Venerdì a Stintino, in provincia di Sassari, in Sardegna, è stata inaugurata la “Statua della pace”: è una scultura in bronzo che mostra una donna dai tratti somatici orientali seduta vicino a una sedia vuota, ed è stata donata alla città da una fondazione sudcoreana, il Consiglio Coreano per la giustizia e la memoria della schiavitù sessuale militare da parte del Giappone. Fa parte di una serie di statue simili che negli ultimi anni sono state inaugurate in varie parti del mondo con lo scopo di ricordare le cosiddette “donne di conforto” (meglio note come comfort women), ossia circa 150-200 mila giovani ragazze cinesi e coreane che vennero reclutate a volte con la forza e altre con l’inganno per servire l’esercito giapponese come prostitute durante la Seconda guerra mondiale. La prima è stata installata di fronte all’ambasciata giapponese a Seul, nel 2011.
Quello delle “donne di conforto” è uno dei temi su cui Giappone e Corea del Sud, che oggi hanno molte ragioni per avere un rapporto di alleanza, si sono più volte scontrati nel corso degli anni. Varie vittime sono infatti ancora in vita e ritengono che il Giappone non abbia fatto abbastanza per compensare le violenze coloniali inflitte alla Corea del Sud. In Giappone esiste invece un forte movimento conservatore che tende tuttora a minimizzare l’entità di quelle violenze o a negarle, anche se il paese ha riconosciuto i propri crimini già nel 1992, quando l’allora primo ministro Kiichi Miyazawa si scusò «dal profondo del cuore» con le vittime.
In questo contesto, l’inaugurazione della statua a Stintino ha attirato l’attenzione dell’ambasciatore giapponese in Italia Satoshi Suzuki, che giovedì ha incontrato la sindaca Rita Vallebella (eletta con una lista civica) per chiederle di rimandare l’evento e di ripensare la targa che accompagna la scultura, che contiene un passaggio in cui si sostiene che il Giappone non abbia riconosciuto i propri crimini e non abbia mai risarcito le famiglie delle donne violentate.
In passato il Giappone ha già ripetutamente richiesto che la “Statua della pace” di fronte alla sua ambasciata a Seul fosse rimossa, e sollevò la questione anche nel 2015 nel contesto di un accordo bilaterale tra i governi per trovare un’equa forma di risarcimento per le famiglie delle donne di conforto. Il governo sudcoreano non ha mai promesso esplicitamente di rimuovere la statua, ed entrambi i governi hanno annullato l’accordo nel 2018.
Da allora ne sono state inaugurate decine di altre: la seconda è stata eretta a Busan, sempre in Corea del Sud. Nel 2017 un’associazione conservatrice filogiapponese è riuscita a farne rimuovere una a Glendale, in California, negli Stati Uniti. Oltre a quella di Stintino, in Europa ce n’è una anche a Berlino, in Germania: pure in quel caso, l’ambasciata giapponese ha chiesto al governo locale di rimuoverla, senza successo.
Vallebella ha detto di essere «pronta ad appurare» la posizione ufficiale della Corea del Sud perché «ha l’interesse che le notizie siano date in maniera corretta». Ha aggiunto però di ritenere che al centro dell’evento dovessero rimanere «le donne e le violenze consumate su di loro in tempo di guerra». «Le vittime coreane che in questo momento celebriamo rappresentano tutte le donne del mondo, comprese quelle che adesso subiscono violenze, come le cittadine ucraine, palestinesi e africane», ha detto.
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