La delusione del centrocampista Lucas Paquetá e dell'allenatore Dorival dopo l'eliminazione ai quarti di finale contro l'Uruguay (Kevork Djansezian/Getty Images)

La nazionale di calcio del Brasile ha un problema di aspettative

Sono sempre troppo alte e il calcio brasiliano è in crisi da tempo: dieci anni fa venne battuta 7-1 dalla Germania ai Mondiali, ora è uscita male dalla Copa América

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Lo scorso sabato il Brasile è stato eliminato ai quarti di finale della Copa América, il torneo maschile di calcio in cui solitamente giocano le nazionali sudamericane, ma che per questa edizione include anche alcune nazionali del Centro e del Nord America. Per il Brasile è stato un torneo deludente, visto che ai gironi ha ottenuto una vittoria contro il Paraguay e due pareggi contro Costa Rica e Colombia, e ai quarti ha pareggiato 0-0 contro l’Uruguay, perdendo poi ai rigori. Per anni la Nazionale brasiliana è stata una delle migliori al mondo e ancora oggi ha diversi calciatori di eccezionale talento, quindi le aspettative sono sempre altissime e ogni eliminazione da un torneo viene vissuta e raccontata con grande enfasi e delusione in Brasile.

Come osservava il sito sportivo The Athletic dopo la partita contro l’Uruguay, «spesso gli standard elevati sono autoimposti», nel senso che sono i brasiliani stessi a ritenere inconcepibile un risultato diverso dalla vittoria; prima dei quarti di finale, per esempio, il centrocampista Andreas Pereira aveva detto che l’Uruguay poteva solo sognare di avere una squadra come quella brasiliana. Negli ultimi anni il Brasile ha ottenuto risultati insufficienti per rispondere ad aspettative che non riguardano solo le vittorie, ma anche il modo in cui vengono raggiunte: tifosi, media e calciatori stessi pretendono che la Nazionale giochi un calcio divertente ed entusiasmante. Del resto tutti i migliori calciatori brasiliani della storia, Pelé, Romário, Ronaldo, Ronaldinho, Neymar e oggi Vinícius Júnior, hanno portato avanti un’idea di calcio spettacolare e concepito per far divertire.

Contro l’Uruguay il Brasile, a cui mancava per squalifica proprio Vinícius (considerato uno dei favoriti per la vittoria del Pallone d’Oro quest’anno), ha fatto appena tre tiri in porta. L’attaccante 17enne Endrick, nel cui talento in Brasile credono molto, in novanta minuti ha completato un solo passaggio: quello del calcio d’inizio. Il Brasile sembra insomma ancora molto indietro nel processo di ricostruzione avviato quando l’allenatore Tite e due calciatori forti e rappresentativi come Thiago Silva e Neymar hanno lasciato la Nazionale, ormai quasi due anni fa.

Con Tite, in carica dal 2016 al 2022, il Brasile era arrivato per due volte ai quarti di finale dei Mondiali (uscendo nel 2018 contro il Belgio e nel 2022, in maniera un po’ sfortunata, contro la Croazia) e per due volte in finale della Copa América, vincendola nel 2019 e perdendola nel 2021 contro l’Argentina. Sono risultati tutto sommato positivi, ma evidentemente non abbastanza per una Nazionale che ha vinto cinque Mondiali su dodici dal 1958 al 2002, ma che da quell’anno non raggiunge più la finale, e che stava cercando di riprendersi dalla sconfitta più incredibile e dolorosa della sua storia, quella subita esattamente dieci anni fa contro la Germania ai Mondiali in casa. L’8 luglio 2014 infatti il Brasile perse 7-1 nella semifinale giocata allo stadio Mineirão di Belo Horizonte e oggi ricordata come Mineirazo, per un calco della parola Maracanazo (che ricorda un’altra sconfitta storica per il Brasile, quella nella finale dei Mondiali del 1950 contro l’Uruguay).

Brasile-Germania 1-7, dieci anni fa (Jamie McDonald/Getty Images)

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Da quando Tite ha lasciato la Nazionale, dopo l’eliminazione dai Mondiali ai rigori contro la Croazia, il Brasile ha già avuto tre allenatori, nominando prima Ramon Menezes e Fernando Diniz come allenatori ad interim e infine, una volta realizzata l’impossibilità di arrivare a Carlo Ancelotti, scegliendo il 62enne Dorival Júnior. Per diversi mesi infatti la federazione brasiliana ha cercato di convincere Ancelotti a diventare il primo allenatore straniero nella storia del Brasile: sarebbe stata quasi certamente un’ottima scelta, visto che la cosa che forse più di tutte rende Ancelotti uno dei migliori allenatori al mondo è la sua capacità di mettere tutti i calciatori forti nelle condizioni di rendere al meglio. Alla fine però Ancelotti ha deciso di rimanere al Real Madrid, e il Brasile ha ripiegato su Dorival Júnior.

Il fatto che fosse stato preso seriamente in considerazione un allenatore straniero, una cosa fino a pochi anni fa impensabile per molti in Brasile, è indicativo di una tendenza più grande, quella della crisi del calcio nazionale brasiliano, dove da anni il campionato sta diventando meno competitivo, principalmente perché sempre più calciatori si trasferiscono sempre più giovani in Europa (Endrick è già stato comprato dal Real Madrid a nemmeno 18 anni, e accadde lo stesso con Vinícius  e Rodrygo).

Dorival ha allenato praticamente tutte le migliori squadre brasiliane, dal Santos al São Paulo passando per il Flamengo e il Palmeiras, ma con la Nazionale ha avuto finora poco tempo per trasmettere le sue idee (allena il Brasile solamente da otto partite) e per farsi legittimare dai calciatori, che oggi giocano quasi tutti in Europa: in questi giorni sta girando molto il video dei giocatori brasiliani che fanno un cerchio prima dei calci di rigore contro l’Uruguay escludendo Dorival.

Negli ultimi quindici, vent’anni il Brasile ha spesso faticato a trovare un equilibrio tra la necessità di darsi un’organizzazione tattica di alto livello, imprescindibile oggi in un calcio in cui si sono ridotte le distanze e quasi tutte le squadre sono attrezzate per mettere in difficoltà le più forti, e la capacità di lasciare spazio alla creatività dei suoi calciatori più estrosi. Tite ci è riuscito in parte, e infatti è l’unico allenatore ad aver vinto un trofeo importante negli ultimi vent’anni (la Copa América del 2019), ma in molti casi il risultato è stato un ibrido poco convincente e il Brasile oggi non è né la squadra più organizzata del Sudamerica né la più brillante sul piano individuale.

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