I Conservatori britannici devono scegliere chi ricostruirà il partito
È iniziato il lungo processo per scegliere il leader che sostituirà Rishi Sunak: non c'è un candidato favorito, e le tensioni interne rimangono parecchie
Martedì i Conservatori britannici, che hanno perso molto nettamente le elezioni parlamentari di giovedì scorso, hanno nominato il presidente del 1922 Committee, un importante organo direttivo che ha il compito di organizzare il processo di selezione del prossimo o della prossima leader del partito. L’attuale segretario ed ex primo ministro Rishi Sunak ha infatti annunciato le sue dimissioni poco dopo la sconfitta. La nomina del presidente del 1922 Committee ha avviato ufficialmente la procedura per sostituirlo. In realtà le manovre di diversi compagni di partito per sostituire Sunak erano cominciate ancora prima che si votasse, di fronte ai sondaggi che pronosticavano un risultato disastroso per i Conservatori, come poi è avvenuto.
Venerdì, nel suo ultimo discorso da primo ministro, Sunak aveva detto che avrebbe lasciato la guida del partito, ma non subito, per dare tempo ai Conservatori di riorganizzarsi dopo il peggior risultato in termini di seggi nei loro 190 anni di storia. Non è ancora chiaro quanto ci vorrà: alcuni esponenti vorrebbero affrettare i tempi per dare un segnale politico, secondo altri è meglio prendersi qualche mese di riflessione per evitare decisioni affrettate.
La nomina del presidente del 1922 Committee è stata comunque piuttosto caotica, segno che la sconfitta ha alimentato tensioni e litigi, oltre a una certa confusione.
Il presidente viene eletto dai deputati del Partito Conservatore, che nel nuovo parlamento sono 121. Ieri sera però c’è stato qualche errore di comunicazione, e sembra che non tutti siano riusciti a votare. Alcune delle mail inviate ai deputati con le istruzioni per votare riportavano un orario sbagliato: c’era scritto che fosse possibile farlo fino alle 18, ma in realtà la votazione ha chiuso alle 17:30. Qualche esponente ha protestato, altri l’hanno presa sul ridere, ma più in generale il partito non ci ha fatto una gran figura. Alla fine è stato eletto presidente Bob Blackman, con 61 voti contro i 37 dell’altro candidato, Geoffrey Clifton-Brown.
Blackman e Clifton-Brown sono gli unici due membri del comitato (su 18) che sono stati rieletti. L’ex presidente Graham Brady, una figura molto rispettata, non si era ricandidato alla Camera dei Comuni, la camera bassa britannica. Il 1922 Committee – che in realtà è nato nel 1923 – ha poteri consistenti. Ne fanno parte i deputati che non ricoprono ruoli nel governo ombra (quello nominato dall’opposizione, privo di poteri, in contrapposizione al governo in carica, di cui riproduce la scansione in ministeri).
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È stato scritto che il comitato «è sinonimo di dissenso disciplinato», perché tra i suoi compiti c’è raccogliere le lettere di sfiducia per il leader, fissando il numero di lettere necessarie a far partire una votazione di sfiducia per sostituirlo (attualmente è fissata al 15 per cento del gruppo parlamentare). In tempi recenti, sono state le lettere di sfiducia accumulate da Theresa May e da Boris Johnson, ai tempi primi ministri, a innescare il processo che portò alle loro dimissioni.
Ora che i Conservatori sono all’opposizione, però, il primo compito del 1922 Committee è quello di stabilire le regole delle primarie con cui il partito sceglierà il suo nuovo leader.
Un problema che tutti gli aspiranti leader dovranno porsi – sia durante le primarie sia, soprattutto, dopo – è quale strategia adottare nei confronti di Nigel Farage. All’ottavo tentativo Farage ha infine ottenuto un seggio in parlamento con un partito di estrema destra, Reform UK, che ha sottratto consensi ai Conservatori contribuendo al loro scarso risultato. Farage fra l’altro ha detto più o meno apertamente di volere indebolire il Partito Conservatore a tal punto da condizionare dall’esterno le sue scelte.
La questione principale sarà se fare oppure no delle primarie aperte, a cui quindi possono partecipare anche persone che non siedono in parlamento e che non fanno parte del partito, attualmente. In caso di primarie aperte potrebbe partecipare anche Farage, che però non sembra interessato. Farage è stato iscritto al partito fino agli anni Novanta e in passato aveva detto: «Sarei sorpreso se non diventassi leader dei Conservatori entro il 2026». In questi giorni però ha parlato di Reform UK come di un progetto a lungo termine.
Secondo le norme attuali, possono partecipare alle primarie solo deputati e deputate in carica: questo escluderebbe anche Penny Mordaunt, ex segretaria alla Difesa e leader della Camera dei Comuni, che da mesi era considerata una delle favorite per succedere a Sunak. Mordaunt però alle ultime elezioni non è stata rieletta nella sua circoscrizione di Portsmouth North, nel sud dell’Inghilterra.
Un’altra questione da definire è quella dei tempi: se cioè fare le primarie prima o dopo la convention annuale del partito, che si terrà a fine settembre a Birmingham. Ci sono pressioni per farle partire subito, ma è un processo piuttosto elaborato: prevede prima più turni di votazione tra i parlamentari e infine di sottoporre ai circa 175mila iscritti al partito la scelta tra i due candidati che hanno raccolto più consensi durante la prima fase.
Ancora nessun esponente dei Conservatori si è candidato ufficialmente, ma ci sono alcuni nomi che circolano da tempo.
Suella Braverman, ex ministra dell’Interno licenziata da Sunak lo scorso novembre per le sue posizioni estremiste e i suoi inciampi pubblici, si è di fatto auto-candidata. Secondo i commentatori, però, la sua campagna sta già perdendo pezzi prima di iniziare, cioè ha perso alcuni collaboratori e sostenitori. All’interno del partito non sono state apprezzate le uscite che Braverman ha fatto in campagna elettorale, soprattutto un appello a «unire la destra» accettando un eventuale ritorno di Farage nel partito.
Farage è considerato da molti dirigenti l’artefice della sconfitta dei Conservatori: in un sistema uninominale secco, dove ottiene il seggio il candidato che prende anche solo un voto in più degli avversari, è stato calcolato che la concorrenza di Reform UK è stata probabilmente decisiva per far perdere i Conservatori in circa 170 collegi. Dopo le elezioni Braverman ha cambiato tono definendo Reform UK «una minaccia esistenziale» per i Conservatori. In generale però rimane una candidata molto ideologica e radicale, persino per un partito che negli ultimi anni ha appoggiato diverse posizioni di estrema destra.
Le elezioni, tra l’altro, hanno cambiato gli equilibri nel gruppo parlamentare, ridimensionando l’influenza dell’ala destra. Alcuni dei politici più reazionari, come l’ex prima ministra Liz Truss e l’ex ministro Jacob Rees-Mogg, non sono stati rieletti, a differenza di diversi esponenti più moderati.
L’ex ministra agli Affari economici e al Commercio, Kemi Badenoch, ha invece maggiori possibilità di Braverman. Alla prima riunione del governo ombra dei Conservatori, da cui sono usciti l’ex ministro degli Esteri David Cameron e altri esponenti autorevoli, Badenoch ha criticato Sunak, per la decisione di convocare le elezioni in anticipo di qualche mese rispetto alle ipotesi che circolavano nel partito, e per aver lasciato in anticipo le celebrazioni per l’ottantesimo anniversario dello sbarco in Normandia: uno dei molti errori di Sunak in campagna elettorale. I giornali britannici hanno letto queste dichiarazioni come preliminari a una candidatura.
Secondo un primo sondaggio della Queen Mary University of London e della Sussex University, peraltro, Badenoch raccoglie i maggiori consensi tra i membri del partito rispetto agli altri nomi ipotizzati per la leadership: il 31 per cento. Seguono Braverman (16 per cento) e due ex ministri: Tom Tugendhat (15 per cento) e Jeremy Hunt (12 per cento). Hunt, che è l’ex ministro delle Finanze, ha però già escluso di candidarsi. Tugendhat, invece, potrebbe farlo, puntando a raccogliere i consensi dei deputati centristi. È noto soprattutto per le sue posizioni molto critiche nei confronti della Cina.
I giornali britannici hanno parlato per mesi di una possibile candidatura alla leadership dell’ex ministro dell’Interno, James Cleverly, che piace molto ai colleghi ma ha finora esitato per ragioni personali (sua moglie è da tempo malata di cancro). Martedì Cleverly ha scritto un editoriale sul Times, il più importante quotidiano conservatore del Regno Unito, in cui ha invitato il partito a restare unito: «Governare è un privilegio, non un diritto. Lo abbiamo dato troppo a lungo per scontato e questo deve cambiare».
Qualcuno considera come potenziale candidato anche l’ex sottosegretario all’Immigrazione, Robert Jenrick. Parte dello staff di Braverman si è unito alla sua campagna, e lei lo ha attaccato dicendo che fa parte dell’ala sinistra del partito.
Le dichiarazioni di Braverman sembrano soprattutto strumentali, ma è vero che in questi anni Jenrick ha cambiato più volte idea su vari temi. Al referendum del 2016 era contrario a Brexit, ma in tempi recenti ha chiesto che il Regno Unito uscisse dalla giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), il tribunale internazionale che aveva bloccato in più occasioni la legge con cui il governo britannico voleva espellere in Ruanda i richiedenti asilo.
Lo scorso dicembre Jenrick si era addirittura dimesso da sottosegretario perché riteneva troppo morbida la nuova formulazione della legge (che il governo laburista ha subito abrogato).
Anche l’ex ministra dell’Interno Priti Patel potrebbe essere vista come una scelta in continuità con Sunak, che ha sempre sostenuto pubblicamente. Prima era considerata molto vicina a Boris Johnson, quando era primo ministro. Anche lei però sembra troppo spostata a destra per i nuovi parlamentari.
Anche Johnson è ancora molto influente nel partito: pochi giorni prima del voto, su richiesta di Sunak, ha accettato di fare un comizio a Londra per cercare di ridare visibilità a una campagna elettorale andata obiettivamente male. L’area politica che rimpiange Johnson potrebbe sostenere Patel, che raccoglierebbe la sua candidatura come un tentativo di unificare i Conservatori: è quello che dicono anche tutti gli altri, ma lei potrebbe farlo forse con più credibilità, data la sua lunga carriera in politica e le posizioni un filo più moderate (ma giusto un filo) rispetto a quelle di Braverman.
L’ex ministra della Salute, Victoria Atkins, è infine un’altra possibile candidata dell’area moderata, ma è quella che raccoglie minori consensi tra i membri del partito, sempre secondo il sondaggio citato prima.
Chiunque sarà il prossimo leader del Partito Conservatore, secondo l’Economist per prima cosa dovrà risolvere un «dilemma»: se allearsi con Farage oppure scontrarsi apertamente con lui. Secondo la rivista New Statesman l’elettorato di Reform UK non è così sovrapponibile a quello dei Conservatori: più che inseguire le sue proposte identitarie, correndo il rischio che gli elettori preferiscano l’originale, il partito di Sunak dovrebbe concentrarsi sul riacquistare la credibilità perduta come forza di governo, che poi è la strategia con cui i Laburisti sono riusciti a vincere le elezioni sia nel 1997 sia quest’anno.
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