Joe Biden potrebbe essere sostituito?
Teoricamente sì, ma solo se dovesse decidere spontaneamente di ritirarsi: se ne discute dopo il disastroso primo confronto tv
Il primo dibattito televisivo in vista delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti tra il presidente uscente Joe Biden e l’ex presidente Donald Trump è andato molto male per Biden. Il dibattito si è svolto molto in anticipo rispetto al passato, prima ancora delle convention estive dei due partiti, in cui le nomine dei candidati vengono ufficializzate. A tanti candidati è capitato di sbagliare un dibattito e poi riprendersi, ma Biden è andato male soprattutto sul piano della tenuta fisica e cognitiva: e quindi dopo il confronto, giudicato un «disastro», si è tornati a discutere di un’ipotesi che finora era stata giudicata remota: che Biden venga sostituito come candidato del Partito Democratico.
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La prima cosa da dire è che nel sistema politico statunitense nessuno “sceglie” chi candidare alla presidenza. Chiunque voglia candidarsi può farlo e tutti devono sottoporsi alle primarie, compresi i presidenti in carica. Biden le ha vinte e la sua nomina dovrebbe quindi essere ratificata dai delegati che parteciperanno alla convention in programma tra il 19 e il 22 agosto a Chicago. Avendo stravinto le primarie, Biden ha il sostegno della stragrande maggioranza dei delegati. Questo vuol dire che Biden non può essere sostituito contro la sua volontà: la sua sostituzione può avvenire solo in caso di un suo ritiro volontario o della sua morte.
Se Biden si dovesse ritirare prima della convention, i delegati diventerebbero automaticamente liberi di scegliere chi vogliono (il termine tecnico è uncommitted, “non schierati”). L’ipotesi più realistica è che in questo caso i delegati diano il proprio voto a un candidato o a una candidata indicata da Biden stesso al momento della rinuncia, ma in ogni caso potrebbero scegliere chi vogliono e non solo tra le persone che si erano candidate alle primarie.
Non c’è una procedura automatica e non è pertanto scontato che il sostituto di Biden sia Kamala Harris, attuale vicepresidente e scelta come candidata alla vicepresidenza. Si può immaginare che comincerebbe un grosso negoziato dentro il partito, condito da alleanze e tradimenti e polemiche interne, sotto gli occhi del paese, a pochi mesi dalle elezioni (e dopo aver ripetuto fino al giorno prima che Biden era perfettamente in grado di fare il presidente).
Harris è comunque di sicuro la scelta più probabile in caso di ritiro di Biden, secondo gran parte degli analisti politici, anche se non è particolarmente popolare. Il suo attuale incarico di vice di Biden la rende la scelta più naturale, mentre snobbarla sarebbe una forzatura che di certo farebbe arrabbiare un grosso pezzo della base del partito (Harris è la prima donna non bianca a ricoprire quell’incarico, e sia le donne che le persone non bianche sono segmenti cruciali per il consenso dei Democratici).
Tutti gli altri principali esponenti del Partito Democratico – come i governatori Gavin Newsom, J.B. Pritzker, Andy Beshear e Gretchen Whitmer – sono stati fin qui grandi sostenitori di Biden, preferendo rinviare una loro eventuale candidatura alla presidenza a fronte della sua scelta di ricandidarsi. Ma un ritiro di Biden potenzialmente metterebbe in ballo anche loro.
Sarebbe diverso il caso in cui invece Biden dovesse ritirarsi dopo la convention, a candidatura già ottenuta. In quell’ipotesi le regole del partito prevedono di consultare i governatori e i parlamentari del Partito Democratico per poi lasciare la scelta ai 483 membri del Democratic National Committee, che comprende oltre a loro anche i funzionari locali del partito, perché si scelga un nuovo candidato.
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