Lo sgombero del Silos rischia di complicare la gestione dei migranti a Trieste
Il magazzino vicino alla stazione in cui trovavano riparo moltissime persone di passaggio è stato chiuso, anche se la nuova struttura di accoglienza non è pronta
La scorsa settimana, venerdì mattina, a Trieste è stato sgomberato il Silos, un grande magazzino fatiscente di fianco alla stazione ferroviaria dove per anni si sono accampate le persone migranti che arrivavano in città da est, dopo aver attraversato la cosiddetta rotta balcanica che parte dall’Asia e via terra passa da Grecia, Albania, Croazia e Slovenia. Lo sgombero era stato disposto da un’ordinanza di inizio giugno del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza: se ne parlava da tempo, ma solo ora il capannone è stato svuotato e recintato per impedire ai nuovi arrivati di entrare.
Le conseguenze dell’operazione, che di per sé si è svolta senza particolari intoppi, preoccupano le numerose associazioni attive nella zona per garantire una prima assistenza ai migranti che arrivano a Trieste. Il timore diffuso è che la chiusura del Silos possa complicare ulteriormente la gestione dei migranti in città, soprattutto di chi è soltanto di passaggio e vuole raggiungere un altro paese europeo.
La struttura individuata dalle autorità come principale alternativa al Silos è l’Ostello Scout Alpe Adria nella località Campo Sacro (vicino Prosecco, una frazione a nord di Trieste, sul Carso, a circa dieci chilometri dalla stazione ferroviaria cittadina), che però deve ancora essere adeguata per accogliere un numero elevato di persone. «Il vero problema va ben oltre lo sgombero: le persone che erano al Silos nei giorni scorsi sono state trasferite altrove, ma dove andranno quelli che stanno arrivando adesso? Non c’è ancora una risposta», dice Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà, che coordina il lavoro delle tante associazioni che a Trieste assistono i migranti. «È ovvio a tutti che il Silos era un luogo indegno e andava chiuso, ma al momento non c’è nessuna garanzia che non si formi un nuovo imbuto da un’altra parte».
Nonostante le condizioni totalmente inadeguate dell’edificio, il Silos è stato a lungo un punto di riferimento per i migranti arrivati a Trieste. Molti di loro si riunivano lì semplicemente per mancanza di alternative, dato che non c’erano altri posti messi a disposizione dal sistema di accoglienza. «Il Silos è diventato un rifugio temporaneo per tante persone rimaste in stato di abbandono a causa di un vuoto istituzionale. Era conosciuto da tutti anche come Khandwala, che in pashtu significa “casa rotta”», dice Francesco Cibati, tra i fondatori di Linea d’Ombra, un’associazione che si occupa della prima accoglienza. Il pashtu è una lingua parlata in Afghanistan e Pakistan.
Dentro la struttura non c’era praticamente niente: mancavano l’elettricità e l’acqua corrente, non c’erano bagni e le persone dormivano per terra nei sacchi a pelo o in tende di fortuna. C’erano topi ed entrava la pioggia. Nessuno si occupava di ritirare i rifiuti o pulire.
I migranti che arrivano a Trieste sono per la maggior parte maschi tra i venti e i trent’anni. Ci sono però anche famiglie con figli al seguito, minorenni non accompagnati e donne sole, poche perché la rotta balcanica è un tragitto impegnativo dal punto di vista fisico, e molto rischioso. In genere i ragazzi e gli uomini partono da soli o in piccoli gruppi dall’Afghanistan, dal Pakistan o dalla Turchia e attraversano molti altri paesi per arrivare poi nei Balcani. Dopodiché proseguono su un tragitto che si snoda tra Bulgaria, Romania, Slovenia e Croazia e raggiunge infine l’Italia. Secondo l’ultimo report di International Rescue Committee, un’organizzazione non governativa presente a Trieste dal 2021 che collabora con le associazioni locali, nel 2023 sono arrivate a Trieste 16.052 persone, il 22 per cento in più rispetto agli arrivi registrati dal rapporto “Vite abbandonate” relativo al 2022 (il prossimo uscirà il 26 giugno). Solo il 16 per cento aveva dichiarato di volersi fermare e chiedere asilo, mentre il 68 per cento aveva intenzione di spostarsi verso altri paesi come Germania, Francia e Belgio.
Per chi chiede di fermarsi in Italia, dopo l’assistenza legale e la compilazione della domanda di asilo c’è il problema dell’alloggio. Secondo i dati del Sistema nazionale di accoglienza e integrazione (SAI), al 31 maggio del 2024 in Friuli Venezia Giulia risultavano 228 posti, tutti occupati. Soprattutto a Trieste, buona parte del sistema si basa sul modello dell’accoglienza diffusa, con cui i migranti vengono sistemati in normali appartamenti: quelli disponibili nel 2022 erano più di 180. Per anni il sistema aveva funzionato grazie anche ai frequenti ricollocamenti dei migranti in altre città, come succedeva peraltro anche a chi si fermava al Silos, spiega Schiavone. Dall’estate del 2022 fino alla fine del 2023, però, l’intensificarsi degli arrivi dei migranti via mare ha messo in crisi il sistema di accoglienza in tutta Italia e il meccanismo di ricollocamenti di Trieste si è inceppato per insufficienza di posti.
