La Libia è di nuovo il primo paese da cui arrivano i migranti via mare
Secondo i dati dei primi sei mesi del 2024 ha superato la Tunisia, che l'anno scorso era stata di gran lunga il principale paese di partenza
Dal primo gennaio al 31 maggio 2024 sono arrivati in Italia via mare 21.113 migranti, secondo dati del ministero dell’Interno consultati dal Post. Sono meno della metà rispetto ai quasi 50mila arrivati nello stesso periodo l’anno scorso, ma è comunque il secondo dato più alto dal 2018. Delle persone arrivate 15.669 erano uomini, 1.378 donne e 4.066 minori, di cui il 75 per cento non accompagnati, cioè arrivati soli.
Queste persone sono arrivate a bordo di 543 imbarcazioni. Di queste, 300 sono partite dalla Tunisia, 221 dalla Libia e le restanti dall’Algeria e dalla Turchia. La Libia è però tornata a essere il primo paese per numero di migranti arrivati in Italia, come spesso avvenuto negli ultimi anni: da lì sono arrivati in 11.425, mentre dalla Tunisia 9.156. Il rapporto inverso con il numero di barche è dovuto al fatto che dalla Tunisia partono generalmente barchini più piccoli, che quindi possono trasportare meno persone, mentre dalla Libia partono imbarcazioni più grandi, spesso ex pescherecci in legno.
È un cambiamento di tendenza: nel 2023 la Tunisia era stata di gran lunga il principale paese di transito per chi era diretto in Italia. In tutto il 2023 erano arrivati quasi 98mila migranti partiti dalla Tunisia, principalmente dal porto di Sfax, mentre circa 52mila dalla Libia. Molto aveva a che fare con le politiche repressive adottate dal presidente tunisino Kais Saied, che governa in modo sempre più autoritario e da tempo attacca duramente i migranti subsahariani nel paese, trasformandoli in un capro espiatorio per spiegare le pessime condizioni sociali ed economiche del paese e spingendoli quindi ad andarsene.
Non esiste una spiegazione certa e inconfutabile per la netta diminuzione degli arrivi dalla Tunisia osservata nel 2024. Un’ipotesi è che questa tendenza sia dovuta alle conseguenze del memorandum d’intesa stipulato lo scorso luglio tra Tunisia e Unione Europea che puntava, tra le altre cose, a ridurre le partenze dei migranti. L’Unione Europea si è impegnata a versare alla Tunisia sostanziosi aiuti economici, tra cui un contributo a fondo perduto da 105 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti.
In base all’accordo l’Unione Europea si è impegnata a potenziare le capacità della Guardia costiera tunisina per permettere di intercettare in modo più efficace le imbarcazioni dei migranti. Non è chiaro per cosa i fondi vengano usati concretamente: lo scorso ottobre un commissario europeo aveva spiegato che sarebbero serviti, tra le altre cose, a «riadattare» le navi della Guardia costiera, comprare nuovi mezzi e strumenti per l’assistenza ai migranti e fare attività di formazione agli operatori del settore. Anche diversi paesi europei, tra cui Italia, Germania e Francia, hanno avviato iniziative in collaborazione con la Tunisia per cercare di ridurre le partenze dei migranti, cioè di fermare con la forza chi cerca di partire.
Di conseguenza, negli ultimi mesi la Guardia costiera tunisina ha aumentato molto i controlli e sta riuscendo a intercettare più imbarcazioni di migranti: il ministro dell’Interno Kamel Fakih ha detto che tra gennaio e maggio del 2024 sono stati fermati quasi 53mila migranti che cercavano di lasciare la Tunisia per arrivare via mare nell’Unione Europea. Sono numeri molto ingenti, della cui veridicità dubitano diversi esperti di migrazione: probabilmente hanno comunque un fondo di verità.
A metà giugno inoltre la Tunisia ha comunicato ufficialmente di controllare una zona SAR nel Mediterraneo centrale, cioè una zona dove si impegna a mantenere attivo un servizio di ricerca e soccorso. Prima ne aveva una soltanto informale. L’istituzione di una zona SAR tunisina è stata agevolata dai paesi dell’Unione Europea ed era ritenuta un passaggio importante per legittimare le azioni della Guardia costiera tunisina.
Anche la cosiddetta Guardia costiera libica, un insieme di milizie armate finanziate e addestrate dall’Italia e dall’Unione Europea, cerca costantemente di intercettare e bloccare le partenze di migranti, con metodi spesso violenti. Per esempio, lo scorso aprile attaccò la nave Mare Jonio, della ong Mediterranea Saving Humans, durante un’operazione di soccorso di migranti: i miliziani spararono colpi d’arma da fuoco in acqua e in aria «creando il panico e provocando la caduta in acqua di diverse persone», secondo quanto riferito dagli operatori dell’ong. Mediterranea pubblicò anche un video dell’attacco, nel quale si vedono alcuni operatori della ong chiedere ripetutamente ai miliziani libici di non sparare, ricordando loro che si trovavano in acque internazionali.
I numeri del ministero sono comunque parziali. Molte più persone e molte più imbarcazioni hanno verosimilmente iniziato la traversata verso l’Italia: una parte difficilmente quantificabile salpa senza riuscire ad arrivare a destinazione a causa dei naufragi, delle intercettazioni della Guardia costiera tunisina o di quella libica, o di altri problemi durante la navigazione. Anche il numero di migranti arrivati non corrisponde al numero di persone partite, che con tutta probabilità è sensibilmente più alto.
Per esempio, a metà giugno circa 70 migranti sono morti in un naufragio nella zona SAR italiana a circa 250 chilometri dalle coste della Calabria: è stato possibile individuare e soccorrere le 11 persone rimaste a bordo soltanto perché la barca su cui si trovavano era affondata solo parzialmente.
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