Cosa c’è nella riforma della giustizia

Oltre ad abolire l'abuso d'ufficio, il “ddl Nordio” modifica il reato di traffico di influenze illecite e introduce nuove regole su misure cautelari, avvisi di garanzia e intercettazioni

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
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Mercoledì la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva un disegno di legge promosso dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che contiene diverse modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare. La riforma, che ora è quindi diventata legge, è stata definita “ddl Nordio” ed è stata molto discussa in questi mesi perché tra le altre cose prevede l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, sulla cui efficacia e utilità ci sono posizioni molto diverse. Il testo però contiene anche diverse altre novità.

Abolizione dell’abuso d’ufficio
L’abuso d’ufficio era un reato che puniva chi approfittava di un incarico pubblico per procurare intenzionalmente un vantaggio ingiusto a se stesso o a qualcun altro, o per danneggiare ingiustamente qualcuno. Prevedeva come pena la reclusione da uno a quattro anni. È stato un reato a lungo contestato, soprattutto da sindaci e amministratori locali, sia di destra che di sinistra, perché aveva ambiti di applicazione molto ampi e poco definiti: questo permetteva l’apertura di molte indagini proprio a carico di sindaci e amministratori, che nella quasi totalità dei casi si concludevano con archiviazioni o assoluzioni.

Una grossa parte dei sindaci e degli amministratori locali si lamentava che sulla base del reato di abuso d’ufficio chiunque e per qualsiasi ragione, anche per interesse personale, potesse accusare un pubblico ufficiale di abusare della sua funzione, limitando così moltissimo il suo lavoro. Queste critiche erano sostenute anche dal governo di Giorgia Meloni ed erano alla base della riforma proposta da Nordio. Secondo il governo l’abolizione del reato servirà a facilitare il lavoro dei pubblici ufficiali, soprattutto sindaci e amministratori, che per evitare di incorrere in procedimenti penali evitavano di prendere decisioni su provvedimenti di carattere discrezionale, anche i più banali (la cosiddetta “paura della firma”).

Anche diversi giuristi sono a favore dell’abolizione del reato, ma ce ne sono altri invece molto critici. Tra le ragioni contro l’abolizione più citate c’è quella secondo cui l’apertura di indagini per abuso d’ufficio sarebbe stata spesso utile a individuare reati più gravi nella pubblica amministrazione, di cui altrimenti non ci si sarebbe resi conto.

Modifiche al traffico di influenze illecite
La riforma prevede poi modifiche al reato di “traffico di influenze illecite”, anche questo da tempo discusso, soprattutto per il fatto che secondo alcuni era troppo vago e aveva un ambito di applicazione troppo ampio. È ancora applicabile, ma solo ai casi più gravi.

Il traffico di influenze illecite prevede una sorta di triangolazione, cioè tre soggetti: il “mediatore”, il “committente” della mediazione (un soggetto privato) e il pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.

Finora con questo reato veniva punito chi, dietro compenso e sfruttando o millantando un particolare rapporto con un funzionario pubblico, si impegnava a fare da “mediatore” tra un soggetto privato e il soggetto pubblico (quest’ultimo poteva anche non essere a conoscenza dell’accordo illecito). Perché si verificasse il traffico di influenze illecite non era necessario che l’atto al centro dell’accordo si concretizzasse, era sufficiente che ci fosse l’accordo.

Con le modifiche della riforma Nordio la mediazione del traffico di influenze sarà ritenuta illecita solo se serve a far compiere un reato a un pubblico ufficiale. Inoltre, le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale saranno punite solo se si verifica che esistono realmente (non basta che vengano soltanto millantate) e solo se vengono effettivamente utilizzate. Nella pratica la riforma elimina le cose che erano state aggiunte dalla cosiddetta legge “spazzacorrotti”, promossa nel 2019 dal ministro della Giustizia del primo governo di Giuseppe Conte, Alfonso Bonafede del Movimento 5 Stelle.

Visto che è stato ristretto solo ai casi più gravi, la pena minima per il traffico di influenze è stata aumentata da un anno a un anno e mezzo.

Modifiche sull’avviso di garanzia
L’informazione di garanzia, più spesso chiamata “avviso di garanzia”, è l’atto che viene inviato dal pubblico ministero a una persona indagata per informarla delle indagini a suo carico. Non viene inviata subito all’apertura delle indagini, ma solo se il pubblico ministero deve compiere atti a cui l’avvocato difensore della persona indagata ha il diritto di assistere.

In teoria sarebbe un atto a garanzia della persona indagata, ma secondo il governo la consegna di un avviso di garanzia diventa troppo spesso e troppo presto di dominio pubblico, danneggiando l’immagine della persona coinvolta (perché divulgata dai media dando ampio spazio alla relativa indagine, specialmente quando riguarda una persona nota). Per questo la riforma Nordio impone nuovi obblighi sul modo in cui viene consegnato l’avviso di garanzia, per garantire la riservatezza di chi lo riceve, limitando soprattutto l’impiego della polizia giudiziaria per la consegna.

L’avviso di garanzia dovrà inoltre contenere una «descrizione sommaria del fatto» contestato alla persona indagata, cosa che finora non era prevista.

Modifiche sulle misure cautelari
Le misure cautelari sono quelle che un giudice può disporre nella fase delle indagini preliminari per limitare la libertà di una persona indagata per un certo reato (che quindi non è ancora sotto processo), se ritiene che questa possa scappare, inquinare le prove o commettere altri reati. Tra le misure cautelari possibili ci sono la detenzione in carcere, gli arresti domiciliari e vari divieti di allontanarsi da un certo posto o di avvicinarsi a un altro.

Con la riforma il giudice dovrà interrogare la persona indagata prima di disporre una misura cautelare, in modo da garantire una forma di difesa preventiva. Finora le misure cautelari venivano semplicemente notificate e applicate.

La decisione sulla custodia cautelare in carcere, inoltre, dovrà essere presa da un organo collegiale composto da tre giudici, invece che da uno solo come avveniva finora. Quest’ultima modifica entrerà in vigore fra due anni, per dare il tempo di assumere altri 250 giudici che svolgano anche questa funzione.

Nuovi limiti sulle intercettazioni
Dai verbali delle intercettazioni dovranno essere escluse le parti che riguardano persone diverse da quelle coinvolte nel processo, a tutela della loro privacy. Anche in documenti del processo come la richiesta di misura cautelare del pubblico ministero e l’ordinanza di custodia cautelare del giudice dovranno essere escluse informazioni su persone diverse da quelle coinvolte, a meno che non siano indispensabili per l’esposizione dei fatti.

La riforma introduce anche il divieto di pubblicare qualsiasi intercettazione di un processo, se questa non è contenuta in un provvedimento del giudice o comunque se non è stata usata nel dibattimento. Il rilascio della copia delle intercettazioni può essere concesso solo alle persone coinvolte nel processo e ai loro avvocati.

Reintroduzione dell’inappellabilità
La riforma di Nordio introduce il divieto per il pubblico ministero (cioè la parte dell’accusa in un processo) di fare appello contro una sentenza di assoluzione in primo grado. L’inappellabilità della sentenza di assoluzione in primo grado fu introdotta già da un governo di Silvio Berlusconi nel 2006, promossa dal deputato di Forza Italia Gaetano Pecorella (e nota infatti come “legge Pecorella”). È una delle leggi di Berlusconi accusate di essere “ad personam”, fatte cioè con l’intento specifico di favorire qualcuno, Berlusconi stesso in questo caso: non restò in vigore a lungo, perché nel 2007 fu dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale.

Ora il divieto per il pm di appellarsi a una sentenza di assoluzione in primo grado è stato reintrodotto, ma solo per reati più lievi, nel tentativo proprio di tenere conto delle osservazioni fatte dalla Corte Costituzionale nel 2007. Tra i reati che non saranno appellabili ci sono per esempio rissa, lesioni stradali gravi, furto aggravato e truffa.

Limite d’età per i giudici popolari delle Corti d’Assise
Un’ultima misura della riforma prevede che i giudici popolari delle Corti d’Assise non possano avere più di 65 anni (al momento della nomina). I giudici popolari fanno parte delle Corti d’Assise, cioè quelle che giudicano i reati più gravi, e hanno il compito di partecipare alle udienze e alle decisioni prese nelle sentenze. Vengono scelti a sorte tra chi ha chiesto l’iscrizione a un apposito albo e restano in carica per tre mesi (se vengono chiamati a giudicare un processo che dura oltre i tre mesi della loro carica, lo seguono comunque fino alla fine).