La lunga attesa di Mark Cavendish per la sua 35esima tappa vinta al Tour de France
Arrivata 16 anni dopo la prima e oltre mille giorni dopo la 34esima: è il record a cui aspirava da tanti anni, che però molti non credevano più possibile
Mercoledì 3 luglio Mark Cavendish, ciclista inglese di 39 anni, ha vinto in volata la quinta tappa del Tour de France, con arrivo a Saint-Vulbas. È stata la sua 35esima vittoria di tappa al Tour de France, che è la più importante corsa a tappe del ciclismo su strada, e ha così superato il record di vittorie al Tour di Eddy Merckx, il ciclista più forte di sempre. Erano anni che Cavendish continuava a gareggiare con questo unico grande obiettivo dichiarato, noto tra esperti e appassionati come “Project 35”, ma più passavano le stagioni e più l’obiettivo si faceva difficile, seppur vicinissimo: la precedente vittoria di Cavendish al Tour, la numero 34 con cui aveva eguagliato Merckx, era stata più di mille giorni fa.
La vittoria numero 35 di Cavendish è arrivata dopo che nel 2022 la sua squadra di allora aveva scelto di non fargli correre il Tour; dopo che l’anno scorso – che nei suoi piani iniziali avrebbe dovuto essere il suo ultimo anno – si era dovuto ritirare in seguito a una caduta; dopo che sabato, nella prima tappa del Tour di quest’anno, era arrivato terzultimo al traguardo di Rimini, quasi quaranta minuti dopo il vincitore; e dopo che a poche centinaia di metri dal traguardo di Saint-Vulbas Cavendish era rimasto senza compagni di squadra ad aiutarlo ad approcciare la volata finale in una buona posizione. «Oggi sorridiamo tutti» ha detto ieri Christian Prudhomme, direttore generale del Tour de France: «perfino Eddy Merckx».
Cavendish è nato nel maggio del 1985 sull’Isola di Man, tra l’Irlanda e la Gran Bretagna. Dopo qualche anno di calcio si appassionò al ciclismo e ci si dedicò: prima con una bicicletta BMX, poi con una mountain bike, poi in un’accademia giovanile finanziata dall’associazione ciclistica britannica. Divenne professionista intorno ai vent’anni, alternando gare su strada e gare su pista, in particolare nella corsa a punti nota come “americana”. E grazie alla sua notevole forza e alla sua non comune capacità di destreggiarsi tra il trambusto e i pericoli delle volate su strada divenne in poco tempo il più forte velocista in attività.
C’è stato un periodo, tra la fine degli anni Zero e i primi anni Dieci, di cui Cavendish ha detto: «faceva più notizia se perdevo che se vincevo». Tra il 2008 e il 2016 Cavendish vinse 15 tappe del Giro d’Italia, diverse decine di altre tappe in corse di un giorno o corse a tappe più brevi e, soprattutto, 30 tappe al Tour de France. Già nel 2011, William Fotheringham aveva scritto di lui, sul Guardian, che era «più prolifico della maggior parte degli altri velocisti, e più costante di tutti».
Oltre alle volate nei Grandi giri come il Tour de France, il Giro d’Italia e la Vuelta a España (le volate sono gli arrivi pianeggianti e con il gruppo compatto, in cui a giocarsi la vittoria sono quasi sempre gli atleti capaci di esprimere la massima potenza in poche centinaia di metri di sprint finale), già nel 2016, a trent’anni già compiuti, Cavendish aveva vinto un Mondiale su strada, tre ori mondiali su pista e un argento olimpico nell’omnium, un’appassionante competizione a punti su pista composta (allora) da sei diverse gare.
Otto anni fa, quindi, a Cavendish mancavano solo cinque vittorie per superare il record di Merckx. Però proprio tra il 2016 e il 2017 iniziarono i problemi. Dopo essere stato prima il-più-forte e poi uno che comunque, anche con l’esperienza, riusciva a ottenere un discreto numero di vittorie, smise di vincere. Si ammalò di una forma piuttosto pesante di mononucleosi, che per diversi mesi ne condizionò le prestazioni. In seguito raccontò, parlando al passato, che i suoi non erano stati solo problemi fisici, e nel 2018 gli fu diagnosticata una «depressione clinica». Anche nel 2019, risolti i problemi con la mononucleosi, Cavendish non vinse niente, neanche una corsa minore. E non arrivò nessuna vittoria nemmeno nel 2020, anno in cui Cavendish non finì nemmeno una volta tra i primi dieci, in nessuna delle gare a cui partecipò. Sembravano esserci tutti i segnali di un atleta che non si rende conto che è giunto il momento di ritirarsi, che si ostina a inseguire la forma e i risultati degli anni migliori, senza rendersi conto che quegli anni sono ormai finiti.
Cavendish aveva ormai superato i trent’anni da qualche anno: era possibile, anzi addirittura probabile, che avesse perso la capacità di concentrare tantissima potenza nelle decisive pedalate di una volata (si parla di circa 1,5 kW, abbastanza da far funzionare un piccolo elettrodomestico) e che magari avesse perso la scaltrezza e la veemenza necessarie per vincere le volate o anche solo per mettersi nella condizione di provarci, nei sempre concitati chilometri finali.
Cavendish non sembrava nemmeno in grado di avere una condizione psicofisica per reinventarsi come gregario, il ruolo di chi aiuta altri compagni a vincere le loro volate, precedendoli in quelle file di corridori note in gergo come “treni” e mettendosi al servizio di un altro velocista facendone il cosiddetto “pesce pilota” (cioè colui che, mettendosi davanti a un velocista, cerca di condurlo nella miglior posizione possibile in vista della volata finale).
