Alcuni candidati del partito di Nigel Farage forse non esistevano davvero
Non hanno fatto campagna elettorale, non sono sui social e nessuno li ha visti di persona: il partito, che si chiama Reform UK, ha respinto ogni accusa
Alle elezioni britanniche di giovedì scorso Reform UK, il partito di estrema destra che Nigel Farage è tornato a guidare, ha ottenuto un ottimo risultato: ha raccolto più di 4 milioni di voti e fatto eleggere 5 deputati, tra cui Farage stesso, che è riuscito a farsi eleggere al suo ottavo tentativo. Subito dopo le elezioni però alcune persone hanno iniziato a chiedersi se i candidati di Reform UK nel loro collegio elettorale fossero persone reali, perché in molti casi non hanno partecipato né alla campagna elettorale né allo scrutinio, a cui per prassi nel Regno Unito presenziano tutti i candidati e le candidate (è anche prevista una specie di premiazione alla fine dello spoglio).
Il caso è stato alimentato dal fatto che almeno uno dei candidati di Reform UK – che esiste davvero, come ha confermato il Guardian – ha usato l’intelligenza artificiale (AI) per creare parte dei materiali della sua campagna. Ma i dubbi si stanno concentrando su altri candidati e candidate, cosa che ha anche generato una specie di caccia al tesoro online per capire se alcuni di loro esistano davvero. Reform UK è un partito molto giovane e piuttosto squattrinato, Farage un propalatore seriale di notizie false e fuorvianti: a molti è parso credibile che per partecipare al voto in quasi tutte e 650 le circoscrizioni in cui è diviso il territorio britannico si sia inventato dei candidati, nonostante siano accuse di fatto gravissime.
«Tutti i nostri candidati sono categoricamente veri», hanno detto fonti di Reform UK al Guardian, respingendo ogni accusa.
Eppure il Guardian ha notato che in molti casi sul sito di Reform UK erano indicati solo il nome e il cognome dei candidati e il collegio elettorale, senza altri dettagli. Diversi di loro, ha ricostruito il Guardian, non hanno una presenza online (per esempio profili sui social), non sembrano aver fatto attivamente campagna elettorale e non si sono presentati allo scrutinio dei voti, un momento fortemente simbolico in cui tutti i candidati per un seggio attendono insieme l’esito.
Un caso di cui si è parlato molto nel Regno Unito ha riguardato Mark Matlock, che è arrivato quinto nel collegio londinese di Clapham and Brixton Hill, non risultando quindi eletto. Negli scorsi giorni sono circolati sui social alcuni materiali della sua campagna elettorale che sembravano confezionati con l’intelligenza artificiale e diversi utenti si sono chiesti se Matlock fosse a sua volta una persona reale, oppure una creazione dell’AI. Questi sospetti erano dovuti anche al fatto che Matlock non si era presentato al seggio durante lo scrutinio, spiegando su X che non poteva farlo per via di una polmonite.
Il Guardian ha parlato con Matlock, che ha ammesso di aver usato l’intelligenza artificiale «stupidamente, per aggiungere una cravatta» alla sua foto sul manifesto elettorale, perché non aveva avuto tempo di rivolgersi a un fotografo. Lunedì sera Matlock è poi intervenuto in diretta in un programma di GB News, una specie di Fox News britannica, confermando questo racconto. Sul fondale dietro di lui, tra l’altro, c’era una foto dell’ex presidente americano Donald Trump con il simbolo di Reform UK.
Il caso di Matlock, che vive nel Gloucestershire a più di 150 chilometri dal collegio elettorale in cui poteva essere eletto, somiglia a quello di altri candidati, non solo di Reform UK. È possibile insomma che per trovare 609 candidati Reform UK abbia attinto ad attivisti e simpatizzanti che non avevano davvero intenzione di fare campagna elettorale.
Nel Regno Unito però è comune che i partiti più piccoli, che non hanno i fondi e la struttura per affrontare in modo competitivo una campagna in tutto il paese, provino comunque a presentare il più alto numero possibile di candidati per aumentare i loro voti a livello nazionale. Per riempire le liste in pratica i partiti candidano attivisti o iscritti che non hanno le risorse né l’intenzione di fare davvero campagna elettorale e a volte vivono molto lontano dal collegio loro assegnato.
Vengono chiamati paper candidates, letteralmente “candidati di carta”. La cosa è agevolata dal fatto che è piuttosto facile candidarsi alla Camera dei Comuni, la camera bassa britannica: bastano dieci firme di elettori del collegio in questione e un versamento di 500 sterline (circa 590 euro), che peraltro vengono restituite se il candidato prende più del 5 per cento dei voti.
Parlando col Guardian, fonti di Reform UK hanno ammesso che a causa della campagna elettorale molto breve, durata di fatto poco più di un mese per decisione del primo ministro uscente Rishi Sunak, alcuni dei candidati erano effettivamente paper candidates e non hanno fatto campagna elettorale.
Secondo diversi commentatori fra le ragioni che avevano spinto Sunak a indire elezioni in estate con qualche mese di anticipo rispetto al previsto c’era proprio quella di forzare i tempi per impedire di organizzarsi a Farage, che riteneva un concorrente in grado di sottrarre consensi ai Conservatori (cosa che infatti è avvenuta).
Era un paper candidate anche James McMurdock, uno dei cinque deputati fatti eleggere da Reform UK. Farage ha pubblicato sui social un paio di video con McMurdock, uno dei quali si conclude con Farage che scherza: «Non avevo mai sentito parlare di lui prima». Al di là delle battute, vale qualcosa di simile per diversi dei candidati di Reform UK: 115 dei 609 candidati presentati dal partito (su 650 collegi totali) sono “candidati fantasma”, secondo il sito Tortoise.
McMurdock, che alla fine era una persona reale, non è il solo candidato di Reform UK di cui alcuni utenti e attivisti abbiano messo in dubbio l’esistenza. Anche il sito Byline Times ha fatto negli scorsi giorni un’inchiesta sui “candidati invisibili”, e ieri ha concluso che oltre 30 di loro rimangono ancora da identificare o i loro dati presentano stranezze. I dirigenti di Reform UK ribadiscono di non aver fatto irregolarità e dicono che quelle del Guardian e di altri media progressisti sono «accuse inventate».
La tiktoker Kim Blythe per esempio da giorni sta cercando una certa Helen Burns, candidata con Reform UK nella città scozzese di Glasgow. Blythe è anche andata di persona all’indirizzo del presunto comitato elettorale di Burns indicato sul sito ufficiale di Reform UK: a quell’indirizzo però non c’è alcuna traccia né di Burns né del partito.
I sospetti si sono basati anche sulla storia recente del partito. Negli scorsi mesi Reform UK, in quel periodo guidato da Richard Tice (uno dei cinque eletti), si era dovuto scusare per aver sospeso per “inattività” un candidato al seggio di York che in realtà era morto.
Più recentemente, Reform UK ha avuto problemi con candidati vivi: a fine giugno ha ritirato il sostegno a tre di loro perché avevano fatto dichiarazioni o pubblicato sui social post razzisti, ma sono almeno 18 quelli protagonisti di uscite controverse, dalle teorie del complotto no-vax al revisionismo storico sulla Seconda guerra mondiale.
Le voci sui presunti candidati inesistenti non sembrano aver danneggiato più di tanto lo stesso partito. Lunedì Farage ha detto che il numero di iscritti al partito è raddoppiato nelle ultime cinque settimane, arrivando a superare i 65mila iscritti.
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