Nei campi profughi di Gaza le condizioni igieniche sono pessime
Centinaia di migliaia di sfollati vivono tra rifiuti e liquami che contaminano la poca acqua a loro disposizione: l'aumento della temperatura sta peggiorando la situazione
Con l’arrivo dell’estate e l’aumento delle temperature le condizioni sanitarie in alcuni dei più grandi campi dove vivono gli sfollati palestinesi sono peggiorate ulteriormente, con il rischio della diffusione di malattie come l’epatite A e il colera. La situazione è particolarmente difficile nell’area di Deir al Balah nel centro della Striscia, raggiunta nelle settimane scorse dalle centinaia di migliaia di persone fuggite da Rafah, più a sud, dove da maggio si sono concentrate le attività dell’esercito israeliano. Nei campi mancano acqua potabile, sistemi fognari, adeguate aree di soccorso e zone dove conservare i rifiuti isolandoli dalla popolazione.
Alcuni sfollati hanno raccontato all’agenzia di stampa Associated Press che da quando si sono dovuti spostare verso nord le loro condizioni di vita sono ulteriormente peggiorate. Nei campi è difficile dormire sia per l’odore nauseante dei rifiuti in decomposizione e delle feci, sia per la presenza di una grande quantità di insetti, come scarafaggi e mosche, e di piccoli roditori che infestano le tende sempre più calde. Negli ultimi giorni le temperature massime hanno superato i 30 °C e si prevede che continueranno ad aumentare con l’arrivo dei mesi più caldi dell’estate.
Secondo le Nazioni Unite, circa tre quarti dei sistemi di trattamento delle acque a Gaza sono stati distrutti o fortemente danneggiati dai bombardamenti di Israele, nell’ambito delle attività dell’esercito condotte ufficialmente contro i miliziani di Hamas. Le cinque principali centrali di trattamento delle acque reflue sono state rese inutilizzabili, così come i principali impianti per desalinizzare l’acqua e per gestire l’estrazione di acqua dolce dalle falde. Gli impianti ancora funzionanti o riparati non sono comunque utilizzati con continuità perché manca il carburante.
La mancanza di acqua potabile si riflette sulle abitudini e sulla salute della popolazione, specialmente nei numerosi campi della Striscia di Gaza. È stato stimato che per bere, cucinare e lavarsi una persona sfollata utilizzi 2 litri di acqua, contro i 15 litri raccomandati dalle linee guida delle principali istituzioni sanitarie. L’acqua potabile viene distribuita con autobotti, ma le razioni sono scarse e per riceverle si formano code di persone che durano ore.
In molti campi non ci sono sistemi fognari o comunque di raccolta e smaltimento delle feci. Vengono utilizzate buche coperte da teli che portano a ristagni e a contaminazione dell’acqua utilizzata nei campi, con il rischio dell’insorgenza di malattie. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha rilevato fino a inizio giugno più di 80mila casi di epatite A, un’infezione al fegato causata da un virus che si trasmette soprattutto in seguito al consumo di cibo o acqua contaminati da feci infette. L’OMS e altri esperti ritengono che nelle prossime settimane possano diffondersi casi di colera, un’altra malattia causata da un batterio che si sviluppa in acqua e alimenti contaminati dalle feci.
Oltre alle acque reflue non trattate, nei campi ci sono molti problemi legati alla gestione dei rifiuti. Dopo l’invasione di Israele, le discariche solitamente impiegate per l’immondizia sono state chiuse o sono diventate inaccessibili. L’esigenza di provare a isolare un minimo i rifiuti ha quindi portato alla creazione di aree di raccolta non ufficiali e autorizzate, dove viene lasciato un po’ di tutto. In alcuni casi la mancanza di spazi e alternative ha fatto sì che le persone sfollate piantassero le loro tende a poca distanza dai rifiuti, che hanno poi continuato ad accumularsi senza possibilità di essere smaltiti in alcun modo. Oltre al forte odore della loro decomposizione, i rifiuti attirano insetti e piccoli animali rendendo difficile e talvolta insostenibile la vita per le persone nelle loro vicinanze.
COGAT, la parte del ministero della Difesa israeliano che si occupa della logistica degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, ha detto di avere avviato alcune iniziative per migliorare le condizioni igieniche dei campi, ma per ora non sono stati registrati particolari progressi.