Una guerra tra Israele e Hezbollah sarebbe una cosa diversa
Se gli scontri al confine con il Libano si dovessero trasformare in aperto conflitto, il gruppo paramilitare libanese ha mezzi militari superiori a Hamas e più capacità di colpire le città israeliane
Da quando è iniziata la guerra nella Striscia di Gaza, l’esercito israeliano è impegnato anche su un altro fronte, lungo il confine settentrionale con il Libano. Dal 7 ottobre il gruppo paramilitare libanese Hezbollah, sostenuto dall’Iran, ha lanciato quotidianamente razzi e droni kamikaze verso Israele, che ha risposto con bombardamenti e attacchi mirati. Nell’ultima settimana il governo israeliano ha parlato sempre più apertamente di «risolvere la questione Hezbollah» con una guerra su più ampia scala e Hassan Nasrallah, capo del gruppo paramilitare radicale libanese, ha risposto minacciando risposte da cui «nessuna parte di Israele sarà risparmiata».
Al momento un conflitto su larga scala tra Israele e Hezbollah è ancora un’eventualità improbabile. Ma quella espressa in questi mesi non è soltanto retorica aggressiva e bellicista: alcuni esperti ritengono una guerra aperta fra Israele e Libano più probabile rispetto a qualche mese fa, anche se c’è disaccordo su modalità ed eventuale estensione. Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha definito questa possibilità una «catastrofe che andrebbe oltre l’immaginabile», e che si aggiungerebbe a quella in corso a Gaza. Rispetto a quella nella Striscia, questa guerra sarebbe però molto diversa per Israele, con molti più rischi militari e molte più ripercussioni sulla popolazione civile.
Hezbollah è uno dei gruppi armati più potenti del Medio Oriente, i suoi mezzi militari sono notevolmente superiori a quelli di Hamas e i suoi legami con l’Iran ancora più solidi e duraturi, cosa che aumenterebbe le possibilità di un intervento diretto del regime iraniano in caso di guerra aperta fra Hezbollah e Israele, e dunque di un’estensione della guerra a tutta la regione.
Hezbollah nacque nel 1982 come organizzazione militare, nel contesto della complicatissima guerra civile libanese, che durò dal 1975 al 1990, e dell’invasione del sud del Libano da parte dell’esercito israeliano nel 1982 (la seconda, dopo quella del 1978; ce ne sarebbe stata un’altra nel 1996). Hezbollah significa “partito di Dio”, o “partito di Allah” ed è un movimento islamista sciita, uno dei due principali rami dottrinali dell’Islam insieme a quello sunnita.
Durante i vent’anni di occupazione israeliana e grazie al sostegno economico e organizzativo dell’Iran Hezbollah è cresciuto, fino a diventare nel 2005 un partito politico con rappresentanti in parlamento e nel governo. Ha oggi un’enorme influenza nella società libanese: il gruppo gestisce scuole, ospedali, programmi di welfare per i suoi sostenitori, ed è una forza politica determinante. È considerato un’organizzazione terroristica da molti paesi, tra cui gli Stati Uniti, mentre per l’Unione Europea soltanto «l’ala militare» di Hezbollah è da considerarsi gruppo terroristico.
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Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre e la risposta israeliana, che ha già causato oltre 37mila morti fra i palestinesi, Hezbollah ha compiuto quasi quotidianamente attacchi in «sostegno di Hamas» con razzi e droni, annunciando che sarebbero proseguiti fino a quando non fossero cessate le operazioni militari nella Striscia. Nelle fasi iniziali della guerra si era ipotizzato un coinvolgimento più massiccio del gruppo contro Israele, che invece ha limitato il suo intervento a lanci di razzi: hanno comunque costretto oltre 60mila israeliani ad abbandonare le zone più vicine al confine e causato molti danni a strutture civili. Ci sono stati 18 morti fra soldati israeliani e 11 fra i civili.
L’esercito israeliano ha risposto con uccisioni mirate di alcuni capi del movimento, fra cui Taleb Abdallah, noto anche come Abu Taleb, ma soprattutto con bombardamenti nelle zone di confine, da dove partono i razzi: i morti fra i miliziani di Hezbollah sono stati quasi 500 negli ultimi 8 mesi e mezzo, a cui si devono aggiungere circa 90 civili. Oltre 90mila persone sono scappate dalle zone più colpite.
Da quando ha ridotto l’intensità delle operazioni nel sud della Striscia di Gaza, l’esercito israeliano ha iniziato a spostare uomini e mezzi al confine settentrionale. L’obiettivo dichiarato del governo di Benjamin Netanyahu è fermare gli attacchi verso il proprio territorio e permettere alla popolazione di rientrare nelle case vicine al confine, facendo ritirare i miliziani di Hezbollah oltre la linea definita dal fiume Litani. Dopo l’ultima guerra fra Israele e Libano del luglio 2006, che durò 34 giorni e causò 1.400 morti (1.200 libanesi), la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU stabilì infatti una zona demilitarizzata fra il fiume e il confine.
