Gli spazi per l’affettività nel carcere di Padova per ora non si faranno
Sarebbero stati i primi in Italia: secondo il governo non ci sono le condizioni necessarie e non sono le associazioni a doversene occupare, ma il ministero della Giustizia
Al carcere Due Palazzi di Padova si è temporaneamente fermato il progetto di costruire spazi che permettano alle persone detenute di esercitare il loro diritto all’affettività e alla sessualità. Era una sperimentazione in fase iniziale, annunciata lo scorso febbraio dalle associazioni che lavorano all’interno del carcere, e soprattutto la prima a rispettare la storica sentenza della Corte Costituzionale che mesi fa aveva dichiarato illegittimo il divieto all’affettività in carcere.
Il governo ha bloccato la sperimentazione perché sostiene che la costruzione di spazi per l’affettività in carcere non sia di competenza delle associazioni, come finora era stato per numerosi progetti sui diritti delle persone detenute, ma del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), l’ente del ministero della Giustizia che si occupa di carceri. Andrea Ostellari, sottosegretario di Stato al ministero della Giustizia, dice che «il terzo settore collabora col DAP, ma non può sostituirsi ad esso».
La sentenza della Corte era stata storica perché affermava un principio di cui in Italia si discute da decenni, cioè quello del diritto all’affettività e alla sessualità delle persone detenute. È considerato un diritto fondamentale, ispirato ai principi costituzionali e ai regolamenti europei e italiani sulle carceri, che vietano i trattamenti disumani e degradanti e tutelano il diritto al rispetto della vita privata e familiare dei detenuti. In Italia le carceri non hanno mai avuto spazi per gli incontri privati dei detenuti, e il principale strumento per mantenere i rapporti affettivi in presenza sono sempre stati i colloqui, che hanno un tempo ridotto e si svolgono spesso in sale affollate e rumorose, dove non è garantita la riservatezza e dove è vietato qualsiasi gesto affettuoso.
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Il carcere Due Palazzi di Padova non è un carcere qualunque: lì c’è una rete attiva e fitta di associazioni, ed è generalmente considerato un modello virtuoso di carcere, per i progetti che ha e per le loro ricadute sui processi di reinserimento dei detenuti. Il Due Palazzi è anche la sede della redazione di Ristretti Orizzonti, storica rivista legata all’associazione “Granello di Senape” che da anni si occupa di diritti delle persone detenute e a cui lavorano anche le stesse persone detenute.
Non solo: l’attuale direttore del Due Palazzi, Claudio Mazzeo, che aveva sostenuto l’iniziativa degli spazi per l’affettività, è lo stesso direttore che autorizzò la costruzione del primo e unico teatro costruito interamente in un carcere in Italia, il Teatro dell’Arca al carcere Marassi di Genova, di cui era allora direttore. Sempre al Marassi, Mazzeo autorizzò anche la costruzione del laboratorio di serigrafia O’Press all’interno dell’Alta sicurezza, la sezione del carcere in cui sono detenute le persone condannate per reati associativi: il laboratorio, il primo all’interno di una sezione Alta sicurezza, è ancora attivo ed è gestito dalla cooperativa “La bottega solidale”.
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L’annuncio degli spazi per l’affettività nel carcere di Padova era stato dato a fine febbraio da Ornella Favero, la direttrice di Ristretti Orizzonti. Favero aveva detto di aver incontrato insieme ad alcune associazioni di volontariato il direttore Mazzeo, che aveva sostenuto l’idea.
Mazzeo aveva individuato nel cortile del carcere uno spazio in cui costruire alcune unità abitative, prive di controlli audio o video, per gli incontri privati dei detenuti. Nelle settimane successive si sarebbero dovuti svolgere alcuni sopralluoghi, chiesti da Mazzeo al provveditorato regionale, per prendere le misure e cominciare a progettare gli spazi, che avrebbero dovuto essere allestiti all’interno di container e prefabbricati. Favero ha raccontato che era anche già stato discusso il futuro finanziamento del progetto con la Cassa delle ammende, l’ente pubblico che tra le altre cose finanzia progetti di reinserimento sociale delle persone detenute.
Cesare Burdese, architetto e studioso di architettura carceraria, si era reso disponibile a regalare al carcere un progetto per la costruzione degli spazi. Ma Favero ha detto di aver recentemente ricevuto un diniego, da parte del DAP, a farlo entrare al Due Palazzi per incontrare i detenuti e fare un’intervista da pubblicare su Ristretti Orizzonti.
Pur essendo solo all’inizio, la sperimentazione di Padova era stata molto raccontata perché sarebbe stata la prima in assoluto in Italia, e perché l’aveva avviata un carcere che costituisce un’eccezione in un paese in cui la situazione del sistema carcerario è grave e problematica. Il blocco del governo è arrivato abbastanza presto, e da allora non si è mosso nulla: pochi giorni dopo l’annuncio delle associazioni Ostellari aveva definito «propaganda» l’annuncio delle associazioni e aveva detto che il carcere di Padova non aveva ricevuto nessuna autorizzazione per poter procedere con la costruzione di spazi per l’affettività dei detenuti.
Ostellari aveva insistito sul fatto che gli spazi per l’affettività non prevedono telecamere e presenza di polizia, e quindi pongono un problema per la sicurezza rispetto ad altre iniziative: «La sicurezza degli utenti delle carceri, così come quella del personale, della polizia penitenziaria, dei volontari e dei visitatori è responsabilità del DAP», aveva detto, aggiungendo che per questo motivo l’iniziativa del Due Palazzi è priva di «consistenza giuridica».
Come in altri casi, la sentenza della Corte Costituzionale è vaga su come dovrebbe avvenire concretamente la costruzione degli spazi per l’affettività. Limitandosi a dichiarare incostituzionale un divieto, la sentenza cita la possibilità di costruire spazi all’interno delle carceri per i colloqui intimi dei detenuti, «laddove le condizioni materiali della singola struttura lo consentano», e come in altri casi cita la necessità per il parlamento e le autorità competenti di intervenire per regolamentare l’ambito. «Le sentenze della Corte Costituzionale hanno valore di legge e sono immediatamente applicative», dice Favero. «In questo caso c’erano tutte le condizioni materiali, citate anche dalla Corte Costituzionale, per procedere».
Il DAP, nel frattempo, ha avviato un gruppo di lavoro per stabilire quando e come andrebbero costruiti gli spazi per i colloqui privati delle persone detenute: è presieduto dal vice capo del DAP e composto da diciassette persone tra magistrati, funzionari di polizia penitenziaria, membri del collegio del Garante dei detenuti, medici, psicologi, avvocati e studiosi.