Sono cinquant’anni che risolviamo il cubo di Rubik

Fu inventato da un professore ungherese nel 1974 quasi per caso, ed è ancora uno dei rompicapi più apprezzati (o detestati) al mondo

Ernő Rubik, il creatore del cubo di Rubik, durante un evento vicino a Parigi, il 15 luglio del 2017
Ernő Rubik, il creatore del cubo di Rubik, durante un evento vicino a Parigi, il 15 luglio del 2017 (REUTERS/ Stephane Mahe)
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Nella primavera del 1974 l’architetto ungherese Ernő Rubik stava studiando il particolare cubo di legno che aveva appena inventato per spiegare ai suoi studenti la geometria descrittiva, cioè la scienza che si occupa di definire e rappresentare su un piano gli oggetti tridimensionali. Come ha raccontato nella sua biografia, però, non gli era «mai venuto in mente che stava creando un rompicapo». Rubik, allora 29enne, aveva inventato il cubo di Rubik, uno dei rompicapi più famosi al mondo e, a cinquant’anni dalla sua creazione, ancora uno degli oggetti più noti e riconoscibili di sempre.

Il gioco consiste nel riordinare le facce esterne di 26 piccoli cubi, colorate in sei modi diversi, affinché le sei del cubo più grande che compongono siano dello stesso colore. Nella sua complicata essenzialità ha incuriosito fin da subito decine di fisici, matematici e studiosi che gli hanno dedicato numerosi libri e pubblicazioni scientifiche, ma continua anche ad appassionare milioni di persone in tutto il mondo.

Rubik insegnava architettura all’Istituto di arti applicate di Budapest, aveva l’hobby della costruzione di modelli geometrici ed era incuriosito dai poliedri regolari, in particolare dal cubo, o esaedro. Il suo obiettivo era creare una struttura che permettesse di muovere sezioni indipendenti di un cubo, senza doverlo per forza smontare e rimontare ogni volta: così nel 1974 realizzò a mano un prototipo con facce formate da sezioni diverse, in cui i cubi erano agganciati al centro da un meccanismo interno e si potevano quindi ruotare e mescolare.

All’inizio «fu meraviglioso vedere come, dopo poche rotazioni, i colori risultavano mischiati, apparentemente a caso». Poi però tornare al punto di partenza diventò «quasi impossibile», racconta sempre Rubik nell’autobiografia: «Avevo creato il caos e non sapevo come tornare indietro».

Gli ci volle più di un mese per risolvere il rompicapo che aveva creato, e quando lo mostrò ai suoi studenti ne rimasero meravigliati. Capì di aver inventato un aggeggio che poteva essere riprodotto in maniera relativamente facile e usato sia a scopo scientifico sia come passatempo. Nel gennaio del 1975 registrò in Ungheria il brevetto dell’invenzione: era nato il “cubo magico”.

Ernő Rubik con la sua celebre invenzione in una foto del 18 settembre del 2018

Ernő Rubik con la sua celebre invenzione in una foto del 18 settembre del 2018 (AP Photo/ Richard Drew)

Trovare un’azienda che lo producesse nell’Ungheria sotto il controllo sovietico non fu facile, raccontò Rubik in un’intervista data alla CNN nel 2012, ma dopo qualche tempo ne individuò una che fabbricava set di scacchi in plastica. Alla fine del 1977 il suo cubo magico comparve nei negozi di giocattoli ungheresi e poi fu presentato nelle principali fiere europee di settore. Nel 1980, grazie a un accordo con la società di giocattoli statunitense Ideal Toy Corp, fu avviata la produzione su larga scala di un modello di cubo più leggero e soprattutto con un nuovo nome, meno equivoco e più riconoscibile: cubo di Rubik.

In Ungheria la gente lo portava in vacanza assieme ad «altre prelibatezze ungheresi, come le salsicce e il vino tokaji», ha detto Rubik in una recente intervista data al New York Times, mentre in paesi come Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti ottenne subito vari riconoscimenti come gioco dell’anno. Oggi il suo cubo fa così parte della cultura pop da essere comparso in moltissimi film, programmi e serie tv, e da aver ispirato anche opere d’arte e oggetti musicali.

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Il cubo di Rubik è formato da una serie di cubetti di plastica: otto hanno faccette angolari, con tre adesivi colorati ciascuno, dodici hanno faccette laterali con due adesivi, e sei rappresentano le faccette centrali, con un solo adesivo; ognuno è dotato di un perno che serve per essere agganciato agli altri all’interno. Il meccanismo centrale permette di spostare lungo due assi i cubetti e di creare quindi diverse combinazioni: per la precisione 43.252.003.274.489.856.000, più di 43 miliardi di miliardi. Per risolverlo esistono moltissime tecniche e strategie diverse, da quella più semplice a quella più veloce.