A fine 2020, a 35 anni, dopo centinaia di giorni senza vittorie, al termine della corsa belga Gand-Wevelgem Cavendish disse in lacrime: «potrei aver corso l’ultima gara della mia carriera». Questo perché il suo contratto con la squadra di allora era in scadenza, non c’era l’intenzione di rinnovarglielo e non era per niente detto che qualche altra squadra volesse puntare su un corridore che non sembrava poter essere ancora vincente, forse anche nemmeno competitivo.
Poi Cavendish trovò posto nella Deceuninck-Quick Step, la squadra (con un nome in parte diverso, ma per gran parte ancora guidata dalle stesse persone) con cui aveva corso tra il 2013 e il 2015. «Ho scelto questa squadra perché quelli furono i giorni più felici della mia carriera» disse, «e volevo solo stare in un posto felice, mi serviva».
Già nei primi mesi dell’anno la scelta iniziò a mostrarsi azzeccata e si iniziò a parlare di un suo ritorno al Tour de France, dopo due anni di assenza. Al Tour del 2021 – dopo cinque anni senza vittorie al Tour – Cavendish vinse una tappa, e poi un’altra, e poi un’altra ancora. E poi una quarta, la numero 34 al Tour, tante quante Merckx. Già allora il Guardian definì quanto fatto da Cavendish «una delle più grandi rinascite della storia del ciclismo».
A quella ripresa seguirono però altri problemi. Nel 2022 la squadra scelse di non convocarlo per il Tour de France e a fine anno, dopo che ci si chiedeva, di nuovo, se per lui fosse ormai prossimo il momento del ritiro, fu ingaggiato dalla Astana Qazaqstan, che nel 2023 lo portò al Tour de France, decidendo di puntare forte sul suo “Project 35” e su quello che sembrava proprio dover essere l’ultimo Tour de France della sua carriera. Alla settima tappa Cavendish arrivò secondo, all’ottava cadde nel finale e dovette ritirarsi dalla corsa.
Nonostante tutto, lui e la squadra decisero però di riprovarci anche nel 2024, con l’Astana Qazaqstan che in vista di questo Tour ha assemblato una squadra quasi solo votata a supportare Cavendish, in particolar modo ingaggiando il danese Michael Mørkøv, lo storico “ultimo uomo” delle volate di Cavendish.
Per Cavendish, questo 2024 era iniziato piuttosto sottotono, con pochi risultati e perlopiù in corse minori. E ancora peggio era iniziato il Tour: forse per il grande caldo, o forse per una semplice giornata negativa, nella prima tappa del Tour de France, che per la prima volta nella sua storia è partito dall’Italia, Cavendish ha avuto grandi problemi ad arrivare fino al traguardo di Rimini entro il tempo massimo consentito. Si è staccato dal resto del gruppo dopo poche decine di chilometri e, mentre intanto era atteso e sostenuto da diversi compagni, il suo distacco aumentava sempre più. Lo si è anche visto vomitare lungo il percorso.
Nella terza tappa, la prima con finale pianeggiante, Cavendish non ha potuto giocarsi la volata a causa di una caduta che gli ha fatto perdere terreno, nella quarta ha dovuto superare, insieme con tutti gli altri velocisti, gli oltre 2.600 metri di altitudine del Col du Galibier. Nella quinta tappa, il 3 luglio, da Saint-Jean-de-Maurienne a Saint-Vulbas, ha vinto, nel suo 18esimo Tour, a 39 anni, la sua 35esima tappa. Tutto questo dopo che, nonostante gli sforzi dell’Astana Qazaqstan nell’attrezzare una squadra per sostenerlo, già a un chilometro dalla fine Cavendish si era trovato senza compagni in mezzo agli avversari.
Nel video dell’ultimo chilometro, facendo attenzione a seguire Cavendish (il corridore in maglia azzurra che dopo pochi secondi si sposta verso la destra), si vede come, anche facendo quasi a spallate con altri velocisti, si sposti tra maglie di colore diverso dalla sua per cercare la posizione migliore per fare la volata finale, evitando di restare “chiuso” dietro ad altri corridori e, al contempo, evitando di mettersi “al vento” e finire troppo presto nelle prime posizioni, senza avere quindi la possibilità di sfruttare la scia degli avversari.
Oltre alla potenza finale, Cavendish – il secondo corridore più anziano a vincere una tappa al Tour – ha vinto di esperienza, dimostrando ottime doti di ragionamento oltre che forza nelle gambe, grazie alla capacità di analisi di quel che gli succedeva attorno, mentre tutti andavano a oltre 60 chilometri orari di velocità.
Già oggi ci sarà una nuova tappa con possibile arrivo in volata, e con un’altra occasione per Cavendish di giocarsela con i migliori velocisti al mondo, molti dei quali di almeno 10 anni più giovani di lui, che vinse la sua prima tappa del Tour nel 2008, quando il corridore attualmente in maglia gialla (quella che viene data al primo in classifica nel Tour), lo sloveno Tadej Pogačar, ancora doveva compiere 10 anni. Proprio a Pogačar – un corridore che per forza, attitudine e capacità di vincere su terreni di ogni tipo è già stato associato a Merckx – dopo l’arrivo Cavendish ha detto, sorridendo, «don’t beat it», “non batterlo”, in riferimento al suo nuovo record di 35 tappe al Tour de France.