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  • Martedì 2 luglio 2024

Trent’anni dall’omicidio del calciatore colombiano Andrés Escobar

Fu ucciso nei giorni successivi all'eliminazione della Colombia dai Mondiali del 1994, causata anche da un suo autogol, ma non è mai stato chiarito se il calcio c'entrasse qualcosa

Andrés Escobar ai Mondiali di USA 1994 (Getty Images/Shaun Botterill/ALLSPORT
Andrés Escobar ai Mondiali di USA 1994 (Getty Images/Shaun Botterill/ALLSPORT
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Il 2 luglio di trent’anni fa un calciatore della nazionale maschile della Colombia, Andrés Escobar, fu ucciso a Medellín con sei proiettili. Qualche giorno prima la Colombia aveva perso per 2-1 ai Mondiali di calcio contro gli Stati Uniti, la squadra di casa, ed era stata così eliminata al primo turno: il gol determinante per l’eliminazione della Colombia fu un autogol dello stesso Escobar e alcuni pensarono, e pensano tuttora, che quell’autogol sia stato in qualche modo responsabile della sua morte. In realtà non è mai stato chiarito se nella storia dell’omicidio di Escobar il calcio c’entrasse qualcosa, e dalle indagini non emersero elementi che facessero pensare a un’uccisione premeditata.

La storia di Escobar, che tra l’altro fu ucciso un mese prima del suo matrimonio, segnò da lì in poi il calcio colombiano e i suoi tifosi, contribuendo intanto a peggiorare l’immagine della Colombia nel mondo, in un periodo già complicato per il paese. L’anno prima infatti era morto Pablo Escobar, solo omonimo di Andrés, considerato uno dei narcotrafficanti più potenti al mondo, e da quel momento si era scatenata una sorta di guerra per il potere tra bande e la Colombia era diventata ancor più violenta. Dopo l’omicidio del difensore colombiano, molti calciatori della Nazionale decisero di andare a giocare all’estero, temendo per la propria sicurezza.

Andrés Escobar Saldarriaga era nato a Medellín il 13 marzo del 1967, aveva iniziato a giocare a calcio nella squadra giovanile del Colegio Calasanz per poi passare, nel 1989, all’Atlético Nacional di Medellín con cui vinse vari campionati. Fu convocato in Nazionale e giocò come titolare ai Mondiali in Italia nel 1990, dove la Colombia uscì agli ottavi di finale contro il Camerun. Fu selezionato anche per i Mondiali successivi, negli Stati Uniti. Non era un campione, ma era considerato un buon difensore ed era molto popolare nel suo paese: era stimato dai tifosi e, a differenza di alcuni suoi compagni, era visto come una persona onesta, senza rapporti con narcotrafficanti e altri criminali.

Andrés Escobar durante la partita contro gli Stati Uniti ai Mondiali del 1994 (AP Photo/Eric Draper, File)

La Colombia si presentò ai Mondiali del 1994 con una buona squadra: c’erano Carlos Valderrama a centrocampo e Freddy Rincon e Faustino Asprilla in attacco, l’allenatore era Francisco Maturana, uno dei più grandi allenatori della storia del calcio sudamericano. I tifosi avevano molte speranze per il torneo, alimentate anche da una storica vittoria: il 5 settembre del 1993 a Buenos Aires la Colombia batté per 5 a 0 l’Argentina, durante l’ultima fase del “supergirone” delle qualificazioni. Ma diversi episodi contribuirono a destabilizzare la squadra: qualche mese prima dell’inizio dei Mondiali il figlio più piccolo del centrocampista Luis Fernando Herrera venne rapito, mentre il portiere René Higuita, molto famoso ancora oggi per le sue parate acrobatiche, fu costretto a non partecipare al torneo (passò sette mesi in carcere nel 1993 per aver fatto da intermediario in un sequestro di persona).

Nella sua partita d’esordio, la Colombia perse 3-1 contro la Romania. A quel punto per avere speranze di passare il girone la Nazionale doveva necessariamente vincere la partita successiva, quella contro gli Stati Uniti. Poche ore prima della partita, all’hotel dove era alloggiata la squadra arrivarono delle minacce di morte contro il centrocampista Gabriel Jaime Gómez Jaramillo, ritenuto responsabile della sconfitta contro la Romania: lui si rifiutò di giocare. La partita contro gli Stati Uniti si giocò il 22 giugno del 1994. Intorno alla mezz’ora del primo tempo il giocatore statunitense Harkes si liberò sulla fascia sinistra e tirò un cross basso nell’area colombiana. Andrés Escobar intervenne in scivolata ma la sua deviazione finì alle spalle del portiere. Escobar restò a lungo steso a terra. Al minuto 52 Earnie Stewart realizzò il 2-0. La partita finì 2-1: a tempo praticamente scaduto Valencia segnò un gol che fu però inutile. Dopo due partite la Colombia era già matematicamente eliminata.

Uno striscione in ricordo di Escobar, poco dopo la sua morte (AP Photo/Lynne Sladky, File)

Quando il 29 giugno la squadra rientrò in Colombia, all’aeroporto di Medellín non c’era quasi nessuno. Per Escobar erano venuti la sua fidanzata e qualche parente. Gli ultimi giorni di vita di Escobar furono raccontati qualche giorno dopo la sua morte dal quotidiano locale El Tiempo: dopo il suo arrivo a Medellín, Escobar frequentò diversi locali, insieme ad alcuni amici. Sabato 2 luglio andò in una discoteca del centro, dove rimase fino a circa le quattro del mattino.

Da qui in poi, su quello che successe, ci sono diverse versioni. La maggior parte dei testimoni ha raccontato che Escobar era andato nel parcheggio di un altro locale notturno, di fronte al primo, dove aveva lasciato la macchina. Qui ci sarebbe stata una lite con alcuni uomini a bordo di una Toyota Land Cruiser nera, che l’avrebbero insultato (secondo un’altra versione non ci fu invece alcuna lite). Quel che è certo è che uno di questi uomini, l’ex guardia giurata Humberto Muñoz Castro, lo colpì con 6 proiettili. Escobar morì poco dopo.

Castro confessò e fu condannato a 43 anni di carcere: tornò in libertà nel 2005 in seguito a uno sconto di pena molto contestato. Sui reali moventi dell’omicidio non è stata però fatta chiarezza e le indagini hanno concluso che non ci fosse mai stato un piano specifico dietro l’esecuzione: alcuni però sostengono che sia stata una vendetta di alcuni scommettitori (queste ipotesi sostengono fossero legati ai cartelli della droga) che avevano subito grosse perdite di gioco a causa dell’inaspettata eliminazione della Colombia. Secondo altri l’omicidio di Escobar fu invece una casualità, come sostenne il giornalista sportivo Carlo Pizzigoni – che lavorò a lungo per ricostruire il caso – due anni fa in un’intervista al Fatto Quotidiano.

La sera dell’omicidio Escobar andò in discoteca perché voleva sfogarsi e avvicinò delle prepago, come in Colombia chiamano le prostitute. Ma queste ragazze erano legate a un piccolo gruppo di narcotrafficanti e la situazione degenerò, fino all’epilogo nel parcheggio della discoteca. Il discorso delle scommesse esisteva ma non c’entrava niente con l’omicidio, la cui base è la casualità. L’assassino era il sicario di un gruppo di narcos e con tutta probabilità nemmeno aveva riconosciuto il giocatore. Le indagini dimostrarono che Escobar non era stato seguito da nessuno, e che quello non era il modus operandi di un’esecuzione decisa dalla criminalità organizzata legata al giro delle scommesse. Fu uno shock immenso, amplificato dal fatto che la vittima era Andrés. Fosse capitato a Tino Asprilla o a Renè Higuita, che frequentavano certi ambienti poco raccomandabili, sarebbe stato ugualmente terribile, ma meno sconvolgente.

Ai funerali di Andrés Escobar parteciparono 120 mila persone – c’era anche César Gaviria Trujillo, allora presidente del paese. Lo scorso anno sulla piattaforma di streaming Netflix è uscita una serie tv dedicata alla storia del calciatore colombiano, intitolata The Final Score, che però non è disponibile in Italia. La maglia numero 2, usata da Escobar, è rimasta inutilizzata a lungo: l’ha indossata di recente solo Iván Córdoba, calciatore molto carismatico e rispettato, molto noto in Italia perché ha giocato a lungo nell’Inter. Nella Copa América che si sta giocando in questi giorni, nella quale la Colombia ha passato il girone con una giornata di anticipo vincendo le prime due partite, il numero 2 è il difensore Carlos Cuesta, che gioca nel Genk, in Belgio.