• Mondo
  • Lunedì 24 giugno 2024

Netanyahu ha detto che a Gaza la «fase più intensa» della guerra sta finendo

Ma questo non significa che finiranno le operazioni militari di Israele, anzi: potrebbero rafforzarsi quelle al confine con il Libano

Il primo ministro Benjamin Netanyahu (Amir Cohen/Pool Photo via AP, File)
Il primo ministro Benjamin Netanyahu (Amir Cohen/Pool Photo via AP, File)
Caricamento player

Domenica sera in un’intervista televisiva il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che la fase più intensa dei combattimenti contro Hamas nella città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, «sta per concludersi». Netanyahu ha immediatamente aggiunto che questo non porterà alla fine della guerra, ma permetterà all’esercito israeliano di spostare parte delle proprie forze verso il confine con il Libano, dove da mesi sono in corso scontri con il gruppo paramilitare libanese Hezbollah. Ha anche ripetuto di non considerare per il futuro l’opzione di affidare il governo di Gaza all’Autorità palestinese, che governa la Cisgiordania, e ha fatto alcune dichiarazioni contraddittorie sulle trattative con Hamas per un cessate il fuoco, che il suo staff ha in parte corretto dopo l’intervista.

Netanyahu ha partecipato al programma televisivo The Patriots, trasmesso dalla rete televisiva israeliana Channel 14: è una rete conservatrice, tanto che il quotidiano progressista israeliano Haaretz l’ha definita come «la versione israeliana di Fox News», nota emittente di destra statunitense. È stata la prima intervista che Netanyahu ha dato a un media israeliano dallo scorso 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas: finora aveva preferito parlare con media internazionali e soprattutto statunitensi, rivolgendosi invece al proprio elettorato solo con conferenze stampa o messaggi video.

Netanyahu ha confermato che le operazioni militari di Israele starebbero per entrare in una «nuova fase», in cui gli «intensi combattimenti» a Rafah sarebbero vicini al termine, ma che operazioni di minore intensità continueranno fino «al completo sradicamento di Hamas». L’invasione di terra di Rafah da parte dell’esercito israeliano è iniziata lo scorso maggio, dopo mesi di bombardamenti. La maggior parte delle persone palestinesi che si erano rifugiate nella città è stata costretta a spostarsi altrove, con un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita e minore accesso agli aiuti umanitari.

Secondo Netanyahu il parziale disimpegno a Rafah permetterà all’esercito di condurre nuove operazioni a nord, che potrebbero implicare un conflitto più aperto con i miliziani di Hezbollah, gruppo libanese sostenuto dall’Iran e alleato di Hamas. «Avremo la possibilità di trasferire alcune forze a nord, e lo faremo», ha detto. La settimana scorsa l’esercito israeliano aveva diffuso un comunicato in cui diceva di aver approvato un piano operativo per attaccare il Libano. Sempre domenica il ministro della Difesa Yoav Gallant è partito per gli Stati Uniti per una visita ufficiale: incontrerà il segretario di Stato statunitense Antony Blinken e il direttore della CIA William Burns, per discutere di una «fase C» delle operazioni a Gaza, ma anche del possibile conflitto con Hezbollah al confine col Libano.

Israeliani osservano la Striscia di Gaza da Sderot (AP Photo/Ohad Zwigenberg)

Nell’intervista Netanyahu non ha fornito nuove indicazioni sui piani del suo governo per il futuro di Gaza quando il conflitto sarà terminato. Ha fatto vaghi riferimenti all’aiuto di «nazioni arabe moderate» e al coinvolgimento nel governo di «popolazione locale palestinese», ma ha respinto con molta più chiarezza la soluzione proposta, fra gli altri, dagli Stati Uniti: «Ti dirò cosa non sono disposto ad accettare: istituire a Gaza uno stato palestinese, passando il controllo all’Autorità palestinese». Ha invece detto che l’esercito israeliano dovrà mantenere un controllo militare sull’area, ma si è detto contrario a istituire delle colonie israeliane a Gaza.

Riguardo alle trattative per un cessate il fuoco, Netanyahu ha detto di essere disposto a un accordo parziale con Hamas per ottenere il rilascio di alcuni ostaggi, ma non a sostenere il piano degli Stati Uniti che porterebbe, in tre fasi, a un cessate il fuoco permanente in cambio del rilascio dei 116 ostaggi che Hamas ancora detiene. Queste dichiarazioni, che contraddicono precedenti posizioni ufficiali del governo israeliano, sono state oggetto di un tentativo di correzione dallo staff del primo ministro subito dopo l’intervista, dicendo che sarebbe Hamas, e non Netanyahu, a opporsi all’attuale proposta per un cessate il fuoco.