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  • Venerdì 5 luglio 2024

Un capitolo di “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio

Il romanzo che ha vinto il Premio Strega ha per protagonista una donna che prova a ricostruire il rapporto con la figlia ventenne durante il lockdown per il coronavirus

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L’età fragile di Donatella Di Pietrantonio, il libro che ha vinto la 78esima edizione del Premio Strega, il più importante riconoscimento letterario italiano, è lungo 176 pagine ed è uno dei romanzi usciti negli ultimi anni ad avere il lockdown per la pandemia da coronavirus come sfondo alla trama. Ha per protagonista una donna da poco separata dal marito che cerca di ricostruire il rapporto con la figlia ventenne, quando lei torna in Abruzzo da Milano, dove studia all’università. «L’età fragile non è un’età della vita, è la vita stessa», ha scritto lo psichiatra e psicanalista Vittorio Lingiardi presentando il romanzo di Di Pietrantonio allo Strega.

Lo scrittore Nicola Lagioia ha elogiato la scrittrice perché nel libro sono presenti «pudore, delicatezza, rispetto per i sentimenti dei personaggi, capacità di ascolto», a suo dire «risorse sempre più rare nel racconto contemporaneo». Secondo Gianluigi Simonetti, professore di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Losanna, L’età fragile è un «libro di conferme, nel bene e nel male»: in senso negativo perché riprende alcune caratteristiche dei quattro precedenti romanzi, e quindi si ripete un po’, in senso positivo perché anche in questo caso Di Pietrantonio si dimostra una «scrittrice efficace» e di «indubbio talento narrativo». Pubblichiamo un estratto del libro, un capitolo dalla prima parte, per farsi un’idea.

***

Un anno e mezzo dopo mia figlia ha preso uno degli ultimi treni. Poi non è stato piú possibile lasciare Milano e nessun altro luogo d’Italia. Guardavo nelle dirette la gente che correva lungo le scale mobili, si accalcava ai binari. Cercavo anche lei, nella ressa la fiammata dei suoi capelli. Mi parlava al telefono, intanto. Forse riesco a salire. La immaginavo farsi largo, cosí minuta, con la valigia. Tornavano tutti a sud.

È arrivata alle dieci di sera, con due ore di ritardo. Non finiva mai di scaricare i bagagli, un ragazzo glieli porgeva dal vagone. È sceso a fumarsi mezza sigaretta prima di ripartire.

D’istinto mi sono avvicinata, lei mi ha fermato con la mano. Poteva essere pericoloso, ha detto.

Nell’auto ha acceso la radio e si è abbandonata contro il sedile, lasciando ciondolare la testa come se dormisse. Era troppo stanca per parlare, se non il minimo.
– Perché ti sei portata dietro tutto quel peso? – le ho chiesto. – Tra qualche settimana l’emergenza finirà, le università riapriranno.
– Che ne sai tu? Non puoi prevederlo.
Ha guardato distratta la porta d’ingresso al paese, nella nicchia il santo benedicente.

A casa ho acceso il forno per scaldarle la pasta, lei l’ha spento.
– Mangio domani.
È entrata in camera con lo zaino, il resto è rimasto in soggiorno. Non ho piú sentito nessun rumore, dietro la sua porta.
Piú tardi ho aperto le valigie, c’erano le lenzuola a colori che le avevo comprato. Con il cotone tra le mani ho avuto il presentimento che in quel ritorno ci fosse qualcosa di oscuro e definitivo.

La mattina l’ho lasciata dormire. Recuperava lo strapazzo del viaggio. Non aveva mangiato, però. E il giorno avanti nemmeno il tempo di un panino, prima di salire sul treno. Sospeso il servizio bar a bordo.

– Ascolta anche: La puntata di Timbuctu su L’età fragile

Ho cominciato a contare le ore, come quando era piccola e non si svegliava per la poppata. Dopo aveva una fame feroce, mi mordeva i capezzoli con le gengive taglienti.
È stato doloroso crescere Amanda. Io non la capivo, non capivo cosa volesse da me. Avevo paura di restare sola con lei. Di notte mio marito se l’appoggiava su una spalla e la portava in giro per la casa, dopo aver chiuso la camera per lasciarmi riposare.

Nella sala d’attesa del pediatra le altre riconoscevano la causa al primo strillo dei loro bambini. Mia figlia piangeva e io non sapevo perché. Avevo il petto pieno, eppure a volte lei si staccava di colpo e urlava. Allora il latte non era buono, pensavo. Me lo spremevo su un dito e lo leccavo. Forse sulla sua piccola lingua diventava amaro ciò che io sentivo dolce. Ricordo di averla scossa per farla smettere con le grida, ma non troppo forte.

Dopo vent’anni da allora una nuova inquietudine mi ha preso mentre Amanda non si svegliava. Le undici, le dodici. Chissà se a Milano aveva scambiato la notte per il giorno come da neonata. Ho cominciato a fare rumore in giro per la casa, sbattevo pentole, spostavo mobili. Se n’è accorta solo Rubina.

Da sotto mi ha sentita sul balcone: scendi, ha detto con la mano. Si era seduta su una sdraio, la gonna tirata sulle cosce e le maniche rimboccate.

Mi sono messa anch’io a favore del sole di marzo.
– È tornata Amanda, hai steso i suoi panni.
Mi ha chiesto come stava e io non lo sapevo. Stanca, ho risposto.
– Studierà qui a casa, per un po’.
Ha annuito a occhi chiusi. Ma non avevo trovato libri nelle valigie.
– Adesso ci riposiamo per forza, tutti fermi, – ha detto Rubina, ruotando le braccia dal lato piú bianco.
Le dispiaceva per le prove del coro sospese.
– Le ultime volte eravamo piú sciolti con il canto zingaro, – e ha accennato l’attacco.
Non avevo voglia di parlare, stavo solo aspettando che mia figlia si alzasse. Ogni tanto guardavo l’orologio di sottecchi. – Salgo, – ho detto all’una e mezza.

In casa non ci vedevo chiaro, per via del sole che ancora avevo negli occhi. Ho bussato alla sua porta, poi sono entrata. Lei sotto le coperte, la testa nascosta dal cuscino.
Le ho scoperto la faccia, per un momento mi ha guardata come se non mi riconoscesse.
– Sto in quarantena, allontanati, – ha detto. – Mangio in camera.
– Ci sediamo ai due capi del tavolo, è abbastanza lungo. Si è tirata su a sedere, cupa.
Ho arieggiato la stanza mentre si serviva in cucina il suo piatto di gnocchi. Appena finito è tornata a chiudersi dentro.

Quella notte, ma piú verso l’alba, mi ha svegliata un movimento morbido dall’altra parte del letto. Amanda si è rannicchiata fino a ridursi piccola e tonda, la schiena rivolta verso di me. Non so quanto tempo sono rimasta immobile, sorpresa. Poi lei ha cominciato a piangere. Senza voce, solo sussulti e tirare su con il naso. Allora l’ho circondata piú che potevo, le braccia leggere. – Non chiedermi niente, – ha detto.

È stata l’ultima volta cosí vicina a mia figlia. È successo poco piú di un anno fa.

© 2023 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

La copertina di "L'età fragile" di Donatella Di Pietrantonio

Ndr: per una consuetudine seguita dalla casa editrice Einaudi, nei suoi testi a stampa le vocali I, O e U sono accentate con l’accento acuto. Nel ripubblicare un estratto di un loro libro, rispettiamo la consuetudine.