Un programma che potrebbe aiutare un po’ le persone gay in Giappone

Il reality “The Boyfriend” punta a smontare almeno in parte gli stereotipi sulla comunità LGBTQ+ nel paese, l'unico del G7 a non aver ancora legalizzato le unioni omosessuali

Dettaglio di una locandina della serie in cui due ragazzi stanno per baciarsi
Dettaglio di una locandina della serie (Netflix via IMDb)
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La didascalia che compare all’inizio della prima puntata del reality The Boyfriend, disponibile su Netflix dal 9 luglio, dice che “tutti possono innamorarsi di tutti”: il programma è ambientato in Giappone, ha per protagonista un gruppo di ragazzi gay e bisessuali ed è il primo programma del paese rivolto a persone della comunità LGBTQ+ che cercano un partner. Anche se negli ultimi anni sono stati fatti progressi, il Giappone è l’unico tra i paesi del G7 a non aver ancora legalizzato le unioni tra persone dello stesso sesso, e le discriminazioni nei loro confronti sono ancora frequenti. Per i produttori e per alcuni commentatori la serie potrebbe essere uno strumento per contribuire a diffondere consapevolezza e smontare qualche stereotipo.

The Boyfriend racconta le giornate di otto ragazzi dai 22 ai 36 anni riuniti per un mese in una villa di lusso nella città marittima di Tateyama, a sud di Tokyo: di giorno si alternano a lavorare su un camioncino dove vendono caffè, mentre nel resto del tempo chiacchierano, si dividono i compiti domestici, escono e si conoscono. Il suo format ricorda quello di uno dei più famosi reality giapponesi, Terrace House, che come The Boyfriend è stato prodotto dalla tv giapponese Fuji TV, si trova sempre su Netflix e ha avuto un discreto successo anche fuori dal paese.

I ragazzi all’inizio sono cinque, ma man mano se ne aggiungono altri: ci sono per esempio Dai, uno studente universitario che teme «di non trovare mai l’amore», Kazuto, che fa lo chef in una izakaya (i tipici locali giapponesi dove bere e mangiare) e partecipa al programma «per trovare un compagno di vita», e Taeheon, un designer della Corea del Sud che non ha ancora fatto coming out con la famiglia. Oltre a fare le cose di tutti i giorni, i protagonisti si confrontano sulle loro relazioni passate, riflettono sulle aspettative delle famiglie e della società, e cercano di capire se potrebbe cominciare una storia con qualcuno degli altri.

Gli spezzoni delle loro giornate sono alternati ai commenti di tre presentatrici e due presentatori, che li osservano da uno studio e fanno un po’ la parte del pubblico, immaginandosi chi potrebbe avere una cotta per chi e tifando per le coppie che sembrano cominciare a formarsi già dal secondo episodio. Tra di loro ci sono la drag queen Durian Lollobrigida e Yoshimi Tokui, un comico piuttosto noto che tra le altre cose commenta anche Terrace House. I primi tre episodi sono disponibili dal 9 luglio, i tre successivi dal 16 e gli ultimi quattro rispettivamente dal 23 e dal 30 luglio in decine di paesi, compresi Italia e Giappone appunto.

Daisy Jones del Guardian ha scritto che The Boyfriend è «comfort tv al suo meglio», quel tipo di televisione che coinvolge, dà conforto e mette di buonumore, con un’«atmosfera sognante, un po’ come l’ASMR», la sensazione di benessere o relax che possono provocare stimoli tattili o uditivi come fruscii o sussurri. In effetti la serie sembra molto più vera e meno forzata rispetto ad altri reality simili: c’è qualche gelosia ma non è mai eccessiva, ci sono un po’ di nudità e flirt ma pochi riferimenti al sesso, e tra i ragazzi sembra esserci molto rispetto: in generale dicono di vedere il programma come un’opportunità per trovare quantomeno amicizie o come un momento di crescita personale.

Reality di questo tipo, con un cast LGBTQ+ o meno, non sono una novità: lo sono però per il Giappone, che a oggi rimane un paese per molti aspetti conservatore. In pubblico si tende a non parlare di sessualità o identità di genere, il linguaggio d’odio per chi ha un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità è diffuso e le poche persone apertamente gay, trans o queer che si vedono in tv di solito vengono percepite in maniera stereotipata. Anche se in qualche città ci sono certificati di unione e sentenze che riconoscono i diritti delle coppie omosessuali, e anche se secondo un sondaggio del 2023 più del 70 per cento delle persone giapponesi è favorevole alla legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, il governo non lo ha ancora fatto.

In questo senso, The Boyfriend punta a «mostrare le relazioni tra persone dello stesso sesso come sono per davvero», ha detto al New York Times Dai Ota, il produttore esecutivo della serie, che aveva lavorato anche su Terrace House. L’influencer e modello gay Taiki Takahashi, direttore del casting, ha detto di non credere che il programma possa cambiare la società, ma che possa comunque avere «un qualche tipo di impatto». Ota ha spiegato che non è pensato per proporre un commento sociale e politico esplicito, ma vuole raccontare le diversità anche attraverso l’origine dei protagonisti: Gensei per esempio è un parrucchiere e truccatore di Taiwan, mentre Alan un informatico di origini brasiliane, italiane e giapponesi.

Lollobrigida, la drag queen tra i commentatori della serie, ha sottolineato che «per ottenere vari diritti è chiaramente importante alzare la voce e protestare, ma al tempo stesso è importante la normalizzione» anche grazie ai programmi di intrattenimento e a chi se ne occupa. Anche da questo punto di vista le cose stanno lentamente cambiando: nel 2023 per esempio la popstar del gruppo AAA Shinjiro Atae aveva detto apertamente di essere gay durante un concerto a Tokyo, anche per far capire ai suoi fan che dovessero trovarsi in difficoltà «che non sono soli».

Per Soshi Matsuoka, fondatore di Fair, un gruppo per i diritti LGBTQ+ di Tokyo, la sola esistenza di The Boyfriend «mostra un cambiamento nella società»; tuttavia gli sarebbe piaciuto che durante il programma i suoi protagonisti avessero approfondito di più le questioni legate ai diritti delle persone omosessuali nel paese. Jennifer Robertson, professoressa di Antropologia all’Università del Michigan che si è occupata spesso di cultura LGBTQ+ in Giappone, ha osservato che per certi versi il programma mostra e idealizza comportamenti che di norma non vengono associati alla gran parte degli uomini giapponesi: dubita però che possa convincere a essere più aperta nei confronti degli uomini gay o bisessuali quella parte di pubblico che già non è tollerante, e che probabilmente a suo dire non lo guarderebbe nemmeno.

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