Durante lo sgombero del Silos di venerdì scorso i migranti individuati sono stati 165. Dopo aver ricevuto un pasto e assistenza medica, sono stati sottoposti a procedure di identificazione e hanno ricevuto un braccialetto colorato a seconda del proprio status: verde per i richiedenti asilo, giallo per chi ha in corso la pratica per la richiesta e rosso per chi, invece, ancora non ha formalizzato la richiesta. I migranti sono poi stati trasferiti in pullman verso alcuni centri di accoglienza in Lombardia. Nel frattempo, il Silos è stato recintato dagli operai della ditta incaricata da Coop Alleanza 3.0, proprietaria dell’area, a cui il sindaco Dipiazza aveva imposto di mettere in sicurezza l’immobile e assicurare una vigilanza anche con guardie giurate entro 15 giorni dall’ordinanza. «Intanto però le persone continuano ad arrivare e adesso c’è chi dorme per strada perché i dormitori sono saturi», dice Maddalena Avon, operatrice legale del Consorzio Italiano di Solidarietà.
Lunedì Avon ha partecipato con altri rappresentanti delle associazioni a un incontro che si è svolto in prefettura a Trieste, in vista dello sgombero. Racconta che durante l’incontro il prefetto ha parlato di una «procedura lenta» per quanto riguarda lo sgombero: «Ho fatto presente in quell’occasione che al Silos non c’erano 160 pacchi ma persone con storie e situazioni diverse, tra richiedenti asilo, migranti in attesa di riuscire a far avanzare la propria richiesta in questura, qualcuno con la data in commissione già fissata. Che ne sarebbe stato delle procedure già avviate? E delle tantissime persone solo di passaggio da Trieste, che sarebbero arrivate dopo lo sgombero? È stato chiaro lì che nessuna istituzione pubblica se ne stava realmente preoccupando».
Alle associazioni il prefetto ha confermato il piano annunciato alcuni mesi fa, che prevede di aumentare la capienza dell’Ostello Scout di Campo Sacro, già usato per ospitare 25 migranti con il coordinamento della Caritas. Dal primo luglio la gestione passerà alla prefettura di Trieste e l’obiettivo è arrivare a 150 posti grazie all’aggiunta di moduli abitativi prefabbricati, messi a disposizione dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). L’Ostello è già pronto ad accogliere altre 60 persone. Una volta completati i lavori di manutenzione e alla fognatura, dovrebbe diventare un centro “ad alta rotazione”. A maggio l’assessore regionale alla Sicurezza e all’Immigrazione Pierpaolo Roberti aveva spiegato al Piccolo che l’idea era appunto trasferire i richiedenti asilo dal centro di Trieste a Campo Sacro e lì «offrire una prima accoglienza»: i migranti «rimarranno all’ex Ostello solo per un breve periodo: il tempo delle procedure, poi saranno trasferiti», aveva detto Roberti.
Secondo il Consorzio Italiano di Solidarietà è fondamentale che il meccanismo “ad alta rotazione” funzioni sul serio, altrimenti «la maggior capienza dell’Ostello non potrà comunque risultare sufficiente, come non lo è stata in passato quando la struttura ha avuto numeri analoghi a quanto ora si prevede di allestire». ICS e le altre associazioni presenti sul territorio (Diaconia Valdese, Linea d’Ombra e No Name Kitchen) dicono che dopo la chiusura del Silos è molto concreta la possibilità che tante persone in condizioni di vulnerabilità si trovino a vivere per strada, occupando altri spazi abbandonati. Per questa ragione chiedono di allestire in città una struttura di prima accoglienza aperta a chiunque, anche a chi quindi non intende chiedere l’asilo in Italia ma vuole proseguire verso il resto d’Europa.
A questo proposito nelle scorse settimane diverse associazioni hanno chiesto di nuovo l’apertura dei locali dell’ex mercato di via Flavio Gioia, che si trovano vicino al Silos e sono inutilizzati da vent’anni, com’è stato ripetuto anche durante la manifestazione organizzata a Trieste il giorno dopo lo sgombero. «Sarebbe il posto più ovvio, perché è vicino alla stazione e ci sono già gli allacciamenti per l’elettricità, le unità abitative, i bagni e le docce», dice Avon. A metà maggio c’era stato un sopralluogo del comune di Trieste, ma il sindaco Dipiazza ha poi ribadito che l’obiettivo resta comunque il potenziamento dell’Ostello Scout a Prosecco. «La prefettura lo sta mettendo a posto, le persone in transito andranno a Prosecco», ha detto Dipiazza, intervistato dalla Rai.
Schiavone contesta il fatto che lo sgombero sia stato fatto prima che fosse pronta la soluzione a Campo Sacro di Prosecco. «L’ordinanza parla di “precarie condizioni igienico-sanitarie, strutturali e di invivibilità”, ma non è certo una novità. Ci sono stati periodi in cui al Silos dormivano anche 400 persone», dice Schiavone. «Perché adesso, senza un’alternativa funzionante?». I migranti nel frattempo continuano ad arrivare e in queste notti hanno dormito in piazza della Libertà, al Porto Vecchio e in altri edifici abbandonati vicino alla stazione, racconta Francesco Cibati di Linea d’Ombra, che ha partecipato all’assistenza. Domenica l’associazione ha distribuito pasti a circa cinquanta persone nella zona del Silos e diversi attivisti si stanno organizzando per dormire una notte in strada con i migranti, nei prossimi giorni, in segno di solidarietà. Dice Avon: «Quello che succedeva al Silos non era ignorabile da un punto di vista umanitario. Se non si propongono soluzioni strutturate, concrete e durature, si ripeterà altrove».