Julian Assange davanti al tribunale di Saipan, dove ha ricevuto una condanna per spionaggio e poi è stato liberato (AP Photo/Eugene Hoshiko)

Come è nato l’accordo per liberare Assange

Le trattative andavano avanti da parecchio tempo e sono state agevolate dall'insediamento di un governo di centrosinistra in Australia, il paese di Assange

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Mercoledì il giornalista e attivista australiano Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, è stato liberato dopo un complesso caso giudiziario durato più di dieci anni, gli ultimi cinque dei quali passati in un carcere nel Regno Unito. Negli Stati Uniti Assange era accusato di aver violato l’Espionage Act, una legge contro lo spionaggio, per via della diffusione di documenti riservati nell’ambito delle attività di WikiLeaks. Complessivamente rischiava fino a 175 anni di carcere, ma alla fine i suoi avvocati hanno patteggiato una condanna di cinque anni con le autorità statunitensi. Assange li ha già scontati nel Regno Unito: con la sentenza di mercoledì è stato quindi definitivamente liberato.

Il caso giudiziario di Assange si è concluso in maniera improvvisa e anche piuttosto sorprendente: la moglie, Stella Assange, ha raccontato al Guardian che fino alle 24 ore precedenti alla sua liberazione non era sicura che l’accordo con le autorità statunitensi si sarebbe davvero concretizzato. In realtà gli sforzi per liberare Assange proseguivano da diversi anni.

Secondo BBC News le trattative che hanno portato a un accordo di fatto sono iniziate nel 2022, quando in Australia è entrato in carica un governo di centrosinistra guidato da Anthony Albanese, del Partito Laburista. Albanese aveva reso la liberazione di Assange una delle priorità diplomatiche del suo governo: nell’ottobre del 2023 in una visita alla Casa Bianca ne aveva parlato direttamente col presidente statunitense Joe Biden, mentre qualche mese dopo il suo partito aveva appoggiato una mozione parlamentare, approvata a larga maggioranza, che di fatto chiedeva la liberazione di Assange agli Stati Uniti e al Regno Unito, dove era detenuto.

BBC News racconta che secondo diverse fonti diplomatiche il governo australiano di Albanese ha fatto molta pressione anche su quello britannico attraverso l’ambasciatore Stephen Smith, ex ministro degli Esteri in un precedente governo Laburista, che si è insediato all’inizio del 2023. Non è chiaro esattamente perché il governo Albanese abbia avuto così a cuore il caso di Assange: il padre del fondatore di WikiLeaks, John Shipton, ha raccontato di avere pranzato più volte con Albanese quando quest’ultimo era capo dell’opposizione al parlamento australiano. In quelle occasioni Albanese gli avrebbe assicurato di voler fare «il possibile» per liberare Assange.

Il primo ministro australiano Anthony Albanese (Tracey Nearmy/Getty Images)

Gli sforzi del governo Albanese hanno anche incontrato alcune resistenze interne. Un funzionario dell’intelligence australiana ha detto a CNN che le valutazioni sul caso Assange da parte dei servizi segreti e del governo erano assai diverse. Sempre secondo CNN anche all’interno dell’amministrazione Biden diversi funzionari dell’FBI e del dipartimento della Giustizia preferivano che Assange venisse estradato negli Stati Uniti e passasse un periodo di tempo in un carcere statunitense.

Biden in persona invece è sembrato spesso più bendisposto verso un accordo. Nell’aprile del 2024 disse esplicitamente che stava considerando un accordo per liberare Assange. L’incriminazione di Assange era avvenuta durante l’amministrazione di Donald Trump, molto più ostile nei confronti di WikiLeaks e Assange rispetto a quella di Biden.

A detta di varie persone coinvolte nel caso la svolta era stata la sentenza emessa a fine maggio dal tribunale di Londra, nel Regno Unito, che aveva concesso ad Assange la facoltà di fare appello contro l’ordine di estradizione emesso dagli Stati Uniti. A quel punto le autorità statunitensi e britanniche hanno capito che il caso giudiziario sarebbe durato ancora molti anni, fra ricorsi e controricorsi: e quindi la possibilità di chiuderlo in anticipo con una condanna “concordata” ha acquisito maggiore concretezza.

«Quella volta, per la prima volta, abbiamo capito che potevamo vincere», ha raccontato al Guardian Kristinn Hrafnsson, attuale direttore di WikiLeaks: «che potevamo contestare l’estradizione, anche se ci sarebbero voluti anni, in tutte le sedi nel Regno Unito fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo».

– Leggi anche: Cos’è oggi WikiLeaks

Di fronte a ulteriori anni di sforzi, risorse e spese ingenti per seguire il caso, oltre all’incertezza dell’esito finale, le autorità statunitensi hanno intensificato i negoziati con gli avvocati di Assange per trovare un accordo, che si è infine concretizzato mercoledì.

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