Il silenzio di Synlab sul furto e la diffusione di migliaia di dati sanitari

Diverse persone tra le decine di migliaia coinvolte nel grave attacco informatico di maggio scorso hanno contattato l'azienda, che però non ha ancora risposto nonostante lo prevedano le norme sulla privacy

Test antigenici
(AP Photo/Rick Bowmer)
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Dalla metà di maggio molte persone che negli ultimi anni si erano sottoposte a esami in uno dei centri italiani di Synlab, uno dei principali gruppi sanitari privati d’Europa, hanno scritto all’azienda per sapere se i loro dati sanitari fossero stati coinvolti nel grave attacco informatico avvenuto il 18 aprile. Nonostante Synlab abbia attivato due caselle mail per ricevere eventuali richieste di informazioni e spiegazioni, quasi tre mesi dopo l’attacco sembra che nessuno abbia ricevuto risposta. Il Post ha raccolto diverse segnalazioni di persone, tra cui privati e responsabili della protezione dei dati di aziende, che hanno confermato di non aver ancora ricevuto una risposta alle loro mail.

Synlab era stata attaccata da un gruppo di criminali informatici noto come Black Basta, che il 18 aprile era riuscito a infiltrarsi nel sistema informatico della divisione italiana dell’azienda e a rubare i dati sanitari di decine di migliaia di persone. Era stato uno dei più gravi attacchi informatici compiuti negli ultimi anni in Italia per quantità e valore dei dati coinvolti.

Synlab ha 380 laboratori tra Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Campania e Toscana dove ogni anno vengono eseguiti circa 35 milioni di esami tra prelievi e analisi del sangue, check-up completi e test prenatali. A Synlab si rivolgono anche molti ospedali e cliniche private, che appaltano l’esecuzione di svariati esami di laboratorio come gli esami istologici, cioè l’analisi di campioni di tessuto e delle relative cellule prelevati attraverso le biopsie. Gli esami istologici sono essenziali nella diagnosi dei tumori, sia benigni che maligni. I criminali informatici hanno rubato una grande quantità di tutti questi dati, tra cui referti di esami e visite.

L’attacco era stato organizzato per ottenere un riscatto, che fin da subito l’azienda si era detta non disposta a pagare. Di fronte all’indisponibilità di Synlab, Black Basta aveva dato seguito alle minacce: il 13 maggio aveva pubblicato tutti i dati rubati nel dark web, la parte di Internet non accessibile attraverso i normali browser. I dati – 1,5 terabyte di documenti – sono quindi a disposizione di chiunque abbia una minima dimestichezza con il dark web: risulta che siano già stati scaricati oltre 10mila volte.

In una nota pubblicata il 23 maggio Synlab aveva confermato l’attacco informatico e la pubblicazione dei dati sanitari sul dark web. Aveva anche detto di aver denunciato l’attacco alla polizia postale, alla procura e all’autorità garante per la protezione dei dati personali, il cosiddetto Garante della privacy. Nella nota Synlab aveva scritto di aver affidato a un’azienda specializzata il download dei file coinvolti nell’attacco per cercare di recuperare tutti i dati sanitari.

Tutte le aziende che subiscono attacchi informatici di questo tipo sono obbligate a comunicare ai diretti interessati la violazione della loro privacy. La regola è prevista dall’articolo 34 del Regolamento generale dell’Unione Europea sulla protezione dei dati (GDPR): la comunicazione deve essere fatta “senza indebito ritardo”, cioè il prima possibile. Tuttavia in alcuni casi l’obbligo di comunicazione può non essere rispettato, per esempio quando la comunicazione «richiederebbe sforzi sproporzionati». L’attacco di Synlab sembra rientrare in questa eccezione: la violazione, infatti, riguarda decine di migliaia di persone.

Nella nota pubblicata sul suo sito, Synlab aveva spiegato perché non può comunicare un’eventuale violazione dei dati a tutte le persone coinvolte: «A causa dei volumi interessati dall’attacco e delle complessità operative emerse in fase di analisi, al momento non è possibile valutare la posizione di ciascun interessato. Alla luce di quanto precede, e nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali, Synlab ha ritenuto di fornire ulteriori informazioni agli interessati attraverso la presente comunicazione pubblica, molto più efficace per tempestività, rispetto a una comunicazione individuale, che allo stato, per le ragioni su esposte, non ci è possibile fare».

Ma sempre il GDPR, in particolare l’articolo 15, dà a chiunque la possibilità di avere informazioni puntuali su una possibile violazione della sua privacy, o comunque su un possibile utilizzo dei suoi dati personali. Questa norma, chiamata “diritto di accesso”, obbliga le aziende a confermare alla persona che ha inviato una richiesta se sia in corso o meno un trattamento dei suoi dati. Le aziende sono obbligate a rispondere entro 30 giorni dal giorno in cui ricevono la richiesta.

Nonostante Synlab abbia attivato due caselle mail apposite, comunicazione@synlab.it e privacy@synlab.it, molte persone segnalano di aver contattato questi indirizzi e di non aver ricevuto risposta. Contattata per avere informazioni in merito alle richieste per diritto di accesso, Synlab ha spiegato di non poter dare informazioni in più rispetto a quanto pubblicato sul sito. Non è stato possibile quindi sapere quante richieste ha ricevuto l’azienda, né come mai non sono state date risposte entro 30 giorni, come previsto dal GDPR.

Christian Bernieri, responsabile della protezione dei dati di diverse aziende, è tra le persone a non aver ancora ricevuto una risposta. Ha mandato alcune richieste a Synlab per conto di sé stesso e delle aziende per cui lavora. Bernieri spiega che la pubblicazione di così tanti dati sanitari è grave per diversi motivi: oltre ai referti degli esami chiesti direttamente a Synlab, molti di questi dati riguardano aziende che hanno affidato a Synlab la sorveglianza sanitaria dei propri dipendenti, le aziende che hanno commissionato esami diagnostici in convenzione e quelle della pubblica amministrazione – ospedali e ambulatori – che hanno appaltato a Synlab interi servizi.

Moltissime persone, quindi, potrebbero essere coinvolte nel furto e nella pubblicazione dei dati anche se non sono mai entrate in un centro di Synlab. «Le persone che perdono il controllo dei loro dati diventano ricattabili», dice Bernieri. «Spesso si sottovaluta questo problema, che invece è reale. Magari accadrà tra sei mesi o due anni, però il rischio c’è. È per questo che il GDPR obbliga le aziende ad avvertire le persone interessate: se so che ho perso le chiavi dell’auto ci sto attento, e magari faccio cambiare la serratura. Lo stesso vale con i dati: se so di aver subito una violazione sto più attento quando mi arriva una mail. Se invece non si sa nulla abbiamo meno difese».