Secondo Rubik il cubo incuriosisce per via di quella che ha definito «la contraddizione tra semplicità e complessità» e «probabilmente parte della chiave del suo successo è il fatto che si possa trovare un legame tra ordine e caos». In effetti il gioco attrasse subito fisici e matematici come David Singmaster, che scrisse un libro in cui analizzava il rompicapo e dava riferimenti sulle tecniche per risolverlo. Se ne interessarono anche gli studenti del Massachusetts Institute of Technology (MIT), una delle università statunitensi più autorevoli e conosciute al mondo, che nel luglio del 1980 inaugurarono una delle primissime mailing list dedicandola proprio al cubo di Rubik. Il New York Times ne parlò come di «un’ossessione nazionale» per gli Stati Uniti.

Secondo una stima tra il 1980 e 1983 ne furono venduti in totale circa 200 milioni. Nel marzo del 1981 a Monaco, in Germania, si tenne la prima competizione del cosiddetto speedcubing, cioè la risoluzione del cubo di Rubik nel minor tempo possibile; nello stesso mese il gioco finì sulla copertina della rivista Scientific American, dove il filosofo e scienziato cognitivo Douglas Hofstadter descrisse il fenomeno come «cubitis magikia», che definì «un grave disturbo mentale accompagnato da prurito ai polpastrelli che può essere alleviato solo con il contatto prolungato con un cubo di molti colori», «altamente contagioso», con sintomi che spesso duravano «mesi».

«Se sei curioso, troverai i rompicapi attorno a te. Se sei determinato, li risolverai», ha notato Rubik, che si occupa da tempo di divulgazione scientifica, promuovendo l’importanza dello studio delle scienze a scuola.

Studenti radunati in occasione di un evento per i 50 anni del cubo di Rubik. Budapest, Ungheria, 12 giugno 2024

Studenti a un evento per i 50 anni del cubo di Rubik a Budapest, Ungheria, 12 giugno 2024 (Zoltan Balogh/ MTI via AP)

Un anno dopo la prima gara, a Budapest si tenne il primo campionato mondiale di speedcubing, vinto dal sedicenne statunitense di origine vietnamita Minh Thai, che risolse il cubo di Rubik in poco meno di 23 secondi. Anche se già verso la fine del 1982 l’interesse per il gioco cominciò a scemare, almeno negli Stati Uniti, il cubo di Rubik tornò a interessare il grande pubblico di nuovo dagli anni Novanta grazie alla progressiva diffusione di Internet e, pertanto, alla facilità di trovare metodi per risolverlo.

Così nel 2003 fu ripristinato il campionato mondiale di speedcubing, che da allora viene organizzato ogni due anni dalla World Cube Association (WCA), una non profit di Los Angeles che al momento gestisce 17 categorie di competizioni in giro per il mondo. Oltre alla gara di velocità con il cubo di Rubik tradizionale, la WCA organizza quelle con cubi che hanno file da due, quattro, cinque, sei e sette cubi, o quella con un rompicapo a forma di piramide; ci sono poi le gare in cui bisogna risolvere il cubo bendati (dopo aver avuto tempo per memorizzare la posizione iniziale delle faccette colorate), con una sola mano oppure con il minor numero di mosse possibile. Un tempo c’era anche la gara con i piedi.

Negli ultimi tempi lo speedcubing è cresciuto moltissimo fino a diventare un fenomeno culturale che coinvolge perlopiù ragazzi molto giovani e sempre più abili nel destreggiarsi nei movimenti, con il risultato che i record sono stati via via migliorati. Nel 2023 le persone che hanno partecipato a un qualche tipo di evento legato al cubo di Rubik sono state 37.500, ha detto al Guardian Nevins Chan Pak Hoong, uno dei giudici della WCA. Giusto un anno fa il 22enne statunitense Max Park ha completato il cubo di Rubik in 3,134 secondi, stabilendo il nuovo record mondiale di velocità, secondo il Guinness dei primati.

A detta di Chan Pak Hoong lo speedcubing attira perché «è uno sport divertente e di grande impatto», e nel suo successo c’entra soprattutto il documentario di Netflix del 2020 Gli speedcuber, in cui compaiono appunto Park e Feliks Zemdegs, che aveva vinto il campionato nel 2013 e nel 2015. Ma secondo altre persone del settore c’entrano anche la pandemia da coronavirus, con i lunghi periodi trascorsi in casa, e la strategia di Spin Master, l’azienda che attualmente controlla il marchio del cubo di Rubik, che punta a pubblicizzarlo più come una sfida da risolvere, che come un semplice gioco.