Gli aiuti di Stato in favore di Fiat e Stellantis

Stabilire con esattezza quanti sono stati fin qui è complicato, ma un’analisi del Corriere della Sera aiuta a farsi un’idea

(ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)
(ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)
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Da tempo le scelte industriali del gruppo automobilistico Stellantis sono criticate non solo dai sindacati, ma anche dal governo italiano, soprattutto per via della progressiva riduzione delle auto prodotte negli stabilimenti italiani. Chi accusa Stellantis, erede del gruppo Fiat, di «abbandonare l’Italia», ricorda spesso come nella sua storia il gruppo abbia beneficiato di notevoli aiuti di Stato da parte dell’Italia. Stabilire con esattezza quanti siano stati fino ad oggi è complicato per via della mancanza di dati storici dei ministeri competenti: tuttavia un quadro parziale viene descritto in un’analisi del Corriere della Sera, nella sezione Dataroom curata da Milena Gabanelli. Il Corriere parte da un’indagine di un docente dell’Università di Salerno che stima in 4 miliardi di euro «il complesso dei contributi» ottenuti fra il 1990 e il 2019, «a fronte di poco più di 10 miliardi di investimenti dichiarati».

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L’analisi poi dice che da ottobre 2016 a gennaio 2024 sono stati versati dallo Stato, fra cassa integrazione, agevolazioni per assunzioni e contratti di espansione quasi 900 milioni di euro, mentre per il solo stabilimento di Melfi fra il 1991 e il 2020 «sono stati erogati 3,35 miliardi di fondi pubblici destinati alla costruzione dell’impianto e al suo indotto». Stellantis è nata nel gennaio del 2021 dalla fusione di PSA, l’azienda francese nata dall’unione di Peugeot e Citroën, e FCA, l’azienda italo-americana nata a sua volta dalla fusione di Fiat e Chrysler. Nel 2023 ha prodotto in Italia 752mila veicoli, di cui 521mila auto. Il calo rispetto al passato è evidente: nel 1990 in Italia venivano costruiti 2 milioni di auto, nel 2000 erano circa 1,7 milioni, nel 2010 scesero a 850mila.

Mio nonno aveva il 70 per cento delle azioni Fiat in portafoglio e le gestiva dando dividendi bassi e in massima parte a se stesso. Preferiva accantonare a riserva e con le riserve costruì la grande Mirafiori». Questo raccontava l’avvocato Gianni Agnelli, che invece preferiva dividendi alti e il ricorso a denaro pubblico per allargare l’azienda. Il di lui nipote nonché erede John, di «grande» in Italia sta lasciando ben poco. A conti fatti il Gruppo automobilistico, che in dieci anni ha cambiato due volte nome, quanto ha ricevuto dallo Stato italiano? E a fronte di quali impegni?

È noto che nella fase Fiat il gruppo ha potuto contare su un’ingentissima quantità di fondi pubblici. Interi stabilimenti al Sud sono stati costruiti con risorse di Stato (Melfi, Termini Imerese). Impossibile ricostruire quanto è stato dato in valore assoluto, e tantomeno le contropartite. Presso i ministeri competenti le carte non si trovano. Secondo un’indagine condotta da Davide Bubbico, docente di sociologia economica dell’università di Salerno, partendo dai contratti di programma siglati spesso con il Cipe, tra il 1990 e il 2019 (includendo anche Magneti Marelli, Iveco e Pwt) il complesso dei contributi ammonterebbe a circa 4 miliardi di euro, a fronte di poco più di 10 miliardi di investimenti dichiarati. Si tratta di una ricostruzione inevitabilmente parziale, dalla quale però si può stimare che almeno il 40% degli investimenti Fiat siano stati finanziati negli anni dallo Stato italiano.

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