Come ci si prepara a un dibattito per la presidenza degli Stati Uniti
Per quello di stanotte Joe Biden e Donald Trump hanno adottato ciascuno la propria strategia, ma tutti fanno simulazioni, e alcune pratiche si sono codificate negli anni
Joe Biden e Donald Trump si troveranno giovedì sera nella stessa stanza per la prima volta in quattro anni, per il primo dei due dibattiti televisivi fra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti. La stanza sarà uno studio televisivo senza pubblico della rete televisiva CNN, l’inizio è fissato alle 21 locali (le 3 di notte in Italia) e il tutto durerà 90 minuti. Questo dibattito si tiene molto presto nella campagna; i due candidati sono molto noti al pubblico statunitense ed entrambi piuttosto impopolari. Secondo storici ed esperti dal 1960 a oggi i dibattiti che hanno influito in maniera consistente sul risultato delle elezioni sono stati molto pochi. Questa elezione però potrebbe decidersi per poche migliaia di voti in pochi stati in bilico, motivo per cui il dibattito viene comunque ritenuto molto rilevante.
I due candidati si sono preparati in modo diverso: Biden con un ritiro di una settimana con i principali collaboratori di lungo corso, Trump con una serie di colloqui con vari esponenti Repubblicani, e almeno pubblicamente minimizzando l’esigenza di allenarsi. Nel corso degli anni la preparazione ai dibattiti televisivi è diventata per i politici statunitensi una pratica piuttosto codificata, e basata spesso sugli errori di candidati del passato, da prevenire ed eliminare.
Joe Biden è da giovedì scorso a Camp David, nel Maryland, la residenza estiva presidenziale americana, a un centinaio di chilometri da Washington: probabilmente partirà direttamente da lì per andare ad Atlanta, sede della CNN. Quello che i media statunitensi definiscono “debate camp”, “ritiro pre-dibattito” è una pratica piuttosto consueta, che i candidati alla presidenza hanno sempre trovato il tempo di fare.
Molti presidenti in carica hanno scelto Camp David, sufficientemente isolato ma anche completamente attrezzato, oppure la stessa Casa Bianca. In passato i dibattiti erano programmati nelle ultime fasi della campagna elettorale, e quindi la preparazione doveva avvenire in pause fra un appuntamento elettorale e l’altro: Barack Obama nel 2008 organizzò i debate camp fra Florida, North Carolina e Ohio, considerati stati decisivi. Altri candidati hanno preferito luoghi più familiari: Bob Dole scelse la sua residenza sul mare in Florida nel 1996, George W. Bush il suo ranch in Texas nel 2000.
L’importante per i candidati è ritrovarsi con i collaboratori più preparati e affidabili: Biden ha confermato per quest’elezione quelli storici: il suo ex capo di gabinetto Ron Klain, che ha lavorato con tutti i candidati Democratici nelle preparazioni dei dibattiti degli ultimi 30 anni, e Bruce Reed, attuale vice capo di gabinetto, che è stato incaricato di rivedere ore di interventi pubblici dell’avversario.
Trump sta invece procedendo in modo piuttosto inusuale: ha organizzato una serie di sessioni di colloqui con vari esponenti Repubblicani, e in particolare con i possibili candidati per il ruolo da vicepresidente (JD Vance, Marco Rubio, Eric Schmitt): con loro avrebbe definito come presentare le sue posizioni su economia, immigrazione, crimine, guerre in Medio Oriente e Ucraina e aborto. Secondo fonti citate da CNN, particolare attenzione è stata posta sull’inflazione, per attaccare Biden, e sulle risposte riguardo la condanna penale ricevuta a New York e l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
I collaboratori di Trump non hanno mai definito pubblicamente questi incontri come “preparazione al dibattito” e in più occasioni hanno minimizzato l’esigenza di svolgere un lavoro specifico: Trump e il suo staff vogliono far passare l’idea che sia necessario solo per un candidato «debole e mentalmente non pronto» come dicono sia il suo avversario. In forma anonima alcuni collaboratori hanno poi ammesso che comunque Trump avrebbe «fatto i compiti».
Preparare un dibattito vuol dire prima di tutto studiare gli argomenti: i collaboratori più stretti scrivono relazioni sui temi specifici, riassunti dei punti chiave e ipotesi di risposte. Nel caso di Biden, gli argomenti vanno dalla promozione dei risultati economici alla politica internazionale, ma anche la risposta alle questioni sull’età e il tentativo di rendere evidenti i potenziali pericoli di una nuova presidenza Trump. Il candidato riceve istruzioni e indicazioni dallo staff, ma è stato raccontato che Biden quattro anni fa rifiutò parte dei suggerimenti, chiese nuove risposte o approfondimenti, aggiunse varie frasi e risposte. In questo dibattito sembra che voglia ricordare agli americani alcune cose dette da Trump nella prima parte della campagna elettorale, come la frase «No, non sarò un dittatore, con l’eccezione del primo giorno dopo l’elezione».
Non sempre in passato i candidati hanno mostrato di essere preparati adeguatamente: Gerald Ford, presidente uscente e candidato Repubblicano nel 1976 in un dibattito con Jimmy Carter rispose a una domanda sull’Europa dell’Est dicendo: «No, non c’è alcun dominio dell’Unione Sovietica su quei paesi, e non ci sarà mai sotto la mia amministrazione». Persino il moderatore, Max Frankel del New York Times, mostrò incredulità e quel passaggio divenne uno dei più ricordati della campagna: Ford poi perse le elezioni. Nel 1960 Richard Nixon studiò sulle relazioni dei suoi collaboratori, da solo, mentre John Fitzgerald Kennedy si sottopose alle domande dello staff con il risultato di risultare più spontaneo nella fase delle risposte durante la diretta televisiva.
