L’estrema destra francese e l’ambientalismo
Sono «incompatibili» secondo Le Monde, ma l'ecologia è un tema di cui il Rassemblement National ha dovuto occuparsi, con una sua interpretazione strumentale e reazionaria
La scorsa settimana il quotidiano Le Monde ha pubblicato un editoriale intitolato “Il Rassemblement National e l’ambientalismo sono incompatibili”, in cui argomenta che le proposte sull’ambiente del partito di estrema destra francese guidato da Marine Le Pen e Jordan Bardella, vincitore al primo turno delle elezioni legislative di domenica, «allontanerebbero irrimediabilmente la Francia» dal percorso indicato dall’accordo sul clima di Parigi del 2015, il più importante trattato degli ultimi anni per contrastare il riscaldamento globale riducendo sensibilmente le emissioni di anidride carbonica, uno dei principali gas serra.
Storicamente, all’interno dell’estrema destra europea esiste una corrente sensibile alle questioni ambientali, che si regge soprattutto su presupposti identitari. Ma il Rassemblement National si è discostato da questa tradizione, come gli altri grandi movimenti di estrema destra moderni. Nel tempo ha preso sempre più di mira le proposte e le idee ambientaliste, sfruttando a fini elettorali i timori che suscita in molte persone la prospettiva di un cambiamento radicale delle abitudini legato a modelli di vita più sostenibili.
Le trasformazioni nei settori produttivi e nella società dovuti alla transizione energetica sono da anni al centro delle campagne elettorali, in particolare per quanto riguarda le idee su chi dovrebbe sostenerne i costi inevitabili, legati per esempio a licenziamenti di massa in certi comparti e all’innalzamento del costo di certi beni, come la benzina. Se i partiti di sinistra sostengono la necessità di portare avanti questo processo in una prospettiva di giustizia sociale, proteggendo quindi le fasce più povere della popolazione e facendolo pagare soprattutto ai più ricchi, quelli di centro ripongono più fiducia nell’iniziativa privata e nella capacità del mercato di adattarsi.
Ma spesso le proposte su come gestire la transizione energetica sono poco concrete e convincenti, e l’estrema destra francese, come quella di altri paesi, ha deciso di alimentare le preoccupazioni di chi teme di impoverirsi nel breve periodo per provare a contenere un problema che, sebbene di scala molto maggiore, riguarda più il medio e il lungo periodo. Proponendo comunque una propria interpretazione di piattaforma ambientalista, un tipo di proposta politica che, perlomeno in Europa, è ormai necessario per i partiti di qualsiasi orientamento.
Stéphane François è uno storico che insegna scienze politiche all’Università belga di Mons e nel 2022 ha pubblicato un libro intitolato Les verts-bruns – L’écologie de l’extrême droite française in cui racconta come l’estrema destra non si sia a un certo punto “riappropriata”, come spesso si sente dire, delle questioni ecologiste, ma se ne sia di fatto sempre occupata.
Alla fine del XIX secolo, ha spiegato François al sito The Conversation, comparve un ecologismo conservatore, che intendeva preservare l’ambiente in un senso che lo storico definisce rousseauiano, facendo riferimento alle dottrine del filosofo del Settecento Jean-Jacques Rousseau: la natura, semplificando, era concepita come condizione originaria del genere umano, una condizione di innocenza e felicità.
In Europa fu soprattutto in Germania che si svilupparono questi concetti quando, tra il 1860 e il 1880, la libera associazione di stati tedeschi formata dal Congresso di Vienna del 1815 divenne parte dell’Impero tedesco e si unificò intorno alla Prussia, trasformandosi da area agricola ad area industriale e cittadina, e diventando la seconda potenza economica europea dietro al Regno Unito. Questa modernizzazione venne contestata in diversi ambienti dell’epoca e, in particolare, dal movimento völkisch, un termine di difficile traduzione che associa le idee di popolo inteso come comunità “di sangue e di suolo” al folklore, alla storia locale, al desiderio di un “ritorno alla terra” e alla conseguente rivolta contro la Rivoluzione Industriale e il liberalismo progressista della fine del XIX secolo.
Questo movimento fu il primo in Europa a sottolineare la necessità di proteggere l’acqua, l’aria e la terra e a porsi delle questioni ambientali che più che con l’ecologismo, cioè con la volontà e la necessità di difendere l’equilibrio naturale, avevano a che fare con una concezione romantica e arcaica del mondo.
