Le cose da sapere sul fascicolo sanitario elettronico e sul dibattito intorno

Fino al 30 giugno è possibile opporsi alla condivisione dei dati sanitari precedenti al maggio 2020 con vari enti della pubblica amministrazione, e se ne sta parlando per questioni di privacy

Una medica consulta dati dai pc di un ospedale a Bologna
(Michele Lapini/Getty Images)
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Negli ultimi giorni diversi esperti di privacy e di sanità hanno commentato in modo più o meno favorevole il fascicolo sanitario elettronico, il sistema che archivia i dati sanitari delle persone e li mette a disposizione di medici, ospedali e ambulatori previo consenso dei pazienti. Il confronto riguarda in particolare la possibilità per i cittadini di opporsi all’inserimento nel fascicolo dei dati sanitari registrati prima del 19 maggio 2020, negandone di conseguenza la possibilità di condividerli con gli enti della pubblica amministrazione. Dallo scorso 22 aprile è possibile chiedere al ministero della Salute di non condividere i propri dati: la scadenza per farlo è il prossimo 30 giugno, tra tre giorni, ma finora si è parlato pochissimo di questa possibilità e delle sue implicazioni.

Il fascicolo sanitario elettronico (FSE) contiene tutti i dati relativi alla storia sanitaria di una persona: quante e quali vaccinazioni ha fatto, quante e quali visite, che ricette le sono state prescritte, se ha fatto esami specialistici od operazioni e i relativi referti. Viene alimentato continuamente dalle informazioni registrate dal servizio sanitario nazionale, ma deve essere aperto – solo con il consenso delle persone interessate – dalle regioni, a cui in Italia è affidata la gestione della sanità.

In alcune regioni il fascicolo sanitario elettronico funziona da tempo, come l’Emilia-Romagna, il Veneto, la Toscana, il Friuli Venezia Giulia e la Lombardia, mentre altre sono molto indietro come l’Abruzzo, la Basilicata e la Calabria, ma anche il Lazio, la Liguria, la Sicilia e la Campania. Secondo i piani, il fascicolo dovrà obbligatoriamente essere attivo in tutte le regioni italiane entro il 2026.

È uno strumento che serve sia ai pazienti che ai medici. I primi, per esempio, possono usarlo per gestire ricette e appuntamenti per esami e visite molto più velocemente rispetto al passato: quando il medico di medicina generale prescrive una visita bastano pochi passaggi, da svolgere tutti online, per avere l’elenco e il calendario delle strutture sanitarie dove è possibile prenotarla (spesso le liste di attesa sono molto lunghe, ma questo è un altro problema). La funzione di “cassetto digitale” inoltre permette di non doversi più preoccupare dei documenti cartacei, che si possono perdere o dimenticare. Nelle regioni in cui il fascicolo è già attivo sono stati man mano aggiunti diversi servizi come il pagamento dei ticket o la scelta del medico o della medica di medicina generale.

I medici invece potranno ottenere velocemente informazioni sullo stato di salute di un paziente, dato che dentro ci sono dati relativi alle terapie, lettere di dimissioni ospedaliere, verbali di pronto soccorso, prescrizione di visite specialistiche, inviti a screening e i relativi referti, compresi quelli di radiografie o di esami di laboratorio. Si può capire per esempio se una persona è allergica, se ha problemi rilevanti o patologie croniche senza doverglielo necessariamente chiedere, con il rischio tra l’altro di ricevere risposte imprecise o fuorvianti.

Negli ultimi mesi i ministeri della Salute e delle Finanze hanno lavorato per integrare il sistema gestito dalle regioni ed estendere l’accesso al fascicolo sanitario a tutto il servizio sanitario nazionale. Significa principalmente due cose: la prima è che un paziente potrà consentire l’accesso ai suoi dati sanitari anche fuori dalla propria regione; la seconda che i ministeri avranno a disposizione molte più informazioni per capire come sta la popolazione italiana e come viene gestito il servizio sanitario nazionale. Si potranno fare ricerche più approfondite in campo medico ed epidemiologico, oltre a studiare la spesa sanitaria e la cosiddetta appropriatezza prescrittiva (ossia la correttezza delle prescrizioni di farmaci e trattamenti, che spesso vengono richiesti anche quando non servono allungando le liste d’attesa).

