Francesco Schiavone non è più un collaboratore di giustizia e tornerà al 41-bis

Una foto segnaletica della Dia mostra Francesco Schiavone dopo il suo arresto, 26 novembre 1998 (CIRO FUSCO via ANSA/PAL)
Una foto segnaletica della Dia mostra Francesco Schiavone dopo il suo arresto, 26 novembre 1998 (CIRO FUSCO via ANSA/PAL)

Dopo tre mesi la procura di Napoli ha interrotto il processo di collaborazione con Francesco Schiavone, il boss del clan camorrista dei Casalesi noto anche come “Sandokan”. Lo scorso marzo aveva deciso di diventare un collaboratore di giustizia, e cioè di fornire agli inquirenti informazioni rilevanti sui meccanismi interni alla criminalità organizzata in cambio alcuni benefici sulla sua pena detentiva.

Inserendo Schiavone nel programma per collaboratori, i pubblici ministeri speravano di ottenere qualche chiarimento sui legami tra camorra e politica, sui capitali nascosti o informazioni utili a indagini ancora in corso. Tuttavia durante gli interrogatori, condotti tra gli altri anche dal noto procuratore Nicola Gratteri, non è stato scoperto nulla di nuovo o di utile nelle sue dichiarazioni. Il ministero della Giustizia ha quindi disposto per Schiavone il rientro al 41-bis, il regime di carcere duro in cui era detenuto prima di marzo, riservato ad alcuni condannati per criminalità organizzata, e da cui era uscito grazie all’inizio del programma di collaborazione.

Oggi Schiavone ha settant’anni ed è in carcere dal 1998. Fu uno dei principali boss della criminalità organizzata attivi tra gli anni Settanta e Ottanta: ha fatto parte di Cosa Nostra, la mafia siciliana, ma è stato anche capo del clan camorristico dei Casalesi (attivo in molte parti d’Italia e all’estero, ma che si sviluppò a partire dalla Campania). Durante il suo periodo di attività gestì traffici illegali di armi, droga e rifiuti, sia in Italia che all’estero, e partecipò a guerre e scontri tra clan nell’area del casertano, in Campania.