Molte discussioni sul nuovo governo francese riguarderanno Jean-Luc Mélenchon
Il leader di sinistra radicale ha un ruolo importante nella coalizione che ha vinto le elezioni, ma è anche un personaggio ingombrante e divisivo
Domenica le elezioni legislative francesi si sono concluse con la vittoria a sorpresa della coalizione di sinistra Nuovo Fronte Popolare (NFP), la quale però non è riuscita a ottenere maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale, la camera bassa del parlamento francese. NFP ha fatto eleggere 181 parlamentari su 577, una cifra molto lontana dai 289 necessari per governare da sola.
Per questo motivo da qualche giorno si sta parlando molto della possibilità che tutti o alcuni partiti che non fanno parte dell’estrema destra, cioè NFP e Ensemble pour la République, la coalizione del presidente Emmanuel Macron, si alleino temporaneamente per creare un governo e continuare a opporsi al Rassemblement National, il principale partito francese di estrema destra, arrivato terzo con 143 deputati. NFP ha eletto troppi pochi parlamentari per creare un governo di minoranza stabile e le elezioni legislative non possono essere rifatte prima di un anno.
Con i 181 deputati di NFP e i 168 eletti da Ensemble, le due coalizioni supererebbero ampiamente la soglia della maggioranza assoluta, ma la possibilità che questo accada è per ora abbastanza remota: il partito più importante di NFP, La France Insoumise, di sinistra radicale e guidato dal 72enne Jean-Luc Mélenchon, è infatti estremamente contrario all’idea di governare insieme a Macron e viceversa i principali esponenti di Ensemble hanno detto di non avere alcuna intenzione di allearsi con La France Insoumise. Alla base di questa inconciliabilità ci sono non solo due forze politiche con idee molto diverse sulla politica interna, ma anche con posizioni opposte su quella estera, in particolare negli ultimi due anni.
Le posizioni di La France Insoumise e di Mélenchon, un politico francese molto noto e alla guida del partito dal 2016, vengono ritenute da Macron tanto inaccettabili quanto quelle del Rassemblement National, anche se per ragioni diverse.
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La France Insoumise è un partito di sinistra radicale nato nel 2016 in vista delle elezioni presidenziali e legislative dell’anno successivo in un momento in cui il tradizionale partito di sinistra, il Partito Socialista, stava attraversando una profonda crisi. Allora non esisteva di fatto un’altra opzione di sinistra che si opponesse vigorosamente a Emmanuel Macron e Marine Le Pen, candidata presidenziale e al tempo presidente del partito Front National, che dal 2018 si chiama Rassemblement National.
Quando fondò LFI Mélenchon era già in politica da parecchi anni. Dal 1976 al 2008 era stato membro del Partito Socialista, il principale partito di sinistra francese del Novecento, dove era diventato il leader della corrente più a sinistra del partito grazie ad alcune particolari prese di posizione: negli anni Ottanta si era per esempio opposto a un secondo mandato da presidente del socialista François Mitterrand e, a differenza della maggioranza dei suoi colleghi, alla partecipazione della Francia nella Guerra del Golfo.
A causa di queste differenze e dopo essere anche stato ministro, nel 2008 Mélenchon lasciò il PS per fondare il Parti de gauche (Partito della sinistra, PG), di orientamento radicale ed ecologista, con cui si candidò alle elezioni europee e poi a quelle presidenziali, in cui prese l’11 per cento dei voti. Nel 2016 Mélenchon uscì dal Parti de gauche per creare La France Insoumise.
A livello di politica interna, dalla sua fondazione LFI ha rappresentato in questi anni una durissima opposizione alle riforme promosse con più forza da Macron, che spesso sono state quelle più contestate dalla popolazione francese di sinistra: la riforma per alzare l’età pensionabile da 62 a 64 anni e quella sull’immigrazione, considerata così di destra da creare polemiche persino all’interno della coalizione di Macron. Alle elezioni legislative del 2022 la coalizione di sinistra guidata da LFI, NUPES, aveva preso più o meno gli stessi voti di Ensemble, diventando la seconda forza politica dell’Assemblea Nazionale.
