Le storie intorno alla lunga inchiesta sull’omicidio di Mario Bozzoli
Per la sua morte, avvenuta nel 2015 nella sua fonderia nel bresciano, è stato condannato all'ergastolo il nipote Giacomo che ora è latitante
Da lunedì sera i carabinieri cercano Giacomo Bozzoli, condannato all’ergastolo per l’omicidio dello zio Mario Bozzoli, ucciso e buttato nel forno della fonderia di famiglia a Marcheno, in provincia di Brescia, l’8 ottobre del 2015. Lunedì pomeriggio la Cassazione aveva confermato la pena stabilita dalla sentenza di primo e secondo grado.
I carabinieri non hanno trovato Bozzoli nella sua villa di Soiano, al Lago di Garda. Solo mercoledì mattina è stato firmato il decreto di latitanza che consente di estendere le ricerche in tutta l’Italia: il suocero ha detto ai carabinieri che Bozzoli si troverebbe «in una località imprecisata della Francia» insieme alla compagna e al figlio. Negli anni delle indagini e dei processi Bozzoli è stato sempre libero e si è messo a disposizione della magistratura che non ha mai ravvisato il pericolo di fuga, uno dei presupposti necessari per mettere in custodia cautelare una persona prima della sentenza definitiva.
Mario Bozzoli, che nel 2015 aveva 50 anni, fu visto per l’ultima volta l’8 ottobre alle 19, diretto verso lo spogliatoio dell’azienda di famiglia, una fonderia a Marcheno. Alle 19:15 chiamò la moglie, Irene Zubani, per avvisarla che si sarebbe cambiato e poi sarebbe partito per raggiungerla in un ristorante sul lago di Garda, in leggero ritardo rispetto al previsto. «Mi faccio una doccia e arrivo», disse.
Nei giorni successivi, dopo la denuncia fatta dalla famiglia, decine di volontari cercarono l’uomo sui monti vicini all’azienda. L’auto era rimasta nel parcheggio e nello spogliatoio c’erano ancora i suoi vestiti, comprese le scarpe, mentre il telefono non fu trovato. Il 13 ottobre la procura chiese l’intervento del RIS, il Reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri, per raccogliere eventuali prove all’interno della fonderia, nel frattempo messa sotto sequestro.
Sei giorni dopo la scomparsa di Bozzoli, Giuseppe Ghirardini, addetto al forno della fonderia, disse alla sorella che sarebbe uscito per una battuta di caccia, ma lasciò a casa i fucili e i cani. Il 18 ottobre fu trovato morto sulla sponda di un torrente sopra Ponte di Legno, in Valcamonica. Durante l’autopsia, il medico legale trovò una capsula di cianuro nello stomaco di Ghirardini: la procura aprì un’inchiesta per istigazione al suicidio, successivamente archiviata, nei confronti di Giacomo e Alex Bozzoli, figli di Adelio, fratello di Mario Bozzoli.
Oltre ai RIS, la ricerca di prove nella fonderia fu affidata all’anatomopatologa Cristina Cattaneo, nominata consulente dalla procura di Brescia. Cattaneo concentrò la sua attenzione sui forni, mentre i vigili del fuoco controllarono con attenzione tutti gli impianti, i tombini e le vasche dell’azienda. L’allora procuratore capo, Tommaso Buonanno, disse che secondo gli indizi raccolti dagli investigatori Bozzoli non era mai uscito dalla fonderia. Si iniziò a indagare per omicidio e occultamento di cadavere.
Il 18 dicembre 2015 i due nipoti di Mario Bozzoli, Giacomo e Alex, furono indagati per omicidio insieme a due operai. Le indagini continuarono con lentezza anche a causa della morte improvvisa del magistrato che se ne stava occupando, Alberto Rossi. Nel 2018 il procuratore generale Pier Luigi Maria Dell’Osso decise quindi di “avocare” l’inchiesta, come si dice nel gergo giudiziario, cioè di farsene carico in prima persona. I termini per le indagini erano scaduti nel gennaio del 2018 e il pubblico ministero subentrato a Rossi, Mauro Leo Tenaglia, non aveva né chiesto l’archiviazione, né un processo per gli indagati. Nel 2020 Dell’Osso chiese il rinvio a giudizio solo per Giacomo Bozzoli e l’archiviazione per le altre persone indagate.
Il processo di primo grado fu lungo e complesso. Diversi familiari chiamati a testimoniare parlarono di dissidi tra lo zio e il nipote, mentre gli operai si contraddissero più volte sugli orari degli spostamenti durante la sera dell’omicidio. I consulenti della procura, compresa l’anatomopatologa Cattaneo, confermarono di non aver trovato tracce biologiche nel forno della fonderia.
I periti del tribunale chiesero di verificare l’ipotesi dell’accusa – cioè che il corpo di Mario Bozzoli potesse essere stato buttato nel forno – con un esperimento: fu preso il corpo di un maiale già morto da non più di 24 ore, vestito con indumenti simili a quelli indossati da Mario Bozzoli, e gettato nel forno. Durante l’esperimento non ci furono esplosioni nel metallo fuso, né puzza fino a quando non fu sollevata la cappa del forno con un effetto compatibile con un “fumata anomala” segnalata la sera dell’omicidio. La medica legale nominata dal tribunale, Camilla Tettamanti, disse che per arrivare alla distruzione completa del cadavere nel forno ci sarebbero volute solo poche ore. «Siamo certi che il corpo di Mario sia stato distrutto nel forno della fonderia», disse la pubblica accusa nella lunga requisitoria con cui fu chiesto l’ergastolo nei confronti di Giacomo Bozzoli.
Secondo la procura, Giacomo Bozzoli uccise Mario Bozzoli all’interno della fonderia per via di dissidi in merito alla gestione economica dell’azienda: i nipoti, infatti, tendevano a risparmiare sui costi e a gonfiare le fatture. Il corpo dell’uomo, sempre secondo la ricostruzione dell’accusa, fu buttato nel forno da Giuseppe Ghirardini, l’addetto trovato morto con la capsula di cianuro. Ghirardini prima di morire sarebbe stato ricompensato con 50mila euro da Giacomo Bozzoli, definito dai magistrati «un violento e prevaricatore: odiava lo zio e voleva ucciderlo, pianificava la sua morte da anni nei minimi dettagli».
Il 30 settembre del 2022 la Corte d’Assise di Brescia, presieduta dal giudice Roberto Spanò, condannò Giacomo Bozzoli all’ergastolo, pena confermata nel processo di secondo grado.
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici scrissero che Giacomo Bozzoli era sicuramente vicino al forno tra le 19:15 e le 19:18, quando fu segnalata la “fumata anomala”, e che fu lui stesso a dare 50mila euro a Ghirardini come compenso per disfarsi del corpo dello zio. I giudici scrissero anche che Giacomo Bozzoli era l’unica persona «in cui è risultato coesistere, unitamente all’odio ostinato e incontenibile già molto tempo prima rispetto all’omicidio a sua volta germinato da un rancore altrettanto persistente e irremovibile nei confronti della vittima, anche l’interesse economico per ucciderla riconducibile agli interessi societari e familiari». Il movente dell’omicidio, insomma, furono l’odio nei confronti dello zio e gli interessi economici. Lunedì la pena è stata confermata dalla Cassazione.
Dopo il processo di secondo grado la procura di Brescia ha aperto una nuova inchiesta: è stato indagato l’altro operaio presente nella fonderia, Oscar Maggi, accusato di concorso in omicidio premeditato e distruzione di cadavere. Le indagini si sono concluse lo scorso aprile: probabilmente la procura chiederà presto il rinvio a giudizio.