Le ideologie völkisch, spesso intrise di antisemitismo, influenzarono il nazismo e i movimenti e i regimi autoritari che proliferarono in Europa a partire dagli anni Trenta. Basti pensare all’idea di una nazione proletaria, rurale e virile enfatizzata dal fascismo in Italia o al mito del ritorno alla terra propagandato in Francia dal regime collaborazionista di Vichy, che governò la parte meridionale del paese dopo l’invasione tedesca nella Seconda guerra mondiale. «Solo la terra non mente», era uno degli appelli del maresciallo Philippe Pétain.
Nel dopoguerra l’ambientalismo di estrema destra ebbe diversi ideologi e tutti avevano legami con il nazismo: Maurice Martin, conosciuto con lo pseudonimo Robert Dun, Henry Coston e Alain de Benoist, tra gli altri, fondatore negli anni Settanta del movimento della Nouvelle Droite (Nuova Destra) che coniugò i temi tipici della destra con l’ecologismo e il comunitarismo, una concezione che si oppone all’individualismo e che non concepisce l’individuo indipendentemente dai suoi legami culturali, etnici o religiosi con la comunità di appartenenza.
L’ambientalismo di estrema destra si basa su una concezione delle popolazioni come gruppi etnici radicati sul proprio territorio che il contatto con altri gruppi, le migrazioni, il cosmopolitismo, l’universalismo ma anche la modernità, la tecnologia e il progresso metterebbero in pericolo. Di conseguenza, l’ambientalismo di questa area politica non consiste solo nel proteggere la terra, ma anche nel preservare la diversità e la specificità dell’identità dei singoli popoli. I gruppi ambientalisti della destra radicale promuovono insomma una visione chiusa del mondo, un ritorno alla ruralità e a uno stile di vita quasi autarchico e rispettoso della natura.
Il Front National, nato nel 1972 e rinominato Rassemblement National nel 2018, pur appartenendo a questa tradizione politica e pur avendo avuto tra le proprie fila degli esponenti dell’ambientalismo identitario, per decenni ha sostanzialmente irriso o ignorato la questione ambientalista. La considerava, innanzitutto, da “bobos”, cioè appannaggio dell’élite intellettuale di sinistra, urbana e globalizzata. E quando invece la questione ha cominciato ad essere inclusa nei programmi del partito, soprattutto dal 2019, lo ha fatto interpretando molto liberamente fatti e teorie della scienza del clima, distorcendoli strumentalmente ai propri fini, ma rendendoli comunque sempre più centrali nella strategia elettorale del partito.
Da una parte l’ambientalismo di RN ha a che fare con la semplice gestione delle risorse naturali e non prevede un radicale cambiamento del sistema economico e produttivo: coincide con una forma di sviluppo sostenibile ed è criticato dagli ambientalisti di estrema destra di altri paesi proprio perché non rompe con il modello produttivista, che cioè intende aumentare la produttività migliorando ed espandendo l’utilizzo delle nuove tecnologie.
Marine Le Pen prima e Jordan Bardella poi hanno costruito un modello ambientalista che definiscono «positivo» o «di buon senso» e che, nella loro visione, si oppone a quello che chiamano invece «terrorismo climatico» e «ambientalismo punitivo» portato avanti secondo loro dalle élites del paese o dell’Unione Europea. «L’ideologia degli ambientalisti» ha detto Le Pen lo scorso primo maggio, «non è altro che una lotta contro gli esseri umani» che mette in pericolo «l’indipendenza della nazione e, soprattutto, il tenore di vita dei francesi». RN dice dunque di volersi opporre a tutto ciò che minaccia di sconvolgere gli stili di vita, le abitudini e i consumi dei cittadini e delle cittadine francesi e che viene deciso a Parigi o a Bruxelles.
Théodore Tallent, ricercatore e docente a Sciences Po, ha spiegato che all’epoca del movimento dei gilet gialli (nati nel 2018 dalla protesta contro la diminuzione del potere di acquisto e contro quelle che venivano definite le politiche anti-auto volute dal presidente Emmanuel Macron) «RN capì che la questione climatica poteva cominciare a stravolgere la vita quotidiana delle persone creando in loro un profondo malcontento». Lo scorso gennaio RN ha sostenuto anche le proteste degli agricoltori consentendo al partito di trovare una nuova leva politica «per criticare l’Unione Europea, le élite, per difendere i più vulnerabili che sarebbero oppressi dai potenti».
