La neve sulla Marmolada non basta
Nonostante ne sia caduta molta negli ultimi mesi, il ghiacciaio del massiccio sulle Alpi orientali continua a fondersi velocemente, in maniera ormai irreversibile
Dall’inizio dell’anno sulla Marmolada, come sul resto delle Alpi, ha nevicato molto: fino a poche settimane fa il rifugio di Capanna Punta Penia era ancora sepolto dalla neve, alta fino a quattro metri, e a luglio ormai iniziato il ghiacciaio continua a essere coperto da un esteso strato bianco. A prima vista sembra che la situazione sia decisamente migliorata rispetto a due anni fa, quando il caldo intenso registrato per settimane contribuì a far staccare un’enorme porzione di ghiaccio e detriti che uccise 11 persone.
In realtà lo stato di salute del ghiacciaio della Marmolada, che si trova sulle Dolomiti tra le province di Trento e Belluno, non è migliore rispetto agli ultimi anni: nonostante l’abbondanza di neve continua a fondersi a un ritmo molto elevato e in costante crescita, un processo che secondo molti studi è irreversibile. La neve caduta nel 2024, insomma è semplicemente conseguenza delle condizioni meteorologiche di quest’estate, per certi versi finora anomala rispetto agli ultimi anni.
La Marmolada è sotto osservazione dal 3 luglio 2022, quando circa 64mila tonnellate di acqua, ghiaccio e detriti diedero origine a una valanga che travolse e uccise 11 alpinisti, ferendone altri sette. Negli ultimi due anni diversi geologi e glaciologi hanno raccolto prove per indagare sulle ragioni del crollo. Il distacco avvenne a una quota di 3.212 metri, la parte più alta del versante settentrionale della Marmolada, e interessò un piccolo ghiacciaio che fino a un decennio fa faceva parte del ghiacciaio più grande.
I dati raccolti dicono che il crollo fu causato dall’accumulo di acqua dovuto al disgelo, causato a sua volta dalle temperature registrate nella primavera e nell’estate del 2022: tra il maggio e il giugno del 2022 la temperatura media fu superiore di due gradi alla media del periodo tra il 2008 e il 2021, tra l’altro dopo uno degli inverni più secchi e caldi dei 100 anni precedenti. Al momento della valanga erano stati raggiunti i 10,7 °C. La presenza di molta acqua liquida sul ghiacciaio staccò e spinse a valle un’estesa porzione di ghiaccio.
Gli escursionisti uccisi dalla frana erano per la maggior parte sulla cosiddetta “via normale”, una salita molto popolare tra appassionati di montagna, che non presenta difficoltà tecniche molto elevate ma si sviluppa in un ambiente di alta quota, pericoloso soprattutto nelle ore centrali della giornata quando sono maggiori le possibilità di distacco dei seracchi, le formazioni a torre tipiche dei ghiacciai. È il motivo per cui di solito si preferisce attraversare i ghiacciai nelle primissime ore della mattina.
Prima del crollo non erano stati osservati segnali evidenti di un pericolo imminente anche perché solitamente nei ghiacciai, a differenza che per le frane, non ci sono sistemi di allerta per misurare movimenti in tempo reale. I crepacci, grandi fessure nella superficie del ghiaccio, erano visibili sulla Marmolada già da diversi anni.
Dall’estate del 2022 la provincia di Trento ha coinvolto enti di ricerca e università per controllare il ghiacciaio e prevenire nuovi distacchi. Le campagne sono state coordinate dall’istituto di scienze polari del CNR, il consiglio nazionale delle ricerche: l’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) ha utilizzato un georadar per misurare lo spessore del massiccio, l’università di Parma e l’Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica sperimentale hanno raccolto dati nella zona del distacco, mentre l’università di Firenze e quella di Trento hanno indagato la presenza di sacche d’acqua all’interno del ghiacciaio.
Quest’anno molte di queste campagne di osservazione, sulla Marmolada come su altri ghiacciai delle Alpi, sono state complicate proprio per via della neve che non permette agli studiosi di raggiungere facilmente altitudini più elevate. Ma i dati non sono molto cambiati rispetto alla tendenza, che anche per la Marmolada è molto chiara. «Negli ultimi anni il ghiacciaio si è molto ridotto e continua a ridursi», dice Roberto Francese, geofisico dell’università di Parma e membro del comitato glaciologico italiano. «In generale i ghiacciai delle Alpi sono in fase di arretramento, un fenomeno che non ha un andamento lineare, ma quasi esponenziale».
Le nevicate, dice Francese, sono molto importanti soprattutto durante l’inverno perché grazie anche alle temperature più basse lo strato di neve tende a compattarsi e a rimanere più a lungo. Le nevicate tardive, come quelle avvenute quest’anno, rischiano invece di facilitare il passaggio dell’acqua negli strati più bassi del ghiacciaio. «Potremo fare un bilancio alla fine della stagione estiva, con misurazioni che stabiliranno di quanto si è abbassata la sommità del ghiacciaio», continua Francese. «Il mese di luglio è il più importante perché solitamente il più caldo. Molto dipende anche da quanti saranno i giorni di insolazione diretta e da quanti detriti ci sono in superficie, perché i detriti assorbono più calore rispetto alla neve. Più il ghiacciaio si fonde e più emergono problemi che contribuiscono a loro volta alla fusione».
In generale questi sono segnali dell’impatto che il cambiamento climatico sta avendo sulla criosfera, cioè sui ghiacci e le nevi che ricoprono alcuni pezzi della superficie terrestre e che d’estate, di anno in anno, si sciolgono in misura maggiore di quanto poi riescano a righiacciare d’inverno. Si stima che il progressivo aumento della temperatura media globale porterà alla scomparsa della maggior parte dei ghiacciai alpini che si trovano al di sotto dei 3.600 metri di altitudine entro la fine del secolo: quello della Marmolada rientra in questa categoria.
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