I Democratici stanno provando a limitare i danni del dibattito di Joe Biden
Definendolo una “brutta serata”, chiamando a sostegno gli esponenti del partito contro Donald Trump e bloccando ogni ipotesi di sostituzione: non è detto che funzioni
Nell’ultimo fine settimana lo staff del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, i suoi responsabili della campagna per la rielezione e gran parte del partito Democratico sono stati impegnati nel tentativo di porre rimedio alla pessima performance di Biden durante il dibattito televisivo di giovedì sera con Donald Trump. Dopo 90 minuti in diretta televisiva in cui Biden è apparso poco incisivo, confuso, fragile ed esitante, per limitare i danni si è tentato di rassicurare elettori e finanziatori della campagna che si sia trattato solo di una «brutta serata», cercando al tempo stesso di chiudere immediatamente il dibattito sull’opportunità di una rinuncia della candidatura Democratica da parte di Biden.
Anche nelle conversazioni private, hanno scritto diversi giornali americani, Biden e il suo staff non hanno negato che il dibattito sia andato male. Pubblicamente hanno però provato a definirlo una “parentesi” in una lunga campagna elettorale, hanno invitato i finanziatori a non avere «reazioni eccessive» e hanno sostenuto che l’attenzione avrebbe dovuto invece focalizzarsi sulle bugie di Trump.
La scelta di rappresentare la pessima performance di Biden come un episodio isolato è sembrata però finora poco efficace, anche perché il dibattito doveva essere l’occasione per cancellare i dubbi sul suo stato di salute e sulla sua età, temi già in precedenza molto dibattuti. Il giornalista che per il New York Times si occupa di Casa Bianca, Michael D. Shear, ha scritto che «Biden e le persone a lui più vicine hanno adottato la stessa strategia che i poliziotti usano per allontanare i passanti da un incidente stradale: “Non c’è niente da vedere qui”».
In una riunione dello staff il giorno dopo il dibattito, il vice responsabile della campagna di Biden, Quentin Fulks, ha detto: «Non è cambiato fondamentalmente niente: sapevamo che avremmo ricevuto colpi. Li daremo indietro. Ci alzeremo quando saremo colpiti».
Negli ultimi giorni su gran parte dei media statunitensi di ispirazione progressista sono comparsi editoriali e articoli che hanno invitato Biden a farsi da parte, «per il bene del partito Democratico e della nazione», ha scritto per esempio il New York Times. Chi si occupa della campagna di Biden ha per prima cosa voluto smontare questa ipotesi. Jen O’Malley Dillon, responsabile della campagna, ha chiamato i maggiori e più fedeli finanziatori, spiegando come una sostituzione in corsa non fosse una ipotesi praticabile e come qualsiasi altro candidato non avesse più possibilità di battere Trump.
Jeff Zients, capo di gabinetto del presidente, ha fatto più o meno lo stesso discorso chiamando il leader del Senato, Chuck Schumer, e altri importanti esponenti del partito Democratico, chiedendo di rimanere compatti nel sostegno al candidato.
Venerdì per Biden erano previsti i primi di sette comizi in tre giorni, in quattro stati diversi: il presidente li ha usati per mostrarsi un candidato energico. È anche circolata molto una frase del primo comizio di Biden dopo il dibattito: «Non cammino più con la stessa facilità di una volta, non parlo più con la stessa fluidità di una volta, non dibatto più bene come una volta. Ma so come dire la verità, e so come fare questo lavoro. Non mi candiderei di nuovo se non credessi con tutto il cuore e l’anima che posso fare questo lavoro. La posta in gioco è troppo alta». Biden in quelle occasioni, grazie anche alla possibilità di leggere su un gobbo elettronico e forse grazie all’orario non serale, è stato molto più convincente.
Nel corso degli appuntamenti elettorali ha ammesso di non «aver avuto una grande serata», ma ha anche detto che nemmeno il suo avversario l’aveva avuta e che la cosa più importante di quel dibattito erano state le bugie di Trump, che hanno ricordato «agli elettori chi è veramente».
È la linea che ha guidato anche molte delle dichiarazioni in sostegno di Biden arrivate nel weekend da alcuni importanti esponenti Democratici. La prima e probabilmente la più importante è stata quella dell’ex presidente Barack Obama, sui social, ma ce ne sono state molte altre, dal senatore della Georgia Raphael Warnock al governatore del Maryland Wes Moore, fino all’ex speaker del Senato Nancy Pelosi. Tutti hanno detto che Biden non deve essere giudicato per quei novanta minuti ma per i tre anni e mezzo di presidenza, che non deve ritirarsi e che la stampa ha dato un’eccessiva rilevanza alle sue esitazioni, quando avrebbe dovuto far notare di più le bugie dette da Trump.
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Dopo la serie di comizi, Biden è andato domenica a Camp David, residenza estiva del presidente, per una “pausa” con la famiglia: erano presenti non solo la moglie, ma anche figli e nipoti, per una sessione di foto di famiglia programmata da mesi. Sulla stampa statunitense si è comunque parlato di una riunione in cui tutti avrebbero ribadito anche privatamente il sostegno alla candidatura: secondo Politico alcuni familiari avrebbero criticato la preparazione al dibattito organizzata dagli storici collaboratori di Biden.
I primi parziali sondaggi delle televisioni statunitensi realizzati dopo il dibattito, fra cui quello di CBS, mostrano che la fiducia degli elettori nella capacità cognitive di Biden sarebbe ulteriormente calata, in modo consistente. Per sondaggi più affidabili sulle intenzioni di voto, quelli veramente importanti e attesi, bisognerà però aspettare ancora. I responsabili della campagna Democratica hanno invece sottolineato come le donazioni elettorali non si siano fermate: il comitato ha raccolto 27 milioni nel giorno immediatamente successivo al dibattito.
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