Negli ultimi due anni il divario si è ulteriormente allargato a causa della radicalizzazione delle idee di LFI su due importanti questioni di politica estera: la guerra in Ucraina e quella di Israele nella Striscia di Gaza. Dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia a febbraio del 2022 il partito ha attenuato alcune sue posizioni filorusse ma è rimasto fortemente contrario alla NATO, l’alleanza militare che include buona parte dei paesi occidentali, e all’invio di armi in Ucraina, di cui Macron è invece un grande sostenitore.
A questo si è aggiunta la decisione di Mélenchon, a cui si sono opposti altri dirigenti del partito, di concentrare la campagna elettorale per le elezioni europee sulla guerra di Israele nella Striscia di Gaza, schierandosi molto nettamente contro Israele. Fin da subito Mélenchon e l’area più radicale del partito hanno assunto una posizione molto netta sul tema senza condannare immediatamente l’attacco del 7 ottobre di Hamas, inserendolo nel contesto dell’occupazione decennale dei territori palestinesi da parte di Israele. Per questo motivo il partito si è attirato numerose critiche e accuse di antisemitismo che sono state in parte anche rilanciate dallo stesso partito di Macron.
Queste posizioni potrebbero aver fatto perdere consenso a LFI alle elezioni europee, in cui il partito è arrivato dietro alla lista di centrosinistra formata dal partito Place Publique e dal Partito Socialista, guidata da Raphaël Glucksmann, molto più moderata ed europeista. Forte del risultato del 2022, a queste elezioni legislative LFI era però comunque riuscito a essere il partito del NFP con più persone candidate nelle circoscrizioni ed è stato infatti anche il partito di sinistra che ha eletto più parlamentari.
Lunedì i leader del Nuovo Fronte Popolare hanno chiesto a Emmanuel Macron di rispettare il voto dei cittadini e delle cittadine e di nominare un nuovo primo ministro che rispecchi i risultati, ossia che appartenga alla loro coalizione. Non è però chiaro come questo primo ministro, o prima ministra, possa poi sopravvivere a un parlamento in cui è sostenuto solo dal 31 per cento dei parlamentari.
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Fra il primo e il secondo turno le due coalizioni si erano accordate con successo per ritirare i loro candidati che erano arrivati terzi nei ballottaggi, così da non disperdere voti e aumentare le possibilità di sconfiggere i candidati del Rassemblement National, una strategia che si è dimostrata vincente. Anche al tempo però Macron aveva detto che nelle circoscrizioni elettorali in cui un suo candidato si sarebbe dovuto ritirare in favore di uno di LFI, il partito avrebbe deciso caso per caso.
Sulla base di questo primo accordo sui ballottaggi negli scorsi giorni alcuni politici di Ensemble, tra cui il primo ministro Gabriel Attal, avevano parlato della possibilità di creare dopo le elezioni una coalizione molto larga che tenesse dentro sia i partiti che appoggiano Macron che il Nuovo Fronte Popolare, senza La France Insoumise. Questa opzione è stata però fermamente rigettata da tutti i principali leader della coalizione di sinistra, che già lunedì mattina si sono detti contrari all’idea sia di dividersi, che di entrare in coalizione con Macron: il leader del Partito Socialista, di centrosinistra, Olivier Faure ha detto che «non ci presteremo a una coalizione degli opposti che tradirebbe il voto dei francesi». Anche Jean-Luc Mélenchon ha detto che non ci sarà «nessun sotterfugio, nessun accordo».
In caso di una mancata coalizione e dell’impossibilità di creare un governo di minoranza, è possibile che Macron nomini un primo ministro che guidi un governo di unità nazionale, un governo tecnico o uno per la gestione degli affari correnti fino a quando il paese non potrà tornare a elezioni, nell’estate del 2025 (la Costituzione dice che l’Assemblea Nazionale può essere sciolta solo una volta in un anno e almeno un anno dopo l’ultimo scioglimento).
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