L’uomo che sparò all’orsa Amarena è accusato di uccisione di animali aggravata dalla crudeltà

L'orsa Amarena vicina a una casa e a un gruppo di persone
L'orsa Amarena in una strada di San Sebastiano dei Marsi, in provincia dell'Aquila, il 26 agosto 2023, nel fermo-immagine di un video (Associated Press/LaPresse)

Martedì la procura del tribunale di Avezzano, in provincia dell’Aquila, ha chiuso le indagini sulla morte dell’orsa Amarena, una dei più noti orsi marsicani del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, uccisa il 31 agosto scorso nella frazione di San Benedetto dei Marsi. L’imputazione decisa dal procuratore capo Maurizio Maria Cerrato per l’uomo di 57 anni che sparò all’orsa è uccisione di animali aggravata dalla crudeltà e dagli spari pericolosi.

Amarena, il cui codice di identificazione era F17, era nota fin dal 2016 per avvicinarsi ai centri abitati dove era stata filmata in più occasioni. Sfruttava i paesi abruzzesi come fonte di cibo e come forma di protezione per i suoi piccoli: per questo aveva causato vari danni, sebbene non fosse mai stata coinvolta in comportamenti aggressivi verso le persone. Era una di quegli orsi che sono definiti «confidenti» nel gergo degli scienziati e degli enti che si occupano della gestione di questi animali: il termine indica gli orsi che non hanno più l’innata diffidenza nei confronti degli esseri umani per aver sperimentato una serie di contatti senza conseguenze negative.

L’uomo che le sparò ammise subito di averlo fatto, e motivò il suo gesto dicendo di aver avuto paura. Secondo la ricostruzione fatta nelle indagini però lo sparo sarebbe stato intenzionale. Quando fu colpita Amarena aveva tutte e quattro le zampe appoggiate a terra, dunque non in una posizione che poteva essere interpretata come aggressiva.