Da allora la preparazione ai dibattiti ha fatto molti progressi: oggi i collaboratori dei presidenti si occupano anche di studiare le precedenti interviste dei moderatori per prevedere anche le forme delle domande, oltre agli argomenti. In quanto ai contenuti delle risposte, non ci si aspetta mai grosse novità. Elie Attie, che lavorò con il Democratico Bill Clinton, ha detto che si tende a mantenere i candidati su un «terreno familiare»: «Non è il caso di riprogrammarli, si prendono le loro greatest hits e si spalmano lungo il dibattito».
L’altra grande parte del lavoro riguarda il linguaggio non verbale, l’atteggiamento, i comportamenti quando non si ha la parola e l’immagine televisiva. Sarà ancora più importante in quest’occasione, con due candidati anziani e uno in particolare, Biden, che è oggetto di critiche e dubbi riguardo alla sua forma fisica e mentale. In passato spesso dettagli nell’atteggiamento sono stati considerati decisivi: è sempre molto citata la differenza di impressione televisiva lasciata dal giovane e abbronzato Kennedy rispetto al preparato ma più impacciato, pallido e malvestito Nixon («Ho fatto troppa attenzione a quello che stavo per dire, e troppo poca a come apparivo», scrisse poi nella sua autobiografia).
Ma non è l’unico esempio negativo che viene ricordato ai candidati: nel 1992 George H. W. Bush fu inquadrato dalle telecamere mentre guardava l’orologio durante una domanda di un elettore; Al Gore nel 2000 reagì alle risposte di George W. Bush mostrando insofferenza, correggendo l’avversario, sospirando per mostrare esasperazione. Nonostante fosse risultato più preparato sui contenuti, l’atteggiamento “da professore” fu indicato come uno dei motivi che lo fecero calare nei sondaggi successivi.
Oggi durante le preparazioni i candidati vengono ripresi e i video analizzati. Nel 1976 Carter fu il primo a far progettare una replica dello studio televisivo con i podi da cui avrebbe parlato: in quello dell’avversario Ford fu messo un televisore che riproponeva vecchie interviste e comizi. Sempre Al Gore chiese di replicare non solo le esatte dimensioni della stanza, ma anche la temperatura che avrebbe trovato. Kathleen Hall Jamieson, consigliera politica ed esperta di dibattiti, ha scritto che i candidati devono trovarsi in ambienti divenuti familiari e conoscere bene le modalità del programma: «Diminuisce l’ansia».
Per questo dal 1980 hanno assunto grande importanza le simulazioni di dibattiti: un consigliere esperto del candidato interpreta il ruolo dell’avversario, prevedendo attacchi, retorica, battute e aggressività. Per Biden anche in questa preparazione il ruolo è stato svolto da Bob Bauer, suo avvocato personale, che lo fece già quattro anni fa: «Nelle simulazioni mentivo, facevo lo sbruffone e il prepotente, come il peggior Trump». Nel 2020 Chris Christie, ex governatore del New Jersey, interpretò il ruolo di Biden nelle simulazioni di Trump (allora era uno stretto collaboratore, oggi è molto critico con Trump), mentre per questo dibattito lo staff del candidato Repubblicano ha affermato che non sono previste simulazioni.
Tutti finora hanno fatto simulazioni da quando nel 1980 Ronald Reagan, ex attore, introdusse questa pratica con qualcuno a interpretare il suo avversario: allora fu David Stockman, che sarebbe diventato responsabile del bilancio nella sua amministrazione. Nei confronti televisivi Reagan apparì a suo agio e brillante, trovando i tempi giusti per inserire alcuni slogan che funzionarono, come «Chiedetevi: state meglio rispetto a quattro anni fa?».
George W. Bush fece addirittura 10-12 simulazioni prima del 2000, con ottimi risultati. Rob Portman, che interpretava Gore, studiò i suoi dibattiti delle primarie e notò che il Democratico in un’occasione si era avvicinato in modo strano all’avversario Bill Bradley (i dibattiti si svolgevano con i candidati in piedi e liberi di muoversi sul palco). Raccontò poi che nelle simulazioni ripropose quell’atteggiamento, avvicinandosi in modo minaccioso a Bush: i presenti risero, Bush gli disse «Non farà mai una cosa del genere». Durante uno dei dibattiti Gore invece lo fece e Bush gestì la cosa in modo brillante, senza interrompere il discorso, facendo un cenno di saluto e guardandolo fra il perplesso e il divertito.
Il dibattito di giovedì avrà meno variabili, visto che non è previsto pubblico né un palco, ma due postazioni fisse, in piedi. L’attenzione sarà concentrata, oltre che sugli argomenti, sull’impressione e l’energia che i due candidati mostreranno di avere. Come prevedibile entrambi gli staff mostrano ottimismo, almeno in sede pubblica. Klain, consigliere di Biden, avrebbe detto che la preparazione è semplice, perché «Trump dice sempre e solo le stesse otto cose». Trump in un comizio ha detto di attendersi di avere contro anche i moderatori della CNN: «Dovrò confrontarmi con tre persone, invece che contro mezza, ma non è un problema, ci sono già passato».
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