La vita dei profughi siriani in Turchia è sempre più difficile
Subiscono violenze e discriminazioni sistematiche, oltre a rimpatri forzati: il terremoto, la crisi economica e un recente caso di cronaca hanno peggiorato le cose
Negli ultimi giorni in varie province meridionali della Turchia ci sono stati attacchi contro alcune comunità dei profughi siriani scappati nel paese per via della guerra civile che in Siria dura ormai da 13 anni. Ci sono stati negozi assaltati, auto bruciate, manifestazioni con slogan violenti e razzisti. In risposta a questi attacchi nelle province settentrionali della Siria ci sono state manifestazioni anti turche che hanno avuto come obiettivo soprattutto le postazioni militari turche che presidiano alcune aree e le zone di confine. La Turchia ha chiuso i varchi di confine ma al contempo il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è espresso contro «chi incita all’odio contro i rifugiati».
La questione dei profughi siriani è centrale nella politica turca da almeno un paio d’anni, ma la tensione è ulteriormente aumentata nelle ultime settimane.
La Turchia ospita 3,6 milioni di profughi. Gran parte di loro sono siriani arrivati a partire dal 2011 dopo l’inizio della guerra civile. Le tensioni con la comunità locale ci sono sempre state, ma si sono acuite dopo alcuni fatti più recenti.
Le province dove oltre un milione e 700mila rifugiati siriani risiedono sono state le più colpite dal catastrofico terremoto del 6 febbraio 2023. Negli ultimi anni poi un’inflazione altissima e la svalutazione della lira turca hanno creato un gran numero di nuovi poveri fra i cittadini turchi. Terremoto e crisi economica hanno aumentato le tensioni fra le fasce più povere della popolazione turca e l’altra componente marginale della società, cioè quella dei rifugiati siriani.
Le tensioni sono state in parte alimentate dalla propaganda politica: i partiti di estrema destra hanno indicato i profughi siriani come capro espiatorio dei problemi del paese e anche la coalizione di opposizione a Erdogan nelle elezioni del 2023 ha attaccato le politiche di accoglienza portate avanti dal presidente turco, arrivando a promettere in campagna elettorale di espellere tutti i siriani «entro due anni».
La politica dell’accoglienza di Erdogan non sembra essere ispirata da ragioni umanitarie: il governo turco riceve molti aiuti internazionali diretti e indiretti per ospitare una comunità così numerosa, compresi i discussi fondi frutto dell’accordo con l’Unione Europea per bloccare i migranti che vogliono entrare nell’Unione Europea raggiungendo le isole greche, alcune delle quali distano pochi chilometri dalle coste turche.
Negli ultimi giorni le violenze contro i profughi siriani sono state innescate da una notizia di cronaca. Nella provincia centrale di Kayseri un uomo siriano è stato accusato di aver abusato sessualmente di una bambina di sette anni, anche lei siriana, nel bagno pubblico di un mercato. La notizia è circolata molto sui social media e alcuni gruppi di persone hanno iniziato ad attaccare negozi, case e auto della comunità siriana, con lanci di pietre e atti di vandalismo. Attacchi simili sono poi avvenuti anche nelle province di Hatay, Gaziantep, Konya e Bursa, nonché nell’area metropolitana di Istanbul. La polizia, dopo un’iniziale reazione molto limitata (rispetto agli standard locali sulle manifestazioni di protesta), ha compiuto oltre 400 arresti.
Questi episodi si inseriscono in un contesto sempre più ostile verso i rifugiati siriani, che prima del terremoto e della crisi economica avevano per lo più iniziato un processo di inserimento in Turchia: vivevano in abitazioni, e non in campi profughi, avevano spesso avviato attività commerciali, sostenute dagli aiuti della comunità internazionale e dell’Unione Europea.
La maggior parte degli oltre 3 milioni di siriani in Turchia può contare su uno status di “protezione temporanea”, che non prevede un percorso definito di ottenimento della cittadinanza turca. I profughi poi si sono dovuti registrare in una singola provincia turca: solo in questa hanno accesso agli aiuti e ai servizi, solo in questa possono cercare lavoro. Per spostarsi in un’altra provincia, anche solo temporaneamente, serve un permesso non facile da ottenere. Alcune famiglie si spostano comunque per lavorare in nero, e per questo molti bambini siriani non frequentano alcuna scuola (potrebbero farlo solo nelle province in cui sono registrati). Se si viene fermati in una provincia diversa si rischiano conseguenze serie, che spesso consistono nell’espulsione.
I rimpatri verso la Siria sono molto aumentati negli ultimi anni: Erdogan ha recentemente detto che 670.000 persone sono rientrate nelle zone settentrionali della Siria, dove l’esercito turco è attivo per creare una zona sicura che faccia “da cuscinetto” prima dei propri confini. Questi rimpatri vengono fortemente incentivati dal governo e vengono spesso registrati ufficialmente come “volontari”. Non sempre lo sono: secondo i dati della ong Human Rights Watch oltre 57mila siriani sono stati rimpatriati con la forza nel 2023.
I siriani rimpatriati restano principalmente nella provincia di Idlib, quella più vicina al confine con la Turchia e controllata dai ribelli che combattono il regime di Bashar al Assad. Attualmente la provincia è governata dagli islamisti della milizia Hayat Tahrir al-Sham, gruppo nato dallo scioglimento del Fronte al Nusra, in precedenza affiliato al noto gruppo terrorista al Qaida. La provincia è particolarmente povera e instabile: negli ultimi tempi ci sono state numerose proteste e i circa 2,9 milioni di persone ospitate lì, spesso provenienti da altre zone della Siria tornate sotto il controllo del regime di Assad, per sopravvivere dipendono per lo più dagli aiuti internazionali.
È qui che sono avvenute le manifestazioni in sostegno dei siriani che hanno portato ad attacchi a postazioni dell’esercito turco e alla distruzione di alcune bandiere turche. Potrebbero essere stati almeno in parte alimentati anche dalle ipotesi di riavvicinamento fra la Turchia e il regime di Assad: la settimana scorsa Erdogan ha detto di essere disponibile a incontrare Assad per ristabilire relazioni diplomatiche. I due leader erano stati in passato piuttosto vicini, ma la Turchia aveva poi appoggiato l’Esercito libero siriano (Free Syrian Army, FSA) durante la guerra civile siriana. Alcuni siriani particolarmente frustrati o ostili nei confronti della Turchia potrebbero non avere apprezzato questa ipotesi di riavvicinamento.
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