La gara a chi uccide più gatti randagi in Nuova Zelanda
È stata organizzata per la seconda volta per contenere la popolazione di una specie invasiva che minaccia gli animali autoctoni, ma ha provocato proteste
Lo scorso weekend nella regione di North Canterbury, una zona rurale sull’Isola del Sud, in Nuova Zelanda, si è tenuta una gara controversa, aperta ad adulti e ragazzi sopra i 14 anni. Si chiama North Canterbury Hunting Competition e i partecipanti devono cacciare gli animali selvatici che mettono in pericolo la fauna autoctona in cambio di premi in denaro. Un tempo la competizione includeva la caccia ai cervi, ai cinghiali, alle anatre selvatiche, agli opossum e ai conigli, ma dall’anno scorso è stata inclusa una nuova categoria: quella della caccia al gatto randagio.
La Nuova Zelanda ha uno storico problema con i gatti domestici, randagi e non, che sono una specie invasiva nonché predatori eccezionali che mettono a rischio le popolazioni autoctone di uccelli, rettili e insetti, alcune in via di estinzione. I gatti rappresentano una minaccia per la biodiversità in tutto il mondo, e infatti è consigliato tenerli quando possibile in casa, ma in paesi come l’Australia e la Nuova Zelanda il problema è particolarmente grave, fin da quando furono introdotti alcuni secoli fa. Secondo gli studiosi della fauna australiana, per esempio, i gatti sono stati una delle principali cause dell’estinzione di almeno 22 specie di mammiferi.
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L’organizzatore della caccia al gatto randagio, Matt Bailey, ha spiegato che la decisione di incoraggiare la caccia ai gatti dipende dal loro ruolo nella riduzione di altre popolazioni animali, e dal rischio che portino malattie che mettono in pericolo il bestiame delle aziende agricole locali. Già nel 2016 il governo neozelandese aveva introdotto un programma di eradicazione dei piccoli predatori che mettono in pericolo le specie autoctone, e conta di sterminare tutti gli opossum, i ratti, gli ermellini e i furetti selvatici dalle sue isole entro il 2050.
Da un punto di vista culturale, per la maggior parte delle persone uccidere un gatto randagio è molto più grave di uccidere un ratto, ma questa prospettiva specista è contestata da molti gruppi ambientalisti nel mondo. Alcuni di questi infatti vorrebbero aggiungere alla lista delle specie invasive da eradicare in Nuova Zelanda anche i gatti randagi, ma il paese ha uno dei tassi più alti al mondo di gatti domestici pro capite ed è quindi particolarmente difficile trovare un equilibrio tra le diverse sensibilità riguardo ai diritti degli animali e alla necessità di preservare la biodiversità.
Vari gruppi ambientalisti si sono comunque opposti alla North Canterbury Hunting Competition, dicendo che è crudele verso gli animali, mette a rischio i gatti domestici e desensibilizza i bambini alla violenza. La competizione prevede che i partecipanti catturino i gatti per poterli identificare e assicurarsi che siano effettivamente randagi, e poi li uccidano con un fucile. La caccia è limitata alle aree esterne alle aree residenziali, e qualsiasi trappola dev’essere piazzata a un minimo di 10 km di distanza dall’abitazione più vicina.
Quest’anno hanno partecipato circa 1.500 persone, di cui 440 ragazzi: i gatti uccisi sono stati circa 340. Un uomo ne ha uccisi 65 da solo, e ha vinto quindi un premio in denaro da 500 dollari neozelandesi. I partecipanti hanno anche raccolto 60mila dollari neozelandesi da donare a una scuola del posto.
Bailey, l’organizzatore, ha detto di «non essere granché preoccupato dei sentimenti delle persone che non capiscono la gara» perché «i bambini nelle regioni rurali crescono già in un ambiente in cui gli animali vengono cacciati, scuoiati, conciati e mangiati». Se i gruppi ambientalisti sono in fortissimo disaccordo con i metodi impiegati dai cacciatori, condividono però l’idea che sia necessario individuare dei metodi per gestire e ridurre la popolazione di gatti selvatici. Una delle proposte più frequenti è quella di obbligare i padroni di gatti a sterilizzare i propri animali in modo da limitare quanto possibile le cucciolate indesiderate.
Fino al Duecento gli unici mammiferi terrestri presenti nelle isole che oggi formano la Nuova Zelanda erano alcune specie di pipistrelli: l’arcipelago si divise dal resto delle terre emerse prima che i mammiferi si diffondessero in tutto il pianeta. L’assenza di predatori terrestri permise l’evoluzione di numerosissime specie di uccelli miti e senza grossi strumenti di difesa che non esistono in altre parti del mondo. Alcuni, come i kiwi e i pappagalli kakapo, poterono fare a meno della capacità di volare perché a terra non erano minacciati da animali carnivori: i principali predatori erano altri uccelli.
Le cose cominciarono a cambiare con l’arrivo dei Maori prima e con la colonizzazione europea poi, che portarono con sé varie specie di ratti, oltre a opossum, conigli, ermellini e gatti. Dato che le specie locali non hanno difese contro questi animali, le nuove generazioni non riescono a rimpiazzare il numero di individui uccisi dai predatori. Secondo uno studio del 2010 ogni anno i mammiferi terrestri alloctoni mangiano più di 26 milioni di uova e piccoli di uccelli. Dall’arrivo degli umani quasi un terzo delle specie di animali native della Nuova Zelanda si è estinto, e oggi sono circa 4mila le specie di uccelli a rischio di estinzione, tante altre si sono estinte negli ultimi secoli.