In India il lavoro dell’opposizione a Narendra Modi comincia adesso
Dopo un buon risultato alle elezioni di giugno, il leader Rahul Gandhi dovrà dimostrare di essere un'alternativa credibile al primo ministro
Nei giorni scorsi Rahul Gandhi è stato nominato formalmente leader dell’opposizione nella Lok Sabha, la camera bassa del parlamento indiano. È un ruolo previsto dalla costituzione per il bilanciamento dei poteri, ma negli ultimi dieci anni non era mai stato assegnato perché nessun partito dell’opposizione aveva vinto il numero di seggi necessari. Alle elezioni di giugno, invece, il partito di Gandhi, il Congresso nazionale indiano, ha superato le aspettative.
In quanto partito più grande nella coalizione all’opposizione, da qui in avanti il Congresso potrebbe avere maggiore influenza nella politica del paese, e agire da contrappeso al grande potere che il primo ministro Narendra Modi ha accumulato nei suoi primi due mandati di governo: Modi, un conservatore ed estremista indù, governa dal 2014 e ha vinto anche le elezioni di giugno, ma senza che il suo partito, il Bharatiya Janata Party (BJP) sia riuscito a ottenere la maggioranza assoluta. In questo contesto, in cui Modi è costretto a un governo di coalizione, l’opposizione guidata da Gandhi potrebbe avere margini di manovra.
Rahul Gandhi ha 54 anni ed è l’ultimo esponente di una dinastia politica di grande successo: suo padre, sua nonna e il suo bisnonno sono stati primi ministri del paese. Nonostante l’omonimia, non ha legami di parentela con il Mahatma Gandhi, il leader del movimento per l’indipendenza dell’India e padre della patria. È il leader politico del Congresso, il principale partito di coalizione. Alle ultime elezioni il partito del Congresso ha ottenuto 99 seggi parlamentari, praticamente raddoppiando il suo risultato del 2019. In totale la coalizione dell’opposizione, INDIA, ha ottenuto 234 seggi, contro i 293 della coalizione di Modi.
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In quanto leader dell’opposizione, Gandhi avrà dei ruoli istituzionali e altri più politici.
Il principale compito del leader dell’opposizione dal punto di vista istituzionale è monitorare l’attività del governo in carica, mettere in discussione le sue iniziative e presentare proposte alternative. La posizione assomiglia a quella prevista nel governo ombra dall’ordinamento del Regno Unito, il paese che ha colonizzato l’India per quasi novant’anni, dal 1858 al 1947. Questo significa anche che nel momento in cui il governo in carica dovesse perdere la maggioranza o in caso di dimissioni, starebbe al leader dell’opposizione la responsabilità di formarne uno nuovo, anche se al momento questo non è uno scenario plausibile.
Nel concreto, come leader dell’opposizione, Gandhi parteciperà ai lavori di alcune importanti commissioni: quella che nomina i membri della Commissione nazionale per i diritti umani, per esempio. La Commissione non produce decisioni vincolanti, ma si occupa di monitorare le eventuali violazioni dei diritti umani da parte delle istituzioni, come arresti arbitrari o torture in carcere. Il leader dell’opposizione contribuisce a nominare anche i direttori delle agenzie di contrasto al crimine e alla corruzione, come il Central Bureau of Investigation, la principale agenzia investigativa indiana. Avere la possibilità di indirizzare questa decisione è abbastanza importante, dal momento che il CBI è uno degli strumenti che Modi ha utilizzato negli ultimi anni per reprimere le opposizioni: dal 2014 a oggi il 95 per cento delle indagini condotte dalla CBI e dall’Enforcement Directorate, il corpo di polizia responsabile dei crimini economici, ha riguardato leader politici dell’opposizione. Nel decennio precedente la percentuale era molto più bassa.
Negli ultimi dieci anni il ruolo di leader delle opposizioni era rimasto vacante per via di una prassi che ha a che fare con il funzionamento dei gruppi parlamentari, che come in Italia servono a dividere equamente le posizioni tra partiti di maggioranza e di opposizione. La costituzione indiana dice che il posto dovrebbe andare al più grande partito di opposizione, ma fino ad ora si è ritenuto di assegnarla solo solo se il partito più grande all’opposizione avesse ottenuto almeno il 10 per cento dei posti in parlamento, oppure 55 seggi. Il Congresso nazionale indiano alle ultime elezioni è andato molto meglio di così: il risultato è stato piuttosto inaspettato, perché i sondaggi davano in largo vantaggio il BJP e molto indietro INDIA, la coalizione di opposizione.
Secondo alcune analisi successive al voto, questo risultato è dovuto in parte alla paura delle tendenze autoritarie che gli indiani hanno visto nella narrazione e nelle politiche di Modi. Durante gli ultimi due mandati il primo ministro ha governato il paese in modo sempre meno democratico: ha attaccato in modo molto duro la minoranza musulmana del paese spingendo molto sulla retorica nazionalista e induista, ha limitato la libertà di stampa, ha attaccato le opposizioni facendone indagare o arrestare i leader politici, ha forzato l’approvazione di alcune leggi importanti senza passare per il dibattito parlamentare.
Nei mesi della campagna elettorale le opposizioni hanno saputo far leva sul timore degli indiani rispetto alle tendenze autoritarie di Modi, oltre che sull’insoddisfazione di buona parte della popolazione nei confronti della propria situazione economica: l’India è un paese che cresce al ritmo dell’otto per cento annuo, ma in cui le disuguaglianze sono aumentate molto negli ultimi dieci anni. «Diversamente dal 2019 (l’anno delle ultime elezioni, ndr) Rahul Gandhi è stato in grado di comunicare alle persone che ha intenzione di restare e combattere per loro, anche se al momento la sua popolarità non è nemmeno paragonabile a quella di Modi», ha detto al Guardian Asim Ali, un analista politico.
Secondo alcuni analisti, un maggiore peso delle opposizioni durante il prossimo mandato di Modi avrà un impatto positivo sulla democrazia indiana. «Per la maggioranza ora sarà molto più difficile sospendere o squalificare i parlamentari», ha detto alla BBC la giornalista e analista politica indiana Neerja Chowdhury, oltre che forzare l’approvazione delle leggi. «Sarà un parlamento turbolento e l’opposizione dovrà vigilare sull’operato della maggioranza», ha aggiunto. Secondo Chowdhury, i prossimi anni saranno un test anche per Rahul Gandhi in persona, che dovrà assicurarsi di guidare il fronte dell’opposizione e mantenerlo unito, ma dovrà anche continuare a cambiare dall’interno il partito (che prima di questa vittoria era in declino da tempo) e a vigilare sull’operato del governo.