Le sparse elezioni in Mongolia
È un paese molto vasto e poco popolato, in cui recentemente è stata approvata una riforma costituzionale che potrebbe cambiare la composizione del parlamento
Venerdì si sono tenute le elezioni per rinnovare il parlamento in Mongolia, un grande paese dell’Asia centrale che confina con la Cina a sud e con la Russia a nord. I seggi hanno chiuso alle 22 ora locale (cioè alle 16 italiane) e i risultati dovrebbero essere resi noti nel giro di poche ore.
È la prima volta che i cittadini mongoli hanno votato dall’approvazione l’anno scorso di una riforma costituzionale che ha aggiunto 50 seggi nel Grande Hural, il parlamento unicamerale del paese. Nel nuovo parlamento i rappresentanti saranno 126, di cui 78 eletti con il sistema maggioritario e 48 con il proporzionale. Sono stati riformati anche i collegi elettorali: dal 1992, l’anno in cui è stata approvata l’attuale Costituzione mongola, la dimensione media dei collegi è aumentata da 27 mila a 44 mila elettori per collegio e la riforma è stata pensata per rafforzare la rappresentanza, riducendo il numero di elettori per ciascun parlamentare. Nella riforma costituzionale dell’anno scorso era stata inserita anche una norma che quest’anno per la prima volta ha obbligato i partiti a scegliere almeno il 30 per cento di candidate donne.
La Mongolia è una nazione molto vasta e molto poco popolata: la sua superficie è quattro volte quella della Germania, ma ha solo 3,5 milioni di abitanti. Quasi la metà vive nella capitale Ulan Bator, nel nord del paese, mentre circa un quarto è composta da pastori nomadi, che si spostano due, tre o quattro volte all’anno con le loro famiglie e le loro mandrie. L’economia del paese dipende soprattutto dalle esportazioni legate all’attività di estrazione di carbone, minerali e altre risorse.
A queste elezioni si sono presentati 23 partiti uniti in due coalizioni. Il favorito è il Partito Popolare Mongolo (PPM), che fino al 1990 si chiamava Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo e che dal 1924 aveva governato il paese in maniera autoritaria come un regime comunista influenzato dall’Unione Sovietica. Dopo che la Mongolia era diventata un paese democratico, il PPM aveva trascorso un periodo all’opposizione, ma era tornato al governo con varie vittorie elettorali, compresa l’ultima nel 2020. È attualmente il partito che detiene la maggior parte dei seggi in parlamento e di cui fanno parte l’attuale presidente, Ukhnaagiin Khürelsükh, e il primo ministro Luvsannamsrain Oyun-Erdene.
Il PPM gode ancora di un buon consenso tra la popolazione, ma recentemente alcuni scandali legati allo sfruttamento delle risorse minerarie e alla corruzione hanno contribuito ad accrescere tra gli elettori la frustrazione verso il governo. Tra i candidati del PPM a queste elezioni è stato escluso l’ex primo ministro Sükhbaataryn Batbold, che ha governato il paese tra il 2009 e il 2012, perché è attualmente indagato negli Stati Uniti per corruzione. Il secondo partito più grande è il Partito Democratico Mongolo (PDM), che ha governato tra il 2009 e il 2017.
In Mongolia le nuove generazioni rappresentano una parte numericamente rilevante dell’elettorato, ma tra loro è storicamente forte l’astensionismo. Quest’anno, anche in seguito alle estese proteste anticorruzione che nel 2022 hanno coinvolto soprattutto giovani studenti, i partiti più tradizionali come il PPM e il PDM hanno provato a presentare candidati meno anziani nella speranza di attrarre al voto i giovani e dare l’idea di un rinnovamento della classe politica. Secondo gli analisti però una maggiore partecipazione dei giovani potrebbe portare un terzo partito, il Khun (che significa persona in lingua mongola), relativamente più recente, a conquistare più seggi: ha puntato molto sulla promessa di eliminare la corruzione nel paese ed è abbastanza popolare tra i giovani. Tra i temi centrali nel dibattito del paese durante queste elezioni, oltre alla corruzione, ci sono anche l’inflazione e la disoccupazione.