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  • Martedì 2 luglio 2024

Come mai i Conservatori britannici si sono ridotti così

Fra pochi giorni subiranno probabilmente la peggiore sconfitta elettorale della loro storia: c'entra un certo logoramento e qualche scommessa sbagliata

I primi ministri dei Conservatori dal 2010 a oggi Rishi Sunak, Liz Truss, Boris Johnson, Theresa May e David Cameron durante la cerimonia del Remembrance Day, a Londra il 13 novembre 2022
I primi ministri dei Conservatori dal 2010 a oggi Rishi Sunak, Liz Truss, Boris Johnson, Theresa May e David Cameron durante la cerimonia del Remembrance Day, a Londra il 13 novembre 2022 (Toby Melville - WPA Pool/Getty Images)
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Il Partito Conservatore britannico esiste da 190 anni, durante i quali è stato al governo più di ogni altro partito del Regno Unito. Nel corso del Novecento è stato al potere per più di sessant’anni e dal 2010 a oggi ha governato ininterrottamente per 14 anni esprimendo cinque primi ministri: tanti quanti il Partito Laburista dal 1945 in poi. Nelle ultime quattro elezioni parlamentari i Conservatori hanno sempre vinto. La loro più pesante sconfitta elettorale di sempre è avvenuta nel 1997, quando alle elezioni parlamentari ottennero 165 seggi (su 650) alla Camera dei Comuni, la camera bassa britannica.

Alle elezioni previste per giovedì 4 luglio andranno molto peggio, secondo le stime basate su diversi sondaggi. Per ricostruire come sia stato possibile passare da un dominio incontrastato a una più che probabile sconfitta di portata storica va fatto qualche passo indietro.

Gli ultimi anni sono stati particolarmente caotici nella politica britannica. Nella legislatura uscente, inaugurata dalla netta vittoria dei Conservatori alle elezioni del 2019, si sono alternati tre primi ministri: Boris Johnson, Liz Truss (per soli 50 giorni) e infine Rishi Sunak. Le cause di questa instabilità, secondo analisi e saggi degli ultimi mesi, arrivano da lontano. L’austerità economica dei governi di David Cameron (2010-2016) ha aggravato i problemi che puntava a risolvere. Poi c’è stata Brexit. Dal 2016 in poi i dirigenti del Partito Conservatore hanno cercato di limitare i danni economici, istituzionali e di immagine provocati dall’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, inasprendo la loro retorica e polarizzando sempre più spesso il dibattito politico: sull’uscita dall’Unione Europea, sull’immigrazione, sul ruolo del Regno Unito nel mondo.

Nel breve termine sono riusciti ogni volta a conservare il potere, ma nel medio termine questo enorme sforzo ha logorato il partito e l’elettorato, tanto che secondo diversi pareri al Partito Laburista è bastato nominare un leader “normale” e spostarsi un filo al centro per rendersi enormemente appetibile per elettori ed elettrici.

Ai Laburisti sta riuscendo quello che negli ultimi anni è riuscito ai Conservatori, cioè di raccogliere il picco dei consensi nei periodi di campagna elettorale. Il Financial Times ha calcolato che in circa due terzi dei sondaggi pubblicati in questi 14 anni i Conservatori erano stati superati dai Laburisti, ma sono riusciti a tornare primi nei momenti decisivi, cioè quando si votava. Alla lunga però i 14 anni al governo hanno portato il partito a esasperare i suoi punti politici e retorici, senza avere il capitale politico per essere credibile; nel frattempo lo sforzo per rimanere al potere ha portato il partito a premiare nel corso del tempo la fedeltà più che la competenza, nella propria classe dirigente.

L'allora primo ministro britannico David Cameron, sua moglie Samantha Sheffield e George Osborne durante un evento il Conservative Party Spring Forum a Manchester nel 2015

L’allora primo ministro britannico David Cameron, sua moglie Samantha Sheffield e George Osborne durante il Conservative Party Spring Forum a Manchester nel 2015 (Joel Goodman/LNP via Ansa)

Questo criterio è diventato la regola negli anni di Cameron, come ha raccontato nella sua biografia politica l’ex ministro Conservatore Rory Stewart, oggi diventato autore di un podcast di chiacchiera politica di successo, The Rest Is Politics. Durante il suo mandato Cameron promosse nel suo governo diversi deputati che non avevano particolari esperienze o meriti se non quello di obbedire alle indicazioni del partito o di essere efficaci nelle interviste televisive. Tra loro ci fu Liz Truss, che a pochi anni dall’ingresso in parlamento diventò ministra dell’Ambiente, della Giustizia e poi del Commercio internazionale. Numerosi ministri dei governi di Johnson e Sunak hanno avuto carriere simili.

