Alla fine l’Italia non ha sostenuto l’accordo europeo sugli incarichi più importanti

Dopo essere stata di fatto esclusa dalle trattative, Giorgia Meloni ha votato contro António Costa e Kaja Kallas e si è astenuta su Ursula von der Leyen

Giorgia Meloni e il primo ministro ungherese Viktor Orbán insieme al Consiglio Europeo del 27 giugno 2024, a Bruxelles: sono stati gli unici due leader a non approvare l'accordo sulle nomine (Geert Vanden Wijngaert/AP Photo)
Giorgia Meloni e il primo ministro ungherese Viktor Orbán insieme al Consiglio Europeo del 27 giugno 2024, a Bruxelles: sono stati gli unici due leader a non approvare l'accordo sulle nomine (Geert Vanden Wijngaert/AP Photo)
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Giovedì sera, poco prima della mezzanotte, il Consiglio Europeo ha approvato le nomine dei tre principali dirigenti delle istituzioni comunitarie: Ursula von der Leyen, tedesca del Partito popolare europeo (PPE), è stata riconfermata presidente della Commissione; l’ex primo ministro portoghese António Costa, Socialista, è stato scelto come presidente del Consiglio; Kaja Kallas, prima ministra estone ed esponente dei Liberali, è la nuova Alta rappresentate per gli Affari esteri, cioè il capo della diplomazia europea. L’accordo era stato precedentemente definito dai negoziatori dei tre partiti (Popolari, Socialisti e Liberali) ed è stato votato da 25 dei 27 capi di Stato e di governo presenti: hanno invece espresso una posizione contraria Italia e Ungheria.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è astenuta sulla riconferma di von der Leyen e ha votato contro la scelta di Costa e Kallas. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán, invece, ha votato a favore su Costa, contro su von der Leyen e si è astenuto su Kallas. Altri leader che avevano in vario modo espresso perplessità sull’accordo nelle ore precedenti al voto finale, come i primi ministri ceco e slovacco Petr Fiala e Robert Fico, hanno infine approvato le nomine al momento decisivo. I voti non favorevoli di Italia e Ungheria non hanno comunque impedito all’accordo di essere approvato. La nomina di von der Leyen dovrà ora essere confermata dal Parlamento Europeo a maggioranza assoluta, cioè da almeno 361 dei 720 europarlamentari.

L’accordo definisce dunque i principali assetti istituzionali dell’Unione Europea per la legislatura iniziata dopo le elezioni dell’8 e del 9 giugno, ed è il frutto di una trattativa portata avanti dai negoziatori delle tre famiglie politiche che da sempre costituiscono l’asse portante della maggioranza in Consiglio e nel Parlamento Europeo. In particolare, i protagonisti della trattativa sono stati il cancelliere tedesco socialdemocratico Olaf Scholz, il presidente francese liberale Emmanuel Macron e il primo ministro polacco Donald Tusk, del PPE.

Meloni ha invece contestato fin dall’inizio questo metodo, segnalando la sua contrarietà già in un precedente Consiglio Europeo informale il 17 giugno scorso. Meloni è uscita rafforzata dalle elezioni, a differenza di Scholz e Macron, e secondo lei questo approccio non teneva conto della crescita elettorale dei partiti di destra e di estrema destra euroscettici. Ma l’intenzione dei negoziatori, come ha ribadito tra gli altri anche lo stesso Scholz, era proprio escludere dalla maggioranza i leader dei partiti euroscettici e nazionalisti. Intervenendo in parlamento prima del Consiglio Europeo, Meloni aveva annunciato con toni polemici che avrebbe contestato queste scelte, pur mantenendo una certa ambiguità sull’atteggiamento che avrebbe tenuto al momento del voto.

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Giovedì il Consiglio Europeo è iniziato nel segno di questa incognita: la contrarietà annunciata di Meloni è stato l’argomento politico principale su cui i vari leader sono stati interrogati dai cronisti al loro arrivo. Alcuni, come Tusk o il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, hanno espresso posizioni più concilianti; altri, come il belga Alexander De Croo, sono stati invece più netti nel liquidare le proteste italiane. Un po’ tutti, comunque, hanno riaffermato la volontà di confermare l’accordo. Al voto decisivo si è poi arrivati solo nella tarda serata, dopo una lunga sessione dedicata all’Ucraina e al sostegno militare dell’Unione nei confronti di Volodymyr Zelensky, invitato all’incontro. Meloni, stando a quanto riferiscono i suoi collaboratori, non ha mai dato la propria disponibilità ad assecondare l’accordo sulle nomine, neppure quando il presidente uscente del Consiglio Europeo Charles Michel ha ipotizzato di approvarlo senza una votazione, ma per semplice consenso, prendendo atto del favore espresso oralmente dai vari leader. Dopo la cena, che è stata l’occasione per gli ultimi colloqui, poco prima della mezzanotte c’è stata la votazione decisiva.

«La proposta formulata da popolari, socialisti e liberali per i nuovi vertici europei è sbagliata nel metodo e nel merito. Ho deciso di non sostenerla per rispetto dei cittadini e delle indicazioni che da quei cittadini sono arrivate con le elezioni», ha scritto Meloni su X (Twitter), prima di ribadire le ragioni della sua scelta davanti ai cronisti in un breve punto stampa. Il leghista Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio, aveva poco prima commentato le trattative in corso dicendo che a suo avviso c’era «puzza di colpo di Stato» per il modo in cui si stava procedendo alle nomine. L’altro vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani di Forza Italia, è stato invece più moderato, assecondando gli orientamenti del PPE di cui fa parte, e annunciando già il voto favorevole del suo partito all’elezione di von der Leyen.

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