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  • Sabato 29 giugno 2024

Il fallimento del molo galleggiante a Gaza

Il grande progetto dell'esercito americano è stato smontato, forse definitivamente, dopo essere stato in funzione a regime per una decina di giorni, e con pochi aiuti umanitari consegnati alla popolazione

Camion carichi di aiuti percorrono la passerella che collega il molo alla spiaggia di Gaza
Camion carichi di aiuti percorrono la passerella che collega il molo alla spiaggia di Gaza (Staff Sgt. Malcolm Cohens-Ashley/U.S. Army Central via AP)
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Venerdì il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha annunciato che il molo galleggiante che era stato costruito davanti alla costa della Striscia di Gaza dall’esercito statunitense per portare aiuti alla popolazione palestinese è stato rimosso, e probabilmente non sarà rimontato. La decisione di rimuovere il molo, la cui costruzione era stata completata a metà maggio, mostra il fallimento del progetto dell’amministrazione di Joe Biden: costato 320 milioni di dollari, il molo era già stato smontato e rimontato più volte a causa di vari problemi, e ha contribuito solo in minima parte all’invio di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza.

Le motivazioni del fallimento del molo sono numerose: anzitutto le difficoltà tecnica di costruire un molo galleggiante in mare aperto, cosa che ha esposto la struttura alle intemperie; e in secondo luogo le difficoltà logistiche di consegnare gli aiuti alla popolazione palestinese. Soprattutto a causa delle attività militari dell’esercito israeliano nella zona, pochissimi camion di aiuti sono riusciti ad arrivare ai depositi delle Nazioni Unite per essere poi distribuiti.

Il molo galleggiante era stato annunciato a marzo dall’amministrazione di Joe Biden come un modo per alleviare le terrificanti condizioni della popolazione civile della Striscia di Gaza, che soprattutto in quel periodo non aveva di fatto accesso agli aiuti umanitari: in quelle settimane ci furono varie testimonianze di persone e bambini morti di fame. Già dall’annuncio, l’amministrazione Biden aveva fatto capire che il molo sarebbe stato una soluzione di emergenza, e soprattutto parziale: da solo non sarebbe stato in grado di soddisfare il fabbisogno della popolazione di Gaza, ma avrebbe potuto contribuire ad alleviare la fame in un momento in cui il passaggio degli aiuti tramite i valichi di terra era stato bloccato dall’esercito israeliano. A regime, dal molo sarebbe dovuto passare poco più di un quarto del fabbisogno di aiuti della Striscia di Gaza: non è mai successo.

Un'immagine satellitare del molo a metà maggio

Un’immagine satellitare del molo a metà maggio (U.S. Central Command via AP)

Dopo alcuni ritardi, la costruzione del molo fu completata a metà maggio. Era un’infrastruttura piuttosto complicata.

Il molo temporaneo (il cui nome ufficiale è JLOTS: Joint Logistics Over-the-Shore, che si può tradurre con “logistica coordinata sulla costa”) era composto da due parti: una grande piattaforma galleggiante ancorata al largo della Striscia e il molo vero e proprio, che era collegato direttamente alla costa con una lunga passerella, fatta in modo che i camion potessero transitarci sopra. Gli aiuti umanitari arrivavano da Cipro tramite grandi navi da carico, e attraccavano alla piattaforma galleggiante al largo. Gli aiuti erano poi scaricati sulla piattaforma e caricati su navi militari più piccole, che li trasportavano al molo ancorato alla costa. Da lì erano infine caricati su camion che li portavano sulla terraferma, dove erano consegnati alla missione del Programma alimentare mondiale dell’ONU, che si sarebbe occupata della distribuzione.

Fin dai primi giorni di attività, il molo ha avuto problemi e subìto contrattempi. Tra le altre cose, consegnare gli aiuti alla popolazione era molto difficile perché nella Striscia di Gaza tutte le strutture di mantenimento dell’ordine sono collassate, e i convogli che dalla costa partivano verso l’interno della Striscia venivano sistematicamente assaltati da persone palestinesi disperate.

Dopo poco più di 10 giorni dall’apertura, a fine maggio, l’attività del molo era già stata sospesa per danni provocati dal maltempo: parti del molo sono state smontate per riparazioni. L’8 giugno il molo è stato riaperto, ma quello stesso giorno Israele ha messo in atto una violenta operazione militare proprio nella zona del molo, in cui ha recuperato quattro ostaggi israeliani vivi uccidendo però più di 270 palestinesi.

Nell’operazione, due magazzini del Programma alimentare mondiale – l’agenzia dell’ONU che si occupava della distribuzione degli aiuti – sono stati colpiti da razzi. A quel punto la direttrice del Programma alimentare mondiale ha annunciato l’interruzione dei lavori di distribuzione degli aiuti dal molo, perché non era più possibile garantire la sicurezza dei suoi dipendenti. L’ONU temeva anche che potesse essere compromessa la sua neutralità, perché erano circolate voci che l’esercito statunitense avesse messo a disposizione strutture del molo per sostenere Israele nell’operazione militare (l’esercito ha smentito).

Da quel momento, il Programma alimentare mondiale non ha più ripreso le consegne di aiuti. L’esercito americano ha continuato per un po’ a portare sulla costa aiuti umanitari tramite il molo, e a immagazzinarli in aree di smistamento protette. Ma senza nessuno a distribuirli, gli aiuti umanitari sono di fatto bloccati. Venerdì, con le aree di smistamento sulla costa ormai a massima capienza, l’esercito ha annunciato la rimozione del molo.

Di fatto, dunque, il molo ha funzionato a regime per una decina di giorni, da metà maggio alla fine del mese, mentre a giugno si è limitato ad accumulare aiuti nelle aree di smistamento sulla costa, che però non sono stati consegnati. In tutto, secondo gli Stati Uniti, tramite il molo sono state portate a Gaza 8.831 tonnellate di aiuti, di cui però circa 4.500 tonnellate ancora ferme nelle aree di smistamento.