La maggioranza dei francesi, secondo i sondaggi, non nega il cambiamento climatico, ma ampi settori di popolazione «hanno spesso l’impressione che le misure previste per contrastarlo siano portate avanti dai cosiddetti “circoli dei bobos” sconnessi dalla realtà, opinione condivisa proprio da RN» ha spiegato Brice Teinturier, dell’istituto Ipsos. Anche per evitare di esporsi su questioni in cui è difficile dare risposte rassicuranti, come l’erosione delle coste o il calo dei rendimenti agricoli, RN ha assunto posizioni negazioniste continuando ad affermare che la situazione non è così allarmante come gli scienziati vogliono far credere.
Nel programma per le elezioni legislative presentato qualche giorno fa da RN, accanto alla volontà di smantellare gradualmente i parchi eolici esistenti perché deturpano i paesaggi francesi, c’è la proposta di eliminare alcune norme ambientali considerate «eccessive». Tra cui quelle che impedirebbero gradualmente ad alcune case ad alto consumo energetico di essere messe sul mercato da qui al 2034. RN dice poi di voler lanciare un nuovo piano per l’energia nucleare e di voler rivedere il divieto votato dal Parlamento Europeo di vendere nuove automobili a benzina o diesel dal 2035. Quando pensa a queste misure, il partito pensa a proteggere la «ruralità» e «la vecchia signora che va a comprare il pane con la sua 206», ha detto un deputato di RN qualche settimana fa. Durante la campagna per le europee, Bardella ha infine detto di voler superare il Green Deal, la serie di misure per rendere più sostenibili e meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia e lo stile di vita dei cittadini europei.
Bloom, associazione francese per la difesa degli oceani, ha valutato la performance ecologica dei gruppi politici del Parlamento europeo e dei partiti che li compongono analizzando 150 voti sugli emendamenti presentati durante l’ultima legislatura. Tali emendamenti si riferiscono a un totale di 52 testi di grande rilevanza per le politiche ambientali dell’Unione. I 150 emendamenti selezionati sono stati classificati in due gruppi: quelli che “salvano” e quelli che “distruggono” la natura e questo ha permesso di assegnare un punteggio specifico ai membri votanti del Parlamento e al gruppo di appartenenza. Il punteggio di RN è di 3,8 su 20: «RN si schiera sempre dalla parte delle lobby degli industriali», ha detto Swann Bommier di Bloom. «Ha una linea molto chiara: scettica sul clima e anti-ambientalista».
A livello nazionale il partito ha difeso i mezzi di trasporto inquinanti, votando ad esempio contro un disegno di legge proposto dagli Verdi che chiedeva di vietare l’utilizzo dei jet privati. Nel dicembre del 2020, i deputati di RN hanno votato per la reintrodurre i neonicotinoidi, che secondo diversi studi e anche secondo l’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, sono tra i responsabili della diminuzione nella popolazione di api. Più di recente si sono espressi contro una moratoria sull’estrazione mineraria dei fondali marini, contro l’istituzione delle domeniche senza caccia, contro l’abolizione della corrida, difesa come «passione dei popoli del Sud».
L’ambientalismo è dunque presente nei programmi di RN di fatto come anti-ambientalismo e anche l’insistenza sul localismo, dice Stéphane François, non è sinonimo di difesa dell’ambiente. «Non è perché produciamo qualcosa localmente che quel qualcosa sarà necessariamente migliore, anche se si limita l’impatto climatico legato ai trasporti. Localismo significa anche elogio della produzione fatta “da noi” piuttosto che “da loro”, il che ci riporta soprattutto a una retorica nazionalista».
Le Monde conclude il proprio editoriale dicendo che è senza dubbio su queste tematiche «che si può comprendere l’essenza stessa dell’ideologia» di RN: «Il ripiegamento su se stessi, il fatto di dare priorità all’interesse nazionale rispetto al resto dell’umanità e la volontà di spingere le problematiche ai confini della nazione sono incompatibili con la logica della lotta al riscaldamento globale, che richiede cooperazione, universalismo, solidarietà, e una serie di valori in contrasto con la cultura di questo partito».
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