La London Review of Books, in un articolato saggio, ha parlato di “una tendenza fatale” allo short-terminism, cioè alle decisioni a breve termine. L’esempio più eclatante sono le politiche di austerità economica di Cameron e di George Osborne, il Cancelliere dello Scacchiere (l’equivalente del ministro delle Finanze). Allora sembrava un’idea notevole, ma solo perché estremamente popolare fra l’elettorato britannico e più in generale quello occidentale dell’epoca.

A marzo il New Yorker ha dedicato un lungo approfondimento ai danni sociali ed economici di queste misure, da cui il Regno Unito non si è mai davvero ripreso.

Theresa May si commuove mentre annuncia che si dimetterà, il 24 maggio 2019

Theresa May si commuove mentre annuncia che si dimetterà, il 24 maggio 2019 (EPA/NEIL HALL via Ansa)

Nel 2010, a due anni dalla crisi finanziaria del 2008, Cameron promise dal palco della convention dei Conservatori a Birmingham di ridurre in media di un quarto i fondi di ciascun ministero. Tra il 2010 e il 2019 la spesa pubblica britannica è scesa dal 41 al 35 per cento del PIL. Lo Stato fu costretto a tagliare e ridimensionare diversi servizi. Le conseguenze di misure come il two child benefit cap, che ha limitato gli sgravi fiscali ai primi due figli delle famiglie, sono state avvertite soprattutto dalle fasce più povere della popolazione e nelle aree periferiche del paese.

L’attuale crisi del sistema sanitario nazionale (NHS) è cominciata allora, ma non è il solo problema dovuto ai tagli eccessivi di quegli anni. Tra il 2009 e il 2022 i fondi pubblici per l’edilizia scolastica sono stati praticamente dimezzati. Lo scorso autunno centinaia di scuole sono rimaste chiuse per riparazioni d’emergenza: andava sostituito il materiale a rischio crolli. La recente assunzione di 20mila nuovi agenti di polizia, molto celebrata da Sunak, non è bastata a riportare l’organico ai livelli precedenti al 2010.

Boris Johnson ritorna nella residenza del primo ministro dopo aver annunciato le sue dimissioni, il 7 luglio 2022

Boris Johnson ritorna nella residenza del primo ministro dopo aver annunciato le sue dimissioni, il 7 luglio 2022 (Li Ying/Xinhua via Ansa)

Tutte queste scelte vennero presentate come una necessità. «Quattordici anni fa, Cameron e Osborne giustificarono l’austerità dicendo che stavano “aggiustando il tetto finché splendeva il sole”. Ma oggi il tetto non c’è più, e non c’è nessun posto dove ripararsi dalla pioggia», ha scritto Tom Crewe sulla London Review of Books. Se nonostante provvedimenti così impopolari i Conservatori sono riusciti a restare al governo, lo devono in parte alla loro storica capacità di adattarsi, e soprattutto a Brexit.

– Leggi anche: I Laburisti britannici si tengono vaghi

L’ala destra del partito Conservatore e soprattutto il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP) insistettero molto sul fatto che l’Unione Europea andava incolpata di tutto quello che non andava nel paese, quando invece il sistema economico e sociale stava iniziando a subire le conseguenze dei tagli imposti da Cameron. Un articolo accademico di Thiemo Fetzer, un economista dell’università di Warwick, ha riscontrato una correlazione tra le aree del paese più danneggiate dall’austerità e la vittoria del “Leave” al referendum sull’uscita dall’Unione Europea del 2016.

Il referendum fu convocato da Cameron in una concessione all’ala destra ed euroscettica del suo partito, ai tempi non particolarmente influente, e dopo gli ottimi risultati del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP), il precedente partito di estrema destra di Nigel Farage, alle elezioni locali del 2013 e a quelle europee del 2014. Cameron era convinto – con una strategia simile a quella del referendum d’indipendenza scozzese del 2014 – di poter vincere il referendum e anzi rafforzare la posizione del Regno Unito nell’Unione. Accadde il contrario. L’ala destra del partito e lo UKIP vinsero, di fatto, il referendum, guadagnandosi l’opportunità di dominare il partito e la politica britannica negli anni successivi.

Brexit non ha mantenuto nessuna o quasi delle promesse di chi la sosteneva per convinzione o, più spesso, per calcolo politico. L’uscita dall’Unione Europea ha avuto un impatto economico negativo in una situazione già di sofferenza. Secondo Bloomberg Brexit sta costando all’economia britannica ogni anno cento miliardi di sterline (circa 118 miliardi di euro). Uno studio commissionato dall’amministrazione comunale di Londra ha calcolato una mancata crescita di 30 miliardi di sterline (35 miliardi di euro) per la capitale e una perdita di 290mila posti di lavoro rispetto a uno scenario in cui il paese non avesse lasciato l’Unione.

Negli otto anni dopo il referendum il PIL del Regno Unito è cresciuto meno di quello di paesi con dimensioni paragonabili e in generale meno di quello dei paesi dell’Unione Europea, mentre fino al 2016 era avvenuto il contrario. Invece di ridurre la “burocrazia di Bruxelles”, come dicevano gli slogan della campagna per il Leave, sono tornati i controlli doganali e per il Regno Unito, uscito dal mercato unico europeo, è diventato più difficile e soprattutto più costoso esportare nell’Unione Europea, cioè nel più grande mercato comune al mondo.

Rishi Sunak arriva nella sede dei Conservatori dopo essere stato nominato leader, il 24 ottobre 2022

Rishi Sunak arriva nella sede dei Conservatori dopo essere stato nominato leader, il 24 ottobre 2022 (EPA/TOLGA AKMEN via Ansa)

Nel 2020 i Conservatori avevano istituito un ministero alle Opportunità della Brexit, ma lo hanno abolito nel settembre 2022, quando quella formula sembrava ormai un ossimoro. La longevità del partito, come detto, si deve molto alla sua abilità a riposizionarsi. Lo ha fatto varie volte in 190 anni di storia: per tornare al governo, nel 1951, abbandonò il protezionismo economico che lo aveva contraddistinto per decenni, puntando su misure apparentemente più popolari. Il programma liberista di Margaret Thatcher, prima ministra dal 1979 al 1990, venne messo a punto dal think tank del partito. Dopo Brexit i Conservatori hanno provato a rifare qualcosa di simile.

Su 30 ministri del governo Cameron, al referendum 24 avevano votato per restare nell’Unione Europea, solo sei per l’uscita. Eppure nei successivi otto anni i Conservatori sono diventati il partito di Brexit, sull’onda dell’entusiasmo nell’elettorato conservatore suscitato dalla vittoria al referendum. Già nel 2018 l’allora prima ministra Theresa May promise più volte in pubblico che il Regno Unito avrebbe «ripreso il controllo» su una serie di temi che a suo dire gli erano stati sottratti dalle istituzioni europee: uno slogan di fatto di estrema destra, che evocava un controllo non democratico esercitato dall’Unione Europea sul Regno Unito, ragione di tutte le cose che non andavano nel paese.

Sulla promessa di portare a termine Brexit e liberarsi finalmente dalle imposizioni europee i Conservatori hanno stravinto le elezioni del 2019. Il loro programma elettorale di cinque anni fa era scritto per intercettare le preferenze di più elettori possibili, anche di chi abitualmente non li votava, a differenza di quello piuttosto radicale dei Laburisti di Jeremy Corbyn: andava dall’aumento dei fondi per le regioni più arretrate a un maggiore impegno sulla sostenibilità ambientale, passando per gli slogan più classici sull’abbassare le tasse e contrastare l’immigrazione irregolare.

L’immigrazione è stato un altro tema su cui i Conservatori hanno molto inasprito la loro retorica, spostandola a destra e inseguendo di fatto quella dello UKIP, un partito storicamente ostile a quasi ogni forma di migrazione.

Sia Johnson sia Truss sia Sunak hanno puntato molto su un controverso piano per espellere i richiedenti asilo in Ruanda, fermato più volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Più in generale i Conservatori hanno adottato una retorica estremamente ostile alla migrazione, lasciando intendere che fosse la colpa della complicata situazione economica: Truss dopo la fine del suo mandato ha pubblicato un libro vagamente apocalittico sulla fine dell’Occidente, i suoi leader parlano apertamente della possibilità di costruire un muro sottomarino nel canale della Manica, e ancora oggi Sunak pubblica spot elettorali in cui strumentalizza e irride le traversate della Manica da parte dei migranti.

Come spesso succede in politica, quando un partito adotta posizioni molto radicali che fino a quel momento non gli sono appartenute, legittima chi promuove quelle posizioni da tempo. Sembra stia per avvenire lo stesso anche ai Conservatori.

In queste settimane i media britannici e internazionali hanno molto raccontato il ritorno in politica di Farage, che guiderà alle elezioni Reform UK, il partito populista e xenofobo di cui era presidente onorario. Farage ha da vent’anni posizioni ostili all’Unione Europea e apertamente razziste, su cui i Conservatori si sono di fatto allineati. In alcuni sondaggi circolati nelle ultime settimane Reform UK ha persino superato i consensi dei Conservatori.

La concorrenza tra gli elettori di destra di Reform UK contribuirà certamente a ridurre il numero di seggi dei Conservatori, specie in un sistema uninominale secco dove un partito può prendere milioni di voti ma non ottenere una rappresentanza parlamentare se non arriva primo in nessun collegio. Un’analisi del Financial Times ha però ipotizzato che il calo dei consensi fosse cominciato ben prima del ritorno di Farage. E cioè nel 2020, quand’era primo ministro Johnson.

Nel 2019 Johnson ottenne una maggioranza di 80 voti alla Camera dei Comuni, il miglior risultato del suo partito dal 1983. La produzione legislativa di quel parlamento però fu piuttosto scarsa. Invece di fare riforme, i Conservatori si concentrarono sul sopravvivere politicamente a una serie di scandali. Il più grave è stato il cosiddetto “Partygate”, cioè le feste organizzate in pieno lockdown durante la pandemia nella residenza del primo ministro a Downing Street e in altri palazzi governativi tra il maggio del 2020 e l’aprile del 2021, su cui Johnson ha mentito al parlamento.

Ce ne sono stati altri, che hanno ulteriormente compromesso l’immagine già screditata dei Conservatori. Per esempio all’inizio del suo mandato Johnson spese 112mila sterline (circa 104mila euro) per ristrutturare il suo appartamento a Downing Street, pagando i lavori in parte con soldi donati al partito che non erano stati dichiarati correttamente. Vari esponenti dei Conservatori sono stati accusati di molestie sessuali: nel luglio 2022 il caso di Chris Pincher, nominato da Johnson vice-capogruppo alla camera nonostante sapesse delle accuse a suo carico, ha portato alle dimissioni di massa che hanno infine convinto Johnson a lasciare la carica di primo ministro.

Gli ombrelli dei giornalisti e delle troupe televisive fuori da Downing Street prima del primo discorso da prima ministra di Liz Truss, il 6 settembre 2022

Gli ombrelli dei giornalisti e delle troupe televisive fuori da Downing Street prima del primo discorso da prima ministra di Liz Truss, il 6 settembre 2022 (Christopher Furlong/Getty Images)

Dopo i disastrosi e imbarazzanti 50 giorni al governo di Truss, da ottobre 2022 a oggi l’attuale primo ministro Sunak ha cercato di salvare il salvabile. Il fatto che abbia un patrimonio personale di circa 768 milioni di euro, superiore a quello di re Carlo, non ha aiutato la sua immagine pubblica. La campagna elettorale di Sunak non è partita benissimo, ha fatto proposte controverse come reintrodurre il servizio militare o civile obbligatorio per i giovani e poi c’è stato lo “scandalo delle scommesse”, quando si è scoperto che alcuni esponenti e candidati (poi sospesi) avevano puntato illecitamente soldi sulla data delle elezioni che loro avevano saputo in anticipo.

La campagna elettorale dei Conservatori più che sul vincere le elezioni si è progressivamente concentrata sul contenere le proporzioni della vittoria dei Laburisti, e quindi della propria sconfitta. I candidati hanno iniziato a parlare del rischio di una “super maggioranza” laburista che in realtà non esiste: nell’assetto istituzionale del Regno Unito, infatti, non fa differenza avere una maggioranza parlamentare di pochi voti o di un centinaio. Ancora non si è votato e già nel Partito Conservatore è iniziata la campagna elettorale per succedere a Sunak, che peraltro rischia seriamente di non essere eletto nel suo seggio, quello di Richmond e Northallerton, nel nord dell’Inghilterra.

Se come sembra i Conservatori andranno all’opposizione bisognerà capire se e come riusciranno a rinnovarsi: in passato è stata la specialità del partito, stavolta sembra più difficile. Anche gli elettori sono divisi: secondo un sondaggio, il 43 per cento di chi li ha votati nel 2019 vorrebbe che il Partito Conservatore adottasse posizioni ancora più nazionaliste, simili a quelle di Farage; il 41 per cento invece auspica un approccio più centrista, come quello impresso da Cameron, che lo scorso autunno è tornato al governo come ministro degli Esteri. Al momento sono due tendenze piuttosto inconciliabili tra di loro.

– Ascolta Globo: Queste inusuali elezioni britanniche, con Barbara Serra