Nel Regno Unito la tassa sulle bevande zuccherate ha funzionato?
La cosiddetta “sugar tax” è stata introdotta nel 2018, e uno studio dell'Università di Cambridge ha mostrato alcuni risultati incoraggianti
Una ricerca dell’università di Cambridge, pubblicata sulla rivista scientifica Journal of Epidemiology and Community Health, ha cercato di valutare gli effetti dell’introduzione nel Regno Unito di una “sugar tax”, cioè di un’imposta sul consumo di bevande zuccherate presentata dal governo britannico nel 2016 e introdotta nel 2018, che ha fatto aumentare il costo di queste bevande. Lo studio ha segnalato che l’imposta sembra aver avuto quanto meno una certa efficacia, e ha riscontrato un calo significativo degli zuccheri assunti attraverso le bevande da parte di bambini e adulti.
I risultati devono tuttavia essere presi con una certa cautela perché questo calo è avvenuto nell’ambito di una diminuzione generale delle calorie assunte in media in una giornata nella popolazione. Tra il 2008 e il 2019 si sono abbassati entrambi i dati, sia il consumo di zuccheri sia le calorie totali, e quindi la percentuale di zuccheri è rimasta pressoché la stessa.
Lo studio ha analizzato i dati dello UK National Diet and Nutrition Survey (NDNS), un sondaggio condotto nel Regno Unito che coinvolge ogni anno circa 500 bambini e giovani (da un anno e mezzo di età a 18 anni) e 500 adulti (dai 18 anni in su). Il campione statistico varia ogni anno, quindi le risposte al sondaggio negli 11 anni analizzati dalla ricerca sono quelle di 7.999 adulti e 7.656 bambini. Nel sondaggio si chiede ai partecipanti di compilare un questionario, chiamato food diary (“diario del cibo”), in cui indicare il cibo e le bevande consumate nell’arco di quattro giorni. Per i bambini sotto gli 11 anni d’età, il questionario viene compilato insieme a un genitore o una persona adulta, che sopra i 12 anni controlla comunque le risposte.
La “sugar tax” è un’imposta applicata da una cinquantina di paesi del mondo. La versione introdotta nel Regno Unito prevede due scaglioni: un’imposta di 18 centesimi di sterlina (0,21 euro) al litro per le bevande che contengono tra i 5 e gli 8 grammi di zuccheri ogni 100 millilitri; e di 24 centesimi (0,28 euro) al litro per le bevande con più di 8 grammi di zuccheri ogni 100 millilitri. Sono previste esenzioni per le bevande a base di caffè, di latte o sue alternative, come il latte di soia o di mandorla; per i succhi di frutta; per la birra analcolica e per il vino senza alcol.
La “sugar tax” fu presentata nel 2016 dal governo di David Cameron come misura per contrastare l’obesità in aumento – oggi il 64 per cento degli inglesi è sovrappeso od obeso – e prevenire malattie come il diabete, di cui soffrono più di 4,4 milioni di britannici. Fu introdotta nell’aprile del 2018 dal governo di Theresa May, espresso sempre dal Partito Conservatore, che era succeduto a quello di Cameron.
Tra gli effetti del provvedimento ci fu un aumento compreso tra il 31 per cento e il 140 per cento dei prezzi delle bevande sottoposte all’imposta, ma anche l’introduzione da parte delle stesse aziende produttrici di varianti con livelli di zuccheri inferiori. In alcuni casi, le aziende optarono per lattine o bottiglie più piccole, in modo da offrirle a prezzi comparabili al periodo precedente la “sugar tax”.
In questi anni diversi articoli scientifici hanno analizzato gli aspetti economici della “sugar tax” britannica, ma finora non c’erano stati studi su come avesse influenzato le abitudini delle persone. Questa ricerca riscontra, in generale, che lo zucchero assunto dai bambini tramite le bevande si è all’incirca dimezzato nei tre anni successivi all’annuncio dell’imposta, rispetto al periodo precedente. Negli adulti si è invece verificata una riduzione di circa un terzo.
I ricercatori dell’università di Cambridge hanno poi analizzato in modo specifico gli 11 mesi successivi all’introduzione della “sugar tax”. Nei bambini hanno riscontrato una riduzione complessiva del consumo di zuccheri aggiunti di 4,8 grammi al giorno, di cui 3 grammi da bevande zuccherate. Negli adulti lo stesso dato è di 10,9 grammi al giorno, di cui 5,2 da bevande gassate. Come detto, però, la percentuale di zuccheri sul totale delle calorie assunte in una giornata non è variata considerevolmente: ed è comunque superiore a quella massima (del 5 per cento) indicata dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS).
Nina Roger, la principale autrice dello studio, ha spiegato: «La “sugar tax” non è una bacchetta magica, ma si è dimostrata efficace in termini di una riduzione del consumo di zuccheri, oltreché essere associata alla riduzione delle estrazioni dentali nei bambini e dell’obesità nelle bambine». Roger spiega anche che è importante accompagnare la “sugar tax” ad altre misure di prevenzione sanitaria. Il riferimento agli altri effetti cita due ricerche dell’università di Cambridge di questi anni.
Per quanto riguarda l’odontoiatria, la “sugar tax” avrebbe contribuito a un calo del 12 per cento del numero di minorenni ricoverati in ospedale per l’estrazione di un dente. Nel Regno Unito è comune andare in ospedale per problemi dentistici perché da tempo mancano i dentisti convenzionati con il servizio sanitario nazionale (NHS): si parla a proposito di una “crisi dei dentisti”.
Anche per questi primi risultati incoraggianti, da un po’ nel Regno Unito la politica discute se estendere l’imposta ai cibi ricchi di zuccheri aggiunti, o a quelli che contengono molto sale. Lo aveva raccomandato nel 2021 una commissione indipendente, incaricata dal ministero dell’Ambiente e dell’Alimentazione, ma gli ultimi governi dei Conservatori, guidati da Liz Truss e Rishi Sunak, si erano opposti.
Il nuovo primo ministro Keir Starmer ha detto in più occasioni di voler intervenire per ridurre l’obesità: le misure prospettate nel programma dei Laburisti, però, si concentrano sull’aumentare l’attività sportiva nelle scuole e sul vietare la pubblicità di prodotti poco salutari: in tv dopo le 21 e sui social network per gli utenti minorenni.
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