Grazie al fascicolo sanitario elettronico 2.0, come è stata chiamata l’integrazione nazionale, si potranno gestire meglio anche le emergenze, ovunque accadano: in caso di un rischio grave per la salute di una persona, si potrà accedere alle sue informazioni – tranne quelle per cui la persona in passato abbia esplicitamente richiesto l’oscuramento – per il tempo strettamente necessario e indispensabile alle cure anche se il paziente non è in grado di dare il suo consenso.

L’integrazione nazionale non è comunque un progetto nuovo. Già nel 2020 il secondo governo Conte, sostenuto dal Movimento 5 Stelle e dal Partito Democratico, approvò un decreto-legge per incentivare lo sviluppo del fascicolo sanitario elettronico: tra le altre cose stabilì che dal 19 maggio 2020, giorno di approvazione del decreto-legge, tutti i dati sanitari debbano essere caricati sul fascicolo sanitario elettronico in modo automatico senza più dover chiedere il consenso alla persona a ogni visita, esame o ricetta.

Dato che la legge prevede questo automatismo solo per i documenti caricati dalla sua approvazione (quindi dal 19 maggio 2020), il ministero ha messo in piedi un sistema per permettere a chiunque di “opporsi al pregresso”, cioè di rifiutare la condivisione dei dati sanitari precedenti a quella data. Non è chiaro però a quale tipo di “condivisione” sarà possibile opporsi. Nella campagna informativa del ministero si legge semplicemente che con l’opposizione al pregresso sarà impossibile per chiunque accedere ai dati sanitari precedenti al maggio 2020, ma una limitazione di questo tipo potrebbe avere conseguenze sull’assistenza sanitaria perché impedirebbe ai medici di avere informazioni importanti sullo stato di salute dei pazienti.

Christian Bernieri, data protection officer che spesso si occupa di tutela della privacy in ambito sanitario e che ha studiato la normativa legata al fascicolo sanitario elettronico, ha chiarito che l’opposizione riguarda solo le finalità non sanitarie, cioè la condivisione con altri enti della pubblica amministrazione, per esempio il ministero delle Finanze che studia e gestisce la spesa pubblica. Medici e mediche continueranno comunque ad avere accesso ai dati sanitari (dopo aver ottenuto il consenso della persona interessata) mentre con l’opposizione gli stessi dati non potranno essere gestiti da altri enti dello Stato.

Intervistato dal Corriere della Sera, Bernieri ha spiegato i rischi legati alla condivisione di questi dati. «Avere un database unico che raccoglie dati quasi irrilevanti ai fini di cura perché ormai vecchi, ma che possono finire nelle mani di persone sbagliate, è un dettaglio da non trascurare», ha detto. «Ci si espone ad hackeraggi, fuga di dati e abusi vari». La sanità, in effetti, è uno dei settori preferiti dai criminali informatici.

Come dimostrano gli attacchi informatici organizzati contro ospedali e aziende ospedaliere, tuttavia, il rischio che questi dati vengano rubati è concreto a prescindere dalla loro condivisione con altri enti. Già ora ci sono misure di sicurezza e limitazioni per evitare violazioni della privacy: al fascicolo sanitario elettronico infatti non possono accedere compagnie di assicurazione, associazioni scientifiche, datori di lavoro o altri enti amministrativi. Tutti i dati utilizzati dai ministeri per programmare la spesa sanitaria e verificare la qualità delle cure – uno studio molto importante per migliorare la sanità pubblica – sono condivisi in forma anonima, quindi senza informazioni identificative delle persone.