L’ascesa della cucina peruviana

Grazie a chef come Gastón Acurio e Virgilio Martínez è sempre più conosciuta e apprezzata, e sta prendendo il posto che era stato di quella scandinava

Un piatto dello chef peruviano Virgilio Martínez nel suo ristorante Central, Lima, Perù
(Chris Carmichael/The New York Times)
Un piatto dello chef peruviano Virgilio Martínez nel suo ristorante Central, Lima, Perù (Chris Carmichael/The New York Times)
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Nel 2023 il ristorante Central di Lima, in Perù, finì al primo posto dell’autorevole classifica “50 Best” dei 50 migliori ristoranti al mondo e quest’anno, come da regolamento, è entrato nella Best of Best, il gruppo di ristoranti con un livello tale da non poter più gareggiare. Assieme per esempio all’italiano Osteria Francescana di Massimo Bottura e al danese Noma di René Redzepi. Central, fondato nel 2008 dallo chef Virgilio Martínez, è il primo ristorante latinoamericano a raggiungere una posizione così alta ma non è l’unico della lista. Quest’anno tra i 50 migliori ristoranti al mondo ce ne sono tre di Lima: Kjolle (aperto dalla moglie di Martínez, Pía León), Mayta e Maido, che è anche al primo posto della classifica dei 50 migliori ristoranti dell’America Latina, che comprende altri sette peruviani.

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La classifica riflette l’eccellenza della scena culinaria peruviana: Lima è considerata la capitale gastronomica del Sudamerica, ospita alcuni dei migliori ristoranti di alta cucina al mondo che attirano molti turisti internazionali, ma ha anche una ricca offerta di ristoranti accessibili e street food. Gli chef sono visti come eroi nazionali, le scuole di cucina sono piene di ragazzine e ragazzini che sognano di entrare nella ristorazione, a Lima i locali aprono uno dietro l’altro nonostante la crisi economica e tutti parlano continuamente di cibo.

Anche nel resto del mondo la cucina peruviana è sempre più nota: nelle grandi città europee e statunitensi ci sono ormai ristoranti di alto livello e alcuni critici sostengono che la nueva cocina peruana, la nuova cucina peruviana, sia il fenomeno gastronomico che ha preso il posto della cucina scandinava, quella resa celebre dal Noma di Copenaghen.

La serie tv di Netflix Chef’s Table ha dedicato una puntata della terza stagione a Martínez

Eppure non è stato sempre così: 20 anni fa in Perù i ristoranti di alto livello servivano cucina francese o italiana mentre quella tradizionale si mangiava in casa ed era ritenuta inferiore. Il primo a cambiare le cose fu Gastón Acurio, nato nel 1967 in una buona famiglia di Lima che lo mandò in Spagna a studiare legge; lui finì nella celebre scuola di alta cucina Cordon Bleu di Parigi, dove incontrò la tedesca Astrid Gutsche, sua futura moglie. Nel 1994 tornarono a Lima per aprire il loro ristorante, Astrid y Gastón, dove inizialmente servivano tartufo, foie gras, champagne e altri piatti francesi, finché Acurio decise che la cucina peruviana aveva la stessa dignità di quelle europee.

Iniziò a servire piatti e ingredienti tradizionali preparati con tecniche elaborate e all’avanguardia, a riscoprire metodi di cottura dimenticati e a introdurre materie prime sconosciute nella capitale ma mangiate negli altri angoli del paese, come i frutti dell’Amazzonia, le erbe delle Ande e alcune delle 2.500 varietà di patate, contro le tre-quattro consumate nella capitale.

Acurio aprì altri ristoranti in Perù e in Europa, convinto che la cucina peruviana potesse diventare diffusa quanto quella italiana e cinese: secondo lui ogni grande città dovrebbe avere una anticuchería con i tipici spiedini da street food, una sanguchería con i sandwich e una cevicheria dedicata al ceviche, il piatto a base di pesce crudo che lui stesso ha reso famoso in tutto il mondo. Aiutò, in breve, a unificare un paese diviso (erano gli anni degli attentati del gruppo terroristico Sendero Luminoso e poi del golpe del presidente Alberto Fujimori), gli diede un’identità gastronomica e qualcosa di cui andare orgoglioso: come ha detto nel 2009 lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa «nessuno ha fatto così tanto per far conoscere al mondo il Perù».

