I dischi dal vivo sono quasi scomparsi

Fino agli anni Novanta la storia del rock è stata fatta anche dalle registrazioni dei concerti: poi il loro mercato si è sempre più ristretto, e oggi ne escono pochissime

Un fotogramma da Stop Making Sense, film concerto sui Talking Heads del 1984 diretto da Jonathan Demme (A24)
Un fotogramma da Stop Making Sense, film concerto sui Talking Heads del 1984 diretto da Jonathan Demme (A24)
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Fino a una trentina di anni fa era piuttosto comune che gruppi e musicisti registrassero i loro concerti più importanti per pubblicarli poi in dischi dal vivo. Questi dischi avevano una certa importanza nel mercato discografico ed erano molto richiesti e apprezzati dai fan, perché a differenza degli album in studio permettevano di ascoltare il vero suono delle band, quello dei concerti, e anche di cogliere le reazioni del pubblico presente negli stadi e nei palazzetti. Nei live album, poi, spesso le band reinterpretavano le proprie canzoni, che in alcuni casi finivano addirittura per essere più apprezzate delle originali.

I live album erano un buon affare anche per i musicisti, che spesso li facevano uscire in periodi di inattività o mentre erano impegnati nella registrazione di un nuovo disco in studio, garantendosi così delle entrate supplementari. Tra gli anni Sessanta e Novanta furono pubblicati live album che, per qualità e successo di vendite, vengono considerati ancora oggi tra i picchi massimi della discografia di musicisti e gruppi. Alcuni esempi tra i tantissimi sono quelli di At Folsom Prison di Johnny Cash (1968), At Fillmore East dell’Allman Brothers Band (1971), Made in Japan dei Deep Purple (1972), Stop Making Sense dei Talking Heads (1984) e Unplugged in New York dei Nirvana (1994).

A partire dalla prima metà degli anni Duemila, però, la domanda per questi dischi ha iniziato a diminuire, e oggi è praticamente scomparsa. I live album sono diventati un interesse di nicchia: continuano a essere pubblicati regolarmente soprattutto all’interno della scena del rock alternativo, e sono indirizzati a un pubblico di appassionati ristretto e molto fidelizzato per cui l’ascolto della musica dal vivo ha ancora un’importanza fondamentale.

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Al netto di poche eccezioni, come i concerti che vengono registrati ogni anno alla Royal Albert Hall, un’importante sala da concerti londinese, la maggior parte dei musicisti e dei gruppi di fama internazionale ha smesso di puntare sui live album, per ragioni che riguardano in parte il funzionamento attuale dell’industria discografica, e in parte le modalità di fruizione della musica che si sono consolidate da almeno una quindicina d’anni.

I dischi dei concerti sono sempre stati un elemento centrale, per esempio, dell’industria musicale legata al jazz, perché la natura stessa del genere – che si esprimeva nell’improvvisazione e nella reinterpretazione – rendeva le registrazioni dei concerti di fatto qualcosa di molto simile alle sessioni in studio, almeno fino a un certo punto. Tra i dischi più importanti e amati della storia del jazz, quindi, ce ne sono moltissimi che sono esibizioni dal vivo, dal Köln Concert (1975) di Keith Jarrett al leggendario Jazz at Massey Hall (1953) in cui suonarono Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Bud Powell, Charles Mingus e Max Roach.

Nel rock invece quella dei live album divenne una pratica commerciale consolidata e remunerativa a partire dagli anni Sessanta, quando diventò il genere dominante e alcune band acquisirono un seguito talmente importante da riuscire a riempire regolarmente strutture enormi, come per esempio gli stadi. Uno dei live più importanti di quel decennio fu The Beatles at the Shea Stadium, registrato nel 1965 e pubblicato l’anno dopo come documentario.

Tra gli anni Settanta e Ottanta, suonare in posti mitici come lo stadio Wembley di Londra o il Madison Square Garden di New York cominciò a essere considerato una specie di traguardo che qualsiasi musicista di fama internazionale avrebbe dovuto raggiungere per consacrare la propria carriera. Manager ed etichette sfruttavano queste occasioni per pianificare nuove uscite discografiche, che spesso avevano anche la funzione di raccogliere i più grandi successi di una band in una sorta di Greatest Hits dal vivo. Per esempio, dal concerto che il gruppo rock britannico dei Led Zeppelin tenne a New York nel 1973 furono tratti un film e un live album (entrambi intitolati The Song Remains the Same), e la stessa operazione fu realizzata dopo il concerto dei Queen al Wembley del 12 luglio 1986.

Altre band fecero del live il tratto distintivo della loro produzione, come per esempio la band statunitense di acid rock dei Grateful Dead, la cui discografia è composta principalmente da registrazioni dei loro concerti, che in sostanza erano delle lunghissime jam session. E tutto un mercato clandestino si sviluppò dagli anni Settanta intorno ai bootleg, registrazioni non autorizzate dei concerti condivisi e rivenduti tra i fan, che ebbero larga diffusione in particolare attraverso le cassette.

In alcuni casi, le versioni di alcune canzoni contenute nei live album divennero più celebri e apprezzate di quelle in studio: Live!, il disco che contiene la registrazione del concerto che il cantante reggae giamaicano Bob Marley tenne al Lyceum Ballroom di Londra il 17 luglio del 1975, contiene per esempio quella che molti appassionati considerano la migliore versione di No Woman, No Cry”, la sua canzone più famosa. Bob Dylan ha pubblicato in carriera ben 16 dischi dal vivo, in molti dei quali si possono ascoltare reinterpretazioni dei suoi classici totalmente diverse da quelle registrate in studio.

Ci sono stati esempi poi di gruppi che sono passati alla storia essenzialmente grazie alle registrazioni di un loro concerto, come nel caso degli MC5, storica band statunitense che anticipò il punk e il garage e che sono ricordati principalmente per Kick Out the Jams (1969), registrato nell’arco di due serate alla Grande Ballroom di Detroit.

Ma avevano uno spazio di mercato anche live album dall’atmosfera più intima, tenuti in piccoli teatri caratterizzati da un’ottima acustica. Da questo punto di vista, l’esempio più celebre è probabilmente quello degli album tratti da MTV Unplugged, programma prodotto dall’emittente statunitense MTV tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. 

In ogni puntata, musicisti e gruppi rock fama internazionale venivano invitati a tenere dei concerti in acustico agli studi della Sony a New York. Era un’ottima occasione per vederli suonare in un modo diverso dal solito: davanti a poche decine di persone, senza strumenti elettrici e seduti in maniera composta su sgabelli. In moltissimi casi, i concerti di MTV Unplugged diventarono dei live album: il caso più famoso è quello dei Nirvana, ma altri dischi di ottimo successo tratti dalla serie furono quelli di Bruce Springsteen, Stone Temple Pilots, Eric Clapton, Pearl Jam e Shawn Mendes. 

I live di MTV Unplugged sono considerati tra gli ultimi esempi di album dal vivo riusciti e con un certo successo sul mercato discografico. Il giornalista di The Spectator Graeme Thomson li ha definiti «la svolta finale del formato», evidenziando come, da quel momento in poi, queste proposte discografiche siano diventate sempre più rare.

Oggi ne vengono pubblicate pochissime e, quando accade, si tratta quasi sempre di registrazioni recuperate dal passato e che fanno leva sull’elemento della nostalgia: qualche mese fa per esempio i Sonic Youth, band statunitense di rock alternativo di enorme culto, hanno pubblicato Walls Have Ears. Si tratta della versione restaurata di due concerti che il gruppo tenne a Londra e a Brighton, in Inghilterra, nel 1985: furono registrati da alcuni fan, e l’anno dopo furono distribuiti senza il consenso della band.

Ad avere invece appena pubblicato un disco dal vivo sono i Lankum, band irlandese di folk contemporaneo che dopo l’ottimo successo di False Lankum del 2023 ha fatto uscire la registrazione di un concerto tenuto a Dublino. Annunciandola prima di un recente concerto a Barcellona, hanno scherzato sul fatto di aver fatto un’operazione «controcorrente» e ormai sempre più rara.

Secondo Thomson, una parte del declino dei live album è dovuta al fatto che i generi che vanno per la maggiore da una trentina d’anni a questa parte, come l’hip hop, l’elettronica e il contemporary r’n’b, prediligono il lavoro in studio e non sono particolarmente funzionali ai concerti, che erano invece una componente essenziale della musica rock e dei suoi derivati.

Il fatto che i live album abbiano smesso di essere un affare già da molto tempo è evidente anche guardando le classifiche a tema che, periodicamente, vengono pubblicate sulle principali testate musicali statunitensi. In quella di Rolling Stone, intitolata 50 Greatest Live Albums of All Time (i 50 migliori album dal vivo di tutti i tempi), i dischi più recenti sono How the West Was Won dei Led Zeppelin e New Year’s Eve 1995 dei Phish: furono pubblicati rispettivamente nel 2003 e nel 2005, ma erano registrazioni di due concerti del 1972 e del 1995.

Tuttavia, la scomparsa dei live album non dipende soltanto dal cambiamento dei gusti degli ascoltatori e dalla minore rilevanza del rock, ma anche dal fatto che le etichette li considerano degli investimenti poco remunerativi. Come ha scritto il giornalista musicale Matt Mills, ormai i contratti discografici non vengono strutturati su una base temporale predefinita, come accadeva fino agli anni Novanta: sempre più spesso le etichette sottoscrivono con i musicisti accordi che «non sono di tre o quattro anni, ma di tre o quattro album».

Di conseguenza, la prima esigenza che bisogna soddisfare è garantire il superamento di una certa soglia di ascolti sulle piattaforme di musica in streaming, i mezzi attraverso cui la stragrande maggioranza delle persone ascolta la musica. I live album sono molto poco utili a questo scopo, anche perché tendenzialmente le piattaforme penalizzano l’ascolto di musica dal vivo, suggerendo agli utenti quasi esclusivamente musica registrata in studio.

Un altro motivo per cui la musica dal vivo è sempre meno ascoltata ha a che fare con le abitudini delle persone, che ascoltano album per intero sempre più raramente e scoprono nuova musica soprattutto attraverso le playlist editoriali generate automaticamente dalle piattaforme. Anche se vengono create playlist specificamente dedicate alla musica dal vivo, specialmente dai fan, quelle più ascoltate contengono esclusivamente canzoni registrate in studio.