezioni ne hanno cambiato in modo sostanziale la composizione, indebolendo sia i Socialisti (che hanno perso 12 seggi) che Renew, che ha perso addirittura 20 seggi. Anche i Verdi, un altro partito da cui von der Leyen spera di essere sostenuta, hanno perso 14 seggi. Al contrario si sono rafforzati i partiti di estrema destra, che complessivamente oggi hanno quasi 190 seggi.
Non è comunque scontato che i partiti della “maggioranza Ursula” decidano di sostenere di nuovo von der Leyen, che in questi giorni sta incontrando i rispettivi leader per trovare un accordo e assicurarsi i loro voti. Martedì scorso è stato il turno dei Socialisti. La capogruppo Iratxe García ha detto che il sostegno del partito non sarà senza condizioni: il gruppo ha chiesto che continuino a essere perseguiti gli obiettivi del Green Deal, l’ambizioso insieme di leggi sul clima approvato nel corso dell’ultima legislatura, e che vengano adottate misure per risolvere la crisi abitativa, un problema comune a molte città europee. Su questo tema i Socialisti hanno proposto anche la nomina di un commissario alla Casa, incarico che al momento non esiste.
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Mercoledì von der Leyen ha incontrato gli esponenti di Renew e poi i Verdi. Questi ultimi non l’avevano sostenuta nel 2019, e nel corso della legislatura si erano limitati a votare le misure valutando caso per caso. Ora però von der Leyen sta cercando anche il loro sostegno come una sorta di cuscinetto contro eventuali franchi tiratori.
Il PPE, i Socialisti e i Liberali hanno 401 seggi al Parlamento Europeo, ben superiori alla soglia di 361 che serve a von der Leyen per essere eletta. Il voto per la presidenza della Commissione Europea si svolge però con scrutinio segreto, ed è probabile che alcuni eurodeputati non seguano le indicazioni del proprio partito e votino contro von der Leyen. Per questo, la presidente uscente sta cercando di assicurarsi un numero di voti di gran lunga superiore al minimo necessario. Per ora i Verdi – che hanno 53 eurodeputati – non hanno escluso la possibilità di votare per von der Leyen, sempre ad alcune condizioni, tra cui il rispetto degli obiettivi imposti dal Green Deal.
C’è però una condizione fondamentale richiesta da Socialisti, Verdi e Liberali: evitare un’alleanza con l’estrema destra, nella quale nelle ultime settimane c’è stato molto movimento. Nel giro di pochi giorni sono stati formati due nuovi gruppi estremisti e sovranisti, i Patrioti per l’Europa (di cui fanno parte tra gli altri il Rassemblement National francese e la Lega) e Europe of Sovereign Nations (ESN), guidato dal partito tedesco Alternative für Deutschland. La nascita di questi due nuovi gruppi ha di fatto cancellato un altro gruppo di estrema destra, Identità e democrazia (ID), di cui nella scorsa legislatura facevano parte tra gli altri la Lega e il Rassemblement National.
Von der Leyen ha escluso fermamente qualsiasi alleanza sia con Patrioti per l’Europa sia con Europe of Sovereign Nations, e non incontrerà nemmeno i loro rappresentanti. Sta invece riservando un trattamento diverso al gruppo dei Conservatori e Riformisti (ECR), sempre di estrema destra e di cui il partito più importante è Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Seppure radicale, il gruppo sostiene alcune posizioni più vicine a quelle dei partiti conservatori tradizionali, per esempio il sostegno all’Ucraina (mentre alcuni esponenti di Patrioti per l’Europa ed ESN sono noti per le loro posizioni filorusse).
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In seguito alle elezioni europee, che in Italia sono state vinte nettamente da Fratelli d’Italia, Meloni ha iniziato a negoziare con gli altri leader europei per far ottenere al proprio gruppo posizioni prestigiose nelle istituzioni. Non ci è riuscita: ECR non ha saputo presentarsi come sufficientemente affidabile e moderato, e gli incarichi principali sono stati di nuovo assegnati ai partiti della “maggioranza Ursula”.
Socialisti, Liberali e soprattutto i Verdi si sono detti fermamente contrari a qualsiasi alleanza con ECR. Von der Leyen invece sembra pensarla diversamente: ha detto di non essere interessata ad avviare una «collaborazione strutturale» con il partito, ma martedì prossimo incontrerà comunque i suoi rappresentanti, una decisione che potrebbe far vacillare il sostegno degli altri alleati.
Von der Leyen ha ancora più o meno una settimana di tempo per cercare di assicurarsi quanti più voti possibili. Se non dovesse raggiungere la soglia di 361 richiesta per la conferma, la sua nomina verrebbe scartata e il Consiglio Europeo dovrebbe mettersi d’accordo e nominare un altro candidato: sarebbe una situazione inedita, che potrebbe aprire una crisi politica. Secondo alcuni osservatori però proprio la mancanza di alternative potrebbe giocare a favore di von der Leyen, aiutando la sua riconferma.