Ma il governo Netanyahu e i vertici militari ritengono anche «necessario» ridurre le capacità militari di Hezbollah, che rappresentano una minaccia a lungo termine per il paese. Questo significa distruggere il suo arsenale e le sue strutture, in operazioni militari che provocherebbero una reazione del gruppo e, forse, una guerra su larga scala.
Dal 2006 Hezbollah ha accumulato un gran numero di razzi e missili, stimati fra i 120 e i 200mila, e ha aggiunto al suo arsenale piccoli carri armati, droni kamikaze che la contraerea israeliana fatica a intercettare, sistemi antimissile e anche alcune centinaia di missili balistici, guidabili a distanza e capaci di colpire con precisione strutture militari e civili in zone anche molto lontane dal confine.
Il leader Hassan Nasrallah ha recentemente detto di poter contare su 100mila miliziani: il numero reale è molto probabilmente inferiore, fra i 30 e i 40mila, ma si tratta per lo più di soldati esperti, che hanno già combattuto durante la guerra civile in Siria. Al momento un conflitto via terra è comunque ritenuto improbabile, soprattutto perché dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, che avevano mostrato la vulnerabilità dei suoi confini, Israele ha aumentato il dispiegamento di soldati nella zona per prevenire una invasione.
Secondo una ricerca durata tre anni dell’Università israeliana Reichman, Hezbollah è in grado di lanciare fino a 3.000 fra missili e razzi ogni giorno, per almeno tre settimane. Attacchi di questo genere metterebbero in crisi anche i sistemi di difesa aerei di Israele, i più avanzati al mondo. Iron Dome, il principale sistema di difesa antimissilistico israeliano, può contare su 10 batterie difensive, da quattro lanciamissili ciascuno. Nonostante la sua provata efficacia, ha un numero massimo di razzi e missili che riesce a intercettare contemporaneamente. Attacchi intensi e prolungati di Hezbollah potrebbero perciò provocare danni consistenti in territorio israeliano: fra le altre cose i vertici dell’azienda energetica NOGA considerano a rischio il sistema di distribuzione dell’elettricità nel paese in caso di attacchi alle centrali o a snodi della rete.
Dieci giorni fa per dimostrare le proprie capacità di colpire “in profondità” Hezbollah ha pubblicato un video in cui suoi droni riprendono strutture militari e civili israeliane, anche nel porto di Haifa. Il suo leader Hassan Nasrallah ha inoltre minacciato di colpire Cipro, paese dell’Unione Europea, se dovesse collaborare militarmente con Israele.
In Israele parte dei vertici dell’esercito e gli esponenti più a destra del governo ritengono che una guerra con Hezbollah sia inevitabile e che solo un attacco preventivo ai depositi di armi del gruppo libanese possa dare la garanzia di ridurre danni e perdite. Lo sbilanciamento delle forze in campo resta consistente a favore di Israele, così come i timori internazionali che un’offensiva verso il Libano provochi una nuova crisi umanitaria, oltre che migliaia di morti fra i civili.
Durante una visita ufficiale negli Stati Uniti il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha detto che Israele preferisce ancora una «soluzione diplomatica alla guerra con Hezbollah», nonostante abbia i mezzi per riportare il Libano «all’età della pietra».
Secondo il generale dell’aeronautica Charles Brown, capo di stato maggiore degli Stati Uniti, un attacco a Hezbollah potrebbe inoltre causare un intervento diretto da parte dell’Iran: la Repubblica islamica potrebbe essere «più determinata a difendere Hezbollah» rispetto a quanto accaduto con Hamas, «soprattutto se sentisse che il gruppo è minacciato in modo significativo». Esistevano già timori di un coinvolgimento dell’Iran e di una “guerra regionale” prima dell’invasione di terra di Gaza: finora però l’Iran ha invece mostrato di voler evitare escalation militari e sembra spingere in questa direzione anche nella situazione attuale.
Ma anche senza un intervento di altri paesi dell’area, una guerra in territorio libanese comporterebbe grandi rischi e notevoli sforzi per Israele, ed è quindi osteggiata da parte dell’opinione pubblica e degli esperti, che sottolineano la necessità di concedere tempo all’esercito per riorganizzarsi e riposarsi, nonché i pericoli di aprire un secondo fronte, oltre a quello con Hamas.
L’ipotesi di una guerra aperta fra Israele e Hezbollah è considerata particolarmente preoccupante dagli Stati Uniti, che sin dai primi giorni dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre stanno facendo pressioni per un accordo fra Israele e Libano che preveda il ritiro di Hezbollah dalla zona compresa fra il confine e il fiume Litani, che verrebbe controllata da forze internazionali e dall’esercito regolare libanese. Al momento questa soluzione non è stata accolta da Hezbollah, che invece potrebbe interrompere i propri attacchi verso Israele in caso di un cessate il fuoco a Gaza.