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  • Giovedì 11 luglio 2024

Come Giorgio Armani ha cambiato la moda maschile

Con i suoi completi, e grazie al modo in cui li hanno indossati gli attori fuori e dentro i film, è diventato lo stilista italiano più famoso al mondo: oggi compie 90 anni

Giorgio Armani saluta il pubblico di una sua sfilata, Milano, 25 febbraio 2024
(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)
Giorgio Armani saluta il pubblico di una sua sfilata, Milano, 25 febbraio 2024 (Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

Nel 1980 una scena del film American Gigolò cambiò il modo in cui molti uomini volevano essere: l’attore americano Richard Gere, che interpreta l’escort Julian Kay, prende un po’ di coca e, in mutande, decide come vestirsi mentre ascolta la canzone “The Love I Saw in You Was Just a Mirage” di Smokey Robinson & The Miracles. Apre armadi e cassetti, tira fuori giacche, camicie, cravatte, le dispone sul letto e poi si diverte ad abbinarle fino a scegliere il completo che gli va. Il corpo di un uomo non era mai stato oggettificato e celebrato così sullo schermo e Gere offrì un nuovo modello maschile: rilassato, compiaciuto della propria bellezza, sexy anche perché si prendeva il tempo per abbellirsi. Gli abiti che indossa nel film seguono questa idea, sono fluidi, morbidi e mettono in evidenza il corpo anziché ingabbiarlo: e sono tutti di Giorgio Armani.

Armani, che è nato a Piacenza l’11 luglio del 1934, oggi compie 90 anni e da allora è diventato uno degli stilisti più famosi al mondo, così famoso da essere conosciuto anche da chi non segue la moda. Ovunque è considerato «sinonimo di eleganza» e rappresenta un’idea di stile e buon gusto italiani vagheggiata all’estero e alimentata in Italia, dove nelle occasioni più formali calciatori, presentatrici di Sanremo, capi di stato e di governo vestono immancabilmente Armani.

Di lui si conoscono lo yacht enorme, i locali milanesi con le feste da ricchi rampanti, le divise per gli Europei di calcio e per le Olimpiadi (comprese queste di Parigi), la devozione stakanovista al lavoro, il corpo abbronzato e sempre in forma, gli occhi blu, il sorriso affilato, le dicerie sul naso rifatto e la divisa – maglietta, pantaloni blu, sneaker bianche o scarpe stringate scure – con cui saluta il pubblico dopo ogni sfilata.

Pur avendo influenzato il modo di vestire degli uomini e delle donne in molte parti del mondo, Armani ci mise un po’ a entrare nel mondo della moda. Si era iscritto alla facoltà di Medicina alla Statale di Milano, dove si era trasferito nel 1949 con la famiglia, e nel 1953 la abbandonò per fare il servizio di leva in un ospedale militare di Verona; poi cambiò strada e andò a lavorare come vetrinista alla Rinascente di Milano, un grande magazzino di lusso. Continuò come assistente fotografo e poi buyer (cioè sceglieva cosa comprare per rivenderlo in negozio) e infine nel reparto vendite finché, a inizio anni Sessanta, ottenne un lavoro come designer dallo stilista Nino Cerruti.

Alla fine degli anni Sessanta incontrò Sergio Galeotti, che divenne il suo compagno nella vita e nel lavoro: Galeotti lo convinse a mettersi in proprio e a lavorare come consulente di marchi di moda, e poi ad aprire un suo studio a Milano nel 1973. Nel 1974 Armani presentò, a 40 anni, la sua prima collezione a Firenze (all’epoca le sfilate si tenevano a Firenze e non a Milano): piacque molto, soprattutto per il bomber di pelle portato su completi lussuosi.

Nel 1975 Armani e Galeotti fondarono insieme la Giorgio Armani Spa e in quell’anno venne presentata la prima collezione uomo, quella per la primavera/estate 1976, che ottenne subito l’attenzione degli addetti ai lavori. Nel 1976 le sue giacche destrutturate vennero acquistate dal famoso negozio Barneys di New York, anche se il successo arrivò, come detto, nel 1980 con American Gigolò, un film che «non parla del protagonista, parla di cosa indossa: American Gigolò è un film su Armani», come riassume il critico di moda Christopher Laverty.

Richard Gere vestito in Armani nel film American Gigolò, 1980. Si racconta che una volta, scherzando, disse: «chi è che recita in questa scena, io o la giacca?» (©Paramount Pictures/Courtesy: Everett Collection )

La collaborazione nacque in modo «spontaneo» – ha raccontato Armani alla rivista System – in un incontro favorito da un altro italiano, il produttore Giorgio Moroder, che compose e curò la musica del film. Nel 1979 il regista Paul Schrader e l’attore John Travolta, che inizialmente doveva avere il ruolo di Gere, andarono nell’ufficio di Armani a Milano e lui propose i bozzetti della collezione a cui stava lavorando: piacquero e nell’estate del 1980 chiunque – avendo i soldi – si sarebbe potuto vestire come Julian Kay semplicemente entrando in un negozio Armani.

Armani disse che «il magico momento del film in cui ci sono le camicie sul letto e lui getta le cravatte sulla camicia era perfetto per i tempi: era un vero cambiamento per gli uomini. Riguardava le loro scelte, i loro muscoli, voleva dire gettar via l’intera storia su come gli uomini si vestono: un momento davvero speciale» che si accordava a quello che lui aveva fatto nel mondo della moda, togliendo fodere e imbottiture alla giacca e trasformandola in «una seconda pelle» che liberava e celebrava il corpo.  Mentre rendeva l’abbigliamento maschile fluido e sensuale, offriva alle donne uno stile strutturato e androgino, con completi giacca-pantalone e abiti dalle linee pulite e dal taglio maschile.

Una foto della copertina che la rivista Time dedicò a Giorgio Armani nel 1982

Il successo di Armani fu sancito anche dalla copertina che la rivista Time gli dedicò nel 1982 (TIME)

Cambiò anche l’utilizzo del colore, servendosi quasi solo di colori neutri come il grigio, il beige, il greige (parola coniata per indicare un suo colore tipico, a metà tra grigio e beige) e il blu notte. «I suoi principi – spiega la critica di moda Suzy Menkes – sono simili alle idee minimaliste del Bauhaus: design libero dagli ornamenti senza senso».

Dopo American Gigolò Armani capì il potere del cinema nell’influenzare le masse e decise di investirci in modo strategico. Iniziò a coltivare relazioni con attori, attrici, registi, costumiste e nel 1988 aprì un negozio a Los Angeles riservato alle celebrità, che consigliava come vestirsi nella vita privata, nei film e sui red carpet. Divenne tra gli stilisti di fiducia di Diane Keaton, Michelle Pfeiffer, Julia Roberts, Dennis Hopper, Tom Cruise e Jodie Foster, e disegnò gli abiti per oltre 200 film, tra cui Gli Intoccabili di Brian De Palma, Casino e The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese – che nel 1990 girò un documentario su Armani, disponibile online – e tutti quelli indossati da Christian Bale nella trilogia su Batman del regista Christopher Nolan.

Christian Bale in American Psycho, film del 2000 tratto dall’omonimo libro dello scrittore Bret Easton Ellis. Bateman, che è ossessionato dai marchi giusti, veste esclusivamente Armani, così come molti altri personaggi di Ellis (© Lions Gate / Courtesy Everett Collection)

Alla cerimonia degli Oscar del 1990 le celebrità vestite in Armani furono così tante che vennero soprannominati Armani Awards, anziché Academy Awards (l’Academy è l’associazione che assegna i premi Oscar). Prima di Armani, infatti, i red carpet erano un’infilata di abiti sfarzosi e ingessati, spesso realizzati dai costumisti: lui invece portò uno stile più contemporaneo, che esprimeva la personalità dell’attore e non del personaggio.

L’attrice Jodie Foster vince l’Oscar come Migliore attrice protagonista per Il silenzio degli innocenti vestita in Giorgio Armani, nel 1992 (AP Photo)

Armani seppe capitalizzare il successo di Hollywood realizzando molti prodotti accessibili alle masse: profumi, occhiali, biancheria intima, linee di abbigliamento più giovani ed economiche (come Emporio Armani e Armani Jeans) e vestiti o accessori prodotti in licenza, cioè fatti da altre aziende che pagavano Armani per poterci mettere sopra il suo logo. Nel 1989 aprì anche una linea dedicata alla casa e nel 2004 firmò un accordo con l’azienda edile di Dubai Emaar Properties per costruire hotel e resort in tutto il mondo. Nel 2015 ha inaugurato a Milano l’Armani Silos, uno spazio espositivo che raccoglie alcuni dei suoi lavori e mostre d’arte, moda e fotografia.

Dal 1985, dopo la morte di Galeotti per complicazioni legate all’AIDS, Armani è l’unico proprietario dell’azienda, tra le poche in Italia gestite dal fondatore o dai suoi eredi: «la mia azienda è il mio impero, nessuno può prendere il mio posto», disse al Times nove anni fa.

Nel 2020 in un’intervista al sito Highsnobiety ha detto di aver iniziato a fare moda quando «era il principale motore della modernità. Oggi il testimone è passato ai social media e alla tecnologia, forse, mentre la moda si è trasformata in una forma di intrattenimento. Questo è il cambiamento principale che ho visto. Quanto a me, continuo a credere che la moda abbia un impatto profondo sulla vita quotidiana delle persone, che cambi le percezioni e le attitudini, e che dia davvero inizio al progresso. Non credo che lo stile sia un esercizio a se stante: lo stile fa parte della vita».