La Turchia sta valutando se sopprimere milioni di cani randagi
Un nuovo e controverso piano obbligherebbe le amministrazioni locali ad uccidere quelli che non verranno adottati: al momento se ne sta soltanto discutendo
A Istanbul è molto comune incontrare per strada dei cani randagi, in vari quartieri della città. Insieme ai gatti, i cani fanno per certi versi parte della storia dell’ex capitale dell’Impero Ottomano, ma sono al tempo stesso una presenza che le autorità hanno cercato di gestire nel corso dei secoli, a volte in modo brutale. Citando l’aumento dei cani randagi in tutta la Turchia, il partito del presidente Recep Tayyip Erdoğan, l’AKP, ha detto di stare lavorando a un controverso provvedimento per ridurre e quasi azzerare il loro numero. L’emendamento non è ancora stato presentato in parlamento ma sui giornali turchi se ne parla come di una possibilità molto concreta, e ne sono usciti i principali punti. Il Financial Times dice che l’AKP ha lasciato intendere che lo presenterà presto.
La nuova legge obbligherebbe le amministrazioni locali ad uccidere i cani randagi che, una volta catturati, non siano stati adottati entro un lasso di tempo definito.
«Abbiamo un problema di cani randagi che non esiste in nessuna nazione sviluppata», aveva detto a fine maggio Erdoğan. In seguito sui media più vicini al suo governo è iniziato a circolare un piano per ridurre il numero dei cani randagi, che sarebbero diventati più di 4 milioni (in Italia sono alcune centinaia di migliaia). La misura obbligherebbe le amministrazioni locali a censire e catturare i cani randagi presenti sul loro territorio, sterilizzarli e infine metterli a disposizione per l’adozione, consentendo però di eliminare con un’iniezione letale quelli non adottati dopo 30 giorni.
Il governo turco cita, tra le ragioni del provvedimento, rischi sanitari come la diffusione della rabbia, e di sicurezza stradale. Il Centers for Disease Control and Prevention (CDC), il più importante organo di controllo sulla sanità pubblica negli Stati Uniti, mette la Turchia nella lista dei paesi ad alto rischio per la rabbia. Le statistiche del governo attribuiscono agli animali, e soprattutto ai cani, 3.500 incidenti stradali negli ultimi cinque anni.
In realtà esisterebbero già alcune leggi per limitare la proliferazione dei cani randagi, spiega Murat Arslan, il presidente dell’Associazione dei medici veterinari turchi intervistato da BBC News: il problema è che non vengono applicate. La legge prevede che i cani randagi vengano sterilizzati, vaccinati e poi nuovamente liberati. Negli ultimi anni ne sono stati castrati circa 260mila: un numero insufficiente a contenere il loro aumento. Secondo Arslan, molte città non hanno canili o strutture adatte a queste operazioni e mancano anche i veterinari, soprattutto nei centri più piccoli.
In base a un sondaggio dall’istituto Metropoll di Ankara citato dai media anglosassoni, l’80 per cento degli intervistati ritiene che i cani randagi dovrebbero essere tolti dalle strade, ma meno del 3 per cento sarebbe favorevole alla loro eliminazione fisica. In Turchia, tra l’altro, gli animali randagi hanno diritto a vivere per strada, grazie fra l’altro a una legge del 2004 approvata quando Erdoğan era primo ministro (lo è stato dal 2003 al 2014, quando è diventato presidente).
Diversi politici dell’opposizione si sono mobilitati in difesa dei cani randagi, e ci sono state anche manifestazioni contro il piano per abbatterli. In Turchia sono comuni nei parchi le casette per i cani e spesso i residenti portano loro avanzi o cibo. A Istanbul, nel corso degli anni, diversi esemplari sono diventati piuttosto famosi: tra loro Boji, un cane noto perché si sposta in città a bordo dei mezzi pubblici, inclusi metropolitana e traghetti. Alla vita dei cani randagi di Istanbul è stato anche dedicato un documentario del 2020, intitolato Stray (“randagio”).
«Questa cultura in cui gli animali di strada sono accettati e integrati nella vita urbana ha affascinato, incantato e a volte disgustato i visitatori di Istanbul per secoli», ha scritto sul Guardian Alexander Christie-Miller, autore di un libro sulla storia della città e della Turchia. Secondo Christie-Miller, il tema dei cani randagi è finito dentro le «guerre di cultura» turche ed è un paradosso che un leader come Erdoğan, che ammicca spesso a una retorica nazionalista, proponga una soluzione in contrasto con il passato ottomano, in cui prevaleva un modello di convivenza con gli animali.
C’è in realtà un precedente, di fine epoca ottomana, a cui la soluzione di Erdoğan sembra avvicinarsi. Nel 1910, sulla scia di istanze modernizzatrici e richieste che risalivano almeno a un secolo prima, le autorità dell’Impero Ottomano catturarono circa 80mila cani randagi e li trasportarono sull’isola di Sivriada, una delle Isole dei Principi nel Mar di Marmara (nota anche come Hayırsızada e in greco come Oxeia), dove furono abbandonati e lasciati morire.
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