Acurio è considerato il padre spirituale della generazione successiva di chef, oggi tra i 30 e i 50 anni, protagonista del successo culinario del Paese. Il più famoso tra loro è Martínez, che ha 46 anni e ha lavorato per Acurio dopo aver passato un decennio nelle cucine europee e asiatiche. Nel 2012 ebbe l’idea che lo rese noto in tutto il mondo: mise a punto un menu degustazione con le portate ispirate ai tanti ecosistemi peruviani, suddivisi in base all’altitudine, quelle più basse sul livello dell’Oceano Pacifico, la foresta Amazzonica, le vette delle Ande. Gli ingredienti di ogni piatto provengono dall’ecosistema a cui fa riferimento, e sono raccolti e a volte scoperti dallo stesso Martínez: mangiare al suo ristorante è un modo di conoscere e apprezzare un intero paese e le comunità remote, spesso dimenticate, che ne fanno parte. Martínez ha anche fondato Mater Iniciativa, un progetto di ricerca con l’obiettivo di trovare e catalogare nuovi prodotti da tutto il Perù, che sono alla base delle sperimentazioni dei suoi piatti.

Molti ristoranti peruviani contemporanei, come Mayta, hanno una filosofia simile anche se meno radicale di quella di Central, mentre alcuni valorizzano il suo essere fusion, come si dice, cioè il risultato di tradizioni diverse che si mescolano tra loro e creano qualcosa di nuovo. Lo stesso ceviche è un piatto fusion della cucina nikkei, cioè peruviano-giapponese, nata quando, dal 1899, molte persone immigrarono dal Giappone. Si sa che le popolazioni indigene che abitavano la costa conservavano il pesce crudo con succo di tumbo, simile al frutto della passione, prima che gli Spagnoli – che arrivarono nel XVI secolo – lo sostituissero con il lime. I giapponesi insegnarono a tagliare il pesce in modo più sottile e a marinarlo per pochi secondi in una miscela di limone o lime, cipolle rosse, aglio e coriandolo, prima di servirlo con accompagnamento di choclo bollito e camote, cioè mais peruviano dai grossi chicchi e patate dolci. Gli immigrati giapponesi portarono con sé anche il riso, la soia, il sake, lo zenzero e inventarono un altro piatto nazionale, il tiradito, cioè pesce crudo tagliato sottile come il sashimi e marinato in succo di lime, zenzero e aji amarillo, il tipico peperoncino giallo del Perù.

Un piatto di Maido, che serve cucina nikkei a Lima

L’altra famosa cucina fusion del Perù è quella chifa, da chi-fan che in mandarino significa “mangiare”. Nell’Ottocento, infatti, circa 80mila persone immigrarono dalla Cina, portando con sé riso, soia e molte tecniche di cottura. Oggi a Lima è pieno di ristoranti chifa che servono arroz chaufa, riso fritto, e lomo saltado, striscioline di manzo marinato con cipolle, aji amarillo, pomodori e salsa di soia, saltato nel wok e servito con riso scondito o patate.

Sempre nell’Ottocento gli immigrati italiani introdussero la pasta, mentre nei secoli precedenti gli schiavi e i loro discendenti arrivati dall’Africa cucinavano grano, patate dolci, arachidi, zucchero di canna, frattaglie e tagli di carne scartati dagli Spagnoli, insaporiti con molte spezie. Gli stessi conquistatori spagnoli portarono ingredienti diventati importanti: aglio, cipolle, cavolo, pesche, mele e introdussero le pecore, le mucche, i maiali, le galline, nuove fonti di proteine animali, che fino ad allora erano fornite soprattutto dal porcellino d’India, il cuy, che ancora oggi è mangiato arrosto un po’ in tutto il paese.

Anche l’altro celebre piatto nazionale, il pollo a la brasa, fu inventato da un immigrato svizzero, Roger Schuler, negli anni Cinquanta: è un pollo marinato in aglio, rosmarino, pepe, salsa di soia, peperoncino, cumino e huacatay (un’erba dal sapore simile all’anice e alla menta), arrostito sullo spiedo alla brace e servito con salse e patatine fritte.

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