Tutto quello che dovete sapere sulle legislative in Francia
Domenica si votava per il primo turno: cosa dicono i sondaggi, quali sono i nuovi blocchi della politica francese, cosa potrebbe succedere e che aria tira
Dopo il forte risultato del partito di estrema destra Rassemblement National (31,4 per cento) alle elezioni europee del 9 giugno, il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha annunciato lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e ha convocato le legislative per rinnovare i 577 seggi che la compongono. Qui un po’ di cose da sapere per capire il contesto politico e che cosa potrebbe succedere.
Date e sistema di voto
Le elezioni si svolgeranno in due turni: il primo domenica 30 giugno e il secondo domenica 7 luglio. Tuttavia, i cittadini e le cittadine che vivono nel continente americano così come quelli che vivono nelle comunità francesi d’oltremare, ossia nelle ex colonie che ora si amministrano in modo semi-indipendente pur trovandosi ancora sotto la sovranità dello stato francese, voteranno con un giorno di anticipo: il 29 giugno e il 6 luglio. I francesi che risiedono all’estero potranno votare presso le ambasciate o i consolati del paese in cui si trovano oppure, dal 25 al 27 giugno per il primo turno e dal 2 al 4 luglio per il secondo, tramite voto elettronico. Eccezionalmente, per queste elezioni, il voto per corrispondenza non sarà possibile a causa dei tempi troppo stretti tra la loro convocazione e il loro svolgimento.
Il territorio francese è suddiviso in 577 circoscrizioni elettorali, pari al numero di seggi del parlamento da rinnovare. Undici circoscrizioni sono fuori dal territorio nazionale, cioè all’estero, e tutte sono tra loro molto eterogenee in termini di superficie, popolazione e profilo sociologico.
In ogni collegio può vincere una sola persona candidata e può vincere al primo turno se ottiene il 50 per cento più uno dei voti espressi da almeno il 25 per cento degli elettori e delle elettrici iscritte alle liste. Contrariamente alle elezioni presidenziali, in questo caso il tasso di astensione è dunque determinante.
Il secondo turno si svolgerà in tutte quelle circoscrizioni che non avranno eletto un candidato al primo turno. Potrebbero verificarsi, al secondo turno, anche casi con tre o più candidati: accederanno infatti al ballottaggio non i due che hanno ottenuto i due migliori risultati al primo turno, ma tutti quelli che al primo turno hanno ottenuto almeno il 12,5 per cento dei voti delle persone iscritte nelle liste elettorali (non dei votanti). Al secondo turno viene poi eletto chi ottiene il maggior numero di voti.
Maggiore sarà l’astensione, maggiore sarà dunque la soglia da superare. Nel 2012, con il 42 per cento di astensione, vi furono 34 triangolari. Nel 2017, con l’astensione al 51,3 per cento, vi fu un solo triangolare al secondo turno e nel 2022, con l’astensione record del 52,5 per cento, 7 triangolari.
Stavolta i candidati e le candidate sono meno del solito
Il mandato dei deputati e delle deputate dell’Assemblea Nazionale dura cinque anni e i candidati e le candidate che si presenteranno stavolta sono poco più di 4.000, cioè in media 7 per circoscrizione. Ci sono comunque degli scarti importanti: il numero delle persone candidate oscilla tra i 4 e i 19 a seconda della circoscrizione.
Il loro numero totale è inferiore rispetto a quello del 2017, quando furono 7.882 con una media di quattordici per circoscrizione, e a quello del 2022 quando furono 6.293, ovvero quasi undici per circoscrizione. Il motivo principale di questo calo, che riguarda sia i grandi che i piccoli partiti, è dovuto principalmente ai molti accordi che sono stati fatti fin dal primo turno e alla presentazione di un candidato unico e condiviso. Ma c’entrano anche la difficoltà dei piccoli partiti a mettere in moto la loro macchina elettorale in sole tre settimane e la cosiddetta “strategia dell’arco repubblicano” rivendicata dalla coalizione presidenziale di Macron, Ensemble pour la République, in alcune circoscrizioni: consiste nell’allargare il più possibile il campo centrista per accogliere i moderati di destra e quelli di sinistra contro quelli che il presidente considera i suoi principali avversari e che definisce «estremisti», cioè l’estrema destra ma anche la coalizione della sinistra. Macron ha di conseguenza deciso di non presentare candidati in una settantina di circoscrizioni per non frammentare il voto e non favorire l’estrema destra o la sinistra a favore di partiti o candidati che ritiene accettabili.
Il calo è dovuto in parte anche alla scelta di alcuni deputati uscenti di non ricandidarsi: un quinto dei 577 eletti nel 2022.
Per quanto riguarda la parità di genere le donne candidate sono il 41 per cento, nel 2022 erano il 44,2 per cento. La parità è stata generalmente rispettata soprattutto dalla sinistra, ma anche dal partito di Macron, e molto meno dalla destra e dall’estrema destra. L’unico partito ad aver candidato un numero uguale di uomini e donne è La France Insoumise.
Alleanze
I Repubblicani (LR), di destra, si sono divisi sulla questione dell’alleanza con il Rassemblement National (RN), il partito di Marine Le Pen e Jordan Bardella, e sono oggi formalmente guidati da un presidente, Eric Ciotti, che è stato rifiutato da quasi tutta la dirigenza per aver inaspettatamente annunciato senza consultarsi con il resto del partito l’intenzione di fare un accordo elettorale con l’estrema destra, accordo che poi si è concretizzato. Ciotti, dunque, ha presentato 63 candidati – indicati dai giornali e dai sondaggi con “I Repubblicani di Eric Ciotti” o “Les Amis d’Eric Ciotti” – che saranno sostenuti da RN.
RN, a seguito di questa alleanza, ha presentato 498 candidati contro i 567 del 2022. Non ci saranno invece candidati RN-Ciotti in sedici circoscrizioni che sono date per perse già in partenza.
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Reconquête!, il partito di estrema destra fondato dall’opinionista Eric Zemmour, dopo un tentativo non riuscito di alleanza con RN, si presenterà in sole 330 circoscrizioni contro le 553 del 2022. Ufficialmente il motivo è di non voler danneggiare gli altri candidati della destra: ma la mancata alleanza con RN, ostacolata da Zemmour e voluta invece da Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen e capolista di Reconquête! alle europee, ha creato divisioni interne e defezioni.
A sinistra c’è il Nuovo Fronte Popolare (NFP), un’alleanza elettorale creata nel giro di quattro giorni che riunisce, tra gli altri, il Partito Socialista guidato da Raphaël Glucksmann, il Partito Comunista, Europe Écologie-Les Verts (partito ecologista) e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. NFP ha presentato candidati e candidate in ciascuna delle 557 circoscrizioni. La France Insoumise sarà il partito più rappresentato del Fronte, con 233 candidature, seguito dai Socialisti (155 candidature) e dagli Ecologisti (82). Con NFP si presenteranno anche l’ex presidente della Repubblica François Hollande e Philippe Poutou, tre volte candidato alla presidenza per il Nouveau Parti anticapitaliste, di estrema sinistra.
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Ensemble pour la République, la coalizione di governo che si era già presentata alle legislative precedenti con il nome Ensemble!, è composta principalmente da Renaissance, il partito di Macron, da MoDem, partito centrista di François Bayrou, e da Horizons, partito dell’ex primo ministro Édouard Philippe che ha stavolta manifestato parecchia insofferenza per la suddivisione delle candidature nelle circoscrizioni e per alcune condizioni dell’accordo. In alcune circoscrizioni ci sarà dunque un candidato di Horizons contro un candidato di Renaissance.
I candidati di Ensemble pour la République saranno in totale 489, rispetto ai 569 del 2022. Quasi la metà proviene da Renaissance (297, di cui 125 sono deputati uscenti), 78 da MoDem (35 uscenti) e 77 da Horizons (27 uscenti).
Il paradosso della semplificazione e i sondaggi
La convocazione inaspettata di legislative anticipate sembra aver avuto come conseguenza quella di aver semplificato l’offerta politica francese che appare organizzata in tre grandi blocchi con visioni del mondo piuttosto identificabili e differenti tra loro.
Eppure la creazione di nuove alleanze, in alcuni casi molto larghe, ha anche avuto un effetto contrario, quello di confondere la situazione: innanzitutto perché ci sono decine di candidature dissidenti, a sinistra, al centro e a destra, di persone che non hanno accettato di entrare nei tre blocchi; e poi perché si è modificato un sistema che, almeno dal 2017, era dominato dai partiti personali: da partiti identificati con i loro leader, conosciuti e riconoscibili.
«Le linee politiche si sono mosse più negli ultimi sette giorni che negli ultimi sette anni», ha detto a Le Monde Raphaël Llorca, della Fondazione Jean Jaurès, un think tank francese associato al Partito Socialista: «È un gran casino. Gli elettori percepiscono una sorta di immenso caos» e non hanno avuto il tempo di digerire o di orientarsi in questa nuova situazione.
I sondaggi fatti dall’inizio ufficiale della campagna elettorale, e dunque dallo scorso 17 giugno, dicono che RN è in vantaggio. Nelle indagini che tengono conto dell’alleanza RN-Ciotti il blocco viene dato tra il 32 e il 36 per cento. Seguono NFP, tra il 26 e il 30 per cento, e la coalizione di Macron che è tra il 18 e il 22 per cento.
La ricerca più recente pubblicata su Le Monde e fatta da IPSOS su un campione piuttosto ampio di persone iscritte alle liste elettorali, quasi 12 mila, conferma le tendenze. Dice innanzitutto che circa il 61-65 per cento delle persone intervistate ha intenzione di andare a votare (un dato al di sopra dell’affluenza registrata alle legislative di due anni fa, quando l’affluenza era stata del 47,5 per cento). Dice poi che RN-Ciotti sono al 36 per cento, che NFP è al 29, che il blocco macronista è al 19,5 e che I Repubblicani sono all’8 per cento.
Cosa potrebbe succedere dopo le elezioni?
«Chi governerà la Francia?», si chiedeva Macron in una lettera indirizzata ai francesi diffusa la sera di domenica 23 giugno. Il presidente, con queste legislative, si gioca sia la sopravvivenza dei suoi 250 deputati all’Assemblea Nazionale quanto la sua eredità politica.
Al di là di come andrà, cosa che non è semplice prevedere, molti giornalisti sono d’accordo nel dire che una sola cosa è sicura: il centro di gravità del mandato quinquennale di Emmanuel Macron si sbilancerà a favore del primo ministro e dell’Assemblea Nazionale: «Per sette anni Emmanuel Macron ha sottovalutato la dimensione parlamentare della Quinta Repubblica», ha detto Thomas Ehrhard, docente di scienze politiche all’Università di Paris-II-Panthéon-Assas, mentre ora dovrà per forza farci i conti.
Uno degli scenari più probabili dopo le prossime legislative sarà la cosiddetta coabitazione, che si verifica quando presidente e primo ministro appartengono a diverse famiglie politiche. Governare il paese in una situazione di coabitazione è difficile e richiede una buona dose di collaborazione fra le parti: poiché la Francia è una repubblica semi-presidenziale, il presidente ha un ruolo particolarmente attivo nel processo legislativo. E anche per questo motivo un governo guidato da un partito come il Rassemblement National, di estrema destra e fermamente contrario all’operato di Macron, potrebbe creare più problemi del solito. Nei suoi anni da presidente Macron ha avuto un ruolo molto attivo nella linea politica dei governi del suo partito e questa cosa non potrebbe più accadere. Gli stessi problemi si presenterebbero con una ipotetica futura coabitazione con la sinistra.
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Nella sua lettera ai francesi, Emmanuel Macron ha ribadito l’intenzione di restare in carica fino al maggio del 2027, anche se dovesse perdere le elezioni per la seconda volta nel giro di un mese. Ma potrebbero presentarsi diversi scenari che lo “costringerebbero” a una dimissione: e cioè un blocco istituzionale non superabile in altro modo. Il candidato di RN alla carica di primo ministro, Jordan Bardella, ha già fatto sapere che rifiuterebbe la nomina a primo ministro se avesse solo una maggioranza relativa all’Assemblea. E qualche giorno fa Marine Le Pen ha detto chiaramente che in caso di blocco istituzionale, «al presidente non resterebbe che dimettersi per provare a uscire dalla crisi»: «Non è una richiesta», ha aggiunto, «è una constatazione».
Un altro rischio, per Macron, potrebbe arrivare dalla sua stessa area politica. I deputati, messi alla prova da una coabitazione che si prospetta in tutti i casi molto ostile e senza alcun interesse a essere legati a un presidente molto impopolare, potrebbero decidere di prendere le distanze da lui, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali del 2027. Diversi macronisti hanno la speranza di riuscire a formare una maggioranza di centro, dopo le elezioni, che riunisca, come ha detto Edouard Philippe, la destra conservatrice con la sinistra socialdemocratica.
Ma Philippe e come lui altri importanti esponenti del campo presidenziale ritengono che tale coalizione di maggioranza, e quindi un governo, si possa realizzare solo eliminando dall’equazione Emmanuel Macron.
La prospettiva di un’impasse alimenta infine un’altra opzione: quella di nominare un governo apolitico il giorno dopo le elezioni legislative, che sarebbe responsabile della gestione degli affari correnti dando maggiore tempo al tentativo di formare una coalizione politica. «Ma chi potrebbe essere il capo del governo di una tale coalizione? Non abbiamo un Mario Draghi francese», ha detto Jacques Attali, ex consigliere speciale di François Mitterrand ed ex mentore di Emmanuel Macron.
In caso di dimissioni del presidente la Costituzione francese prevede che il presidente del Senato diventi presidente ad interim e che le elezioni vengano organizzate almeno venti giorni e al massimo trentacinque giorni